GIOVANNI PIETRO FLAMIA |
Nella mattinata del 5 giugno, 500 Carabinieri del Comando Provinciale di
Palermo hanno dato esecuzione a 31
fermi del P.M. nei confronti di altrettanti capi e gregari del mandamento mafioso di Bagheria,
ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere
di tipo mafioso, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione
illecita di armi da fuoco e danneggiamento a seguito di incendio. Le
indagini, avviate nel maggio 2013, ovvero all’indomani dell’operazione “Argo”,
e condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo e della
Compagnia di Bagheria, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale
Antimafia di Palermo, hanno consentito di disarticolare
completamente il mandamento di Bagheria, storica roccaforte di Cosa
nostra. Insieme ai reggenti del mandamento e delle famiglie mafiose di
Bagheria, Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia, sono stati tratti in
arresto pericolosi “uomini d’onore” della consorteria. Le risultanze delle
indagini si sono nel tempo arricchite delle dichiarazioni di tre collaboratori
di giustizia, confermando il quadro indiziario già acquisito.
L’operazione “Perseo” (dicembre 2008) aveva fatto sfumare
il tentativo di ricostituzione della Commissione Provinciale di Cosa
nostra palermitana. A seguito dell’indagine Argo, da cui era derivata
la completa disarticolazione della compagine operativa del mandamento mafioso
di Bagheria, tre delle persone arrestate hanno deciso di collaborare con la giustizia:
CARBONE Giuseppe Salvatore, GENNARO Vincenzo e FLAMIA Sergio Rosario.
Grazie alle dichiarazioni di quest’ultimo collaboratore, è possibile
affermare che, anche dopo il fallimento del progetto dei boss (Operazione
Perseo), Cosa Nostra è riuscita a dotarsi di un organo decisionale, composto da
alcuni tra i più influenti capi mandamento della città e della provincia.
Quanto sopra risulta perfettamente in linea con le risultanze delle
indagini più recenti condotte dal Nucleo Investigativo (“Oscar” del
28.11.2011, “Pedro” del 13.12.2011, “Sisma” del 12.04.2012, “Alexander” del
03.07.2013 e “Argo” del 08.05.2013) di cui ne
costituisce straordinaria e logica chiave di lettura. E’ emerso, quindi, che in Cosa
nostra non è mai venuta meno la necessità di trovare unione e
rappresentatività, di dotarsi di un organo decisionale, una sorta di
direttorio, con al vertice il più influente tra i capi mandamento liberi, in
grado di relazionarsi con i capi di Cosa nostra operanti fuori
dalla provincia di Palermo, di delineare le strategie operative, di dirimere
eventuali conflitti interni.
A riscontro di quanto detto, il collaboratore FLAMIA Sergio Rosario ha
riferito che, subito dopo alla sua scarcerazione del settembre 2011, ZARCONE
Antonino (allora reggente del Mandamento di Bagheria) gli aveva confidato “che
a Palermo hanno ricostruito di nuovo tutto”. Che il “direttorio” abbia
influenzato significativamente l’organizzazione di Cosa nostra palermitana
lo dimostrano due eventi, entrambi ricostruiti grazie alle recenti
investigazioni:
- il
passaggio nel novembre/dicembre del 2011 del mandamento da Bagheria ad
Altavilla ed il successivo ritorno, a fine 2011 inizi del 2012, a Bagheria;
- il
progettato transito, verso gennaio/febbraio 2013, del mandamento da Trabia a
Caccamo.
L’ASSOCIAZIONE PER
DELINQUERE
IL MANDAMENTO DI BAGHERIA
L’indagine Reset ha consentito di
delineare gli assetti e le attuali dinamiche operative del mandamento mafioso
di Bagheria che continua a essere composto, oltre che dall’omonima famiglia (che
comprende anche il territorio di Santa Flavia e delle frazioni di Aspra e
Porticello), anche dalle famiglie mafiose di Villabate, Ficarazzi,
Altavilla Milicia e Casteldaccia.
LA FAMIGLIA MAFIOSA DI BAGHERIA
Il vertice strategico della famiglia mafiosa di Bagheria e dell’omonimo
mandamento è rappresentato dall’anziano boss GRECO Nicolò,
fratello dell’ergastolano Leonardo, alle cui direttive risponde DI
FIORE Giuseppe, reggente operativo della consorteria (DI FIORE è
succeduto, nel maggio 2013, a DI SALVO Giacinto, tratto in arresto
nell’operazione Argo).
GUTTADAURO Carlo e PIPIA
Francesco, anziani “uomini d’onore”, sono i collaboratori più fidati del DI
FIORE.
Con il ruolo di “capo decina” operano PROVENZANO
Giorgio e FLAMIA Giovanni Pietro. Costoro, particolarmente
autorevoli anche perché “formalmente combinati” (“pungiuti”), si avvalgono dei
“soldati” LO PIPARO Salvatore, DI SALVO Giovanni, PRETESTI
Francesco, LI VOLSI Luigi, MORSICATO Benito, LIPARI Nicolò e altri.
In merito alla reggenza del DI FIORE Giuseppe, emblematica risulta la
conversazione tra DI SALVO Giovanni e LO PIPARO in cui quest’ultimo affermava“...
e sono andati a prendere, a questo “PEPPINO U’ CIURE” (DI
FIORE Giuseppe) (…) ...perché è come quando c’era GINO DI SALVO, c’era lui,
a chi faceva comparire, a SERGIO (FLAMIA Sergio Rosario n.d.r.) . … giusto è?
lui era però il primo”.
GLI STORICI UOMINI D’ONORE DELLA FAMIGLIA DI BAGHERIA
GRECO Nicolò, unitamente al fratello
ergastolano Leonardo, ha iniziato il suo percorso criminale già nel
lontano 1969.
Dopo l’arresto di GRECO Leonardo (avvenuto
il 9 giugno 2004), il fratello Nicolò ha iniziato a far
valere il suo carisma e la sua forza intimidatrice scalando il potere
fino a giungere al vertice del mandamento mafioso di Bagheria.
Il GRECO, servendosi della collaborazione operativa di
vari uomini d’onore succedutisi nel tempo nella qualità di reggenti operativi
del mandamento, di fatto ha gestito il sodalizio bagherese sancendo alleanze,
determinando scelte operative e decidendo sulle sorti di importanti sodali, tra
cui BARTOLONE Carmelo.
Le investigazioni hanno delineato il ruolo
fondamentale ricoperto dal boss, riconosciuto, in gergo mafioso,
come la “testa dell’acqua”, ovvero la “sorgente”
del mandamento mafioso di Bagheria.
DI FIORE Giuseppe è uno degli
storici affiliati della famiglia mafiosa di Bagheria.
Il 25 gennaio 2005, nel corso
dell’operazione “Grande Mandamento,” è stato tratto in
arresto dopo che nel corso di una perquisizione eseguita all’interno della sua
abitazione veniva rinvenuto il c.d. “Libro Mastro” della
famiglia di Bagheria, unitamente a denaro e titoli.
Dopo la sua scarcerazione, avvenuta nel gennaio del
2012, le indagini hanno permesso di dimostrare la progressiva ed inesorabile
scalata al vertice della consorteria.
GUTTADAURO Carlo è un altro uomo d’onore
di elevatissima caratura criminale.
Egli è fratello di GUTTADAURO Giuseppe,
medico chirurgo presso l’Ospedale Civico di Palermo, già “reggente” del
mandamento mafioso di “Brancaccio”, e di Filippo, cognato del noto
latitante Matteo MESSINA DENARO e autorevole uomo d’onore di Cosa
nostra.
Le attuali investigazioni hanno permesso di dimostrare
come il GUTTADAURO Carlo, oltre a collaborare attivamente con i vertici del
mandamento, GRECO Nicolò e DI FIORE Giuseppe, sia anche intervenuto
personalmente per costringere un imprenditore edile a “mettersi a posto”.
PIPIA Francesco è legato storicamente da un forte vincolo
criminale a GARGANO Antonino, storico capo della
famiglia mafiosa di Bagheria,.
Il GARGANO, condannato all’ergastolo, al momento è sottoposto al regime della
detenzione domiciliare.
Benché in passato il PIPIA sia stato già oggetto di
investigazioni da parte di diverse forze di polizia, non si era mai riusciti a
dimostrare la sua sostanziale appartenenza al sodalizio.
Con le ultime investigazioni, invece, si è provato il suo pieno inserimento
nella consorteria mafiosa di Bagheria, per conto della quale ha anche fornito
un determinante sostegno alla latitanza di Bernardo PROVENZANO, in
un momento di particolare difficoltà quale era quello successivo all’operazione Grande
Mandamento del 2005.
Infatti, dopo l’arresto dei più importanti favoreggiatori del capo
indiscusso di Cosa nostra, toccò proprio al PIPIA farsi carico
della gestione della latitanza del boss corleonese, sino alla data del suo
arresto avvenuto nel covo di “montagna dei cavalli”.
LA FAMIGLIA MAFIOSA DI VILLABATE
La famiglia mafiosa di Villabate, sebbene
negli ultimi anni sia stata oggetto di una particolare attenzione investigativa
che ha portato all’arresto di numerosi esponenti di vertice, è sempre riuscita
a ricompattare le fila con rapidità sostituendo i sodali tratti in arresto con
nuovi affiliati.
Dopo la carcerazione di LAURICELLA
Salvatore e il rientro in Italia da Bali di MESSICATI VITALE
Antonino, hanno assunto la direzione della consorteria villabatese TERRANOVA
Francesco e LA ROSA Giovanni, da lungo tempo organici a Cosa
nostra.
Alle dipendenze dei suddetti, con compiti di “esattori del pizzo”, si
collocano MESSICATI VITALE Fabio, fratello del più noto Antonino, e MILITELLO
Bartolomeo.
LA FAMIGLIA MAFIOSA DI FICARAZZI
Sia l’indagine “ARGO” sia le attuali investigazioni hanno fatto emergere le
alterne vicende che hanno caratterizzato la famiglia mafiosa di Ficarazzi.
Dopo l’arresto (anno 2010) del capo famiglia TRAPANI Giovanni, la reggenza
della consorteria veniva affidata a LEONFORTE Atanasio Ugo. Questi,
ritenuto inaffidabile, veniva presto sostituito da LAURICELLA Salvatore, su
disposizione dell’allora capo mandamento ZARCONE Antonino.
Dopo l’arresto dello ZARCONE (dicembre 2011, operazione Pedro)
e l’inizio della latitanza di MESSICATI VITALE Antonino, LAURICELLA Salvatore
assumeva la reggenza della famiglia di Villabate oltre a quella di
Ficarazzi.
Le difficoltà connesse al duplice incarico, anche in considerazione del
fatto che il LAURICELLA per volere di D’AMBROGIO doveva affiancare DI SALVO
nella reggenza dell’intero mandamento, comportavano la reintegrazione del
LEONFORTE nella reggenza di Ficarazzi sino al suo arresto avvenuto nel maggio
2013, con l’operazione Argo.
Dopo la recente scarcerazione (giugno 2013), le indagini hanno dimostrato che
il LEONFORTE, dopo aver inizialmente riassunto la carica lasciata vacante, è
stato nuovamente sostituito, suo malgrado, da COMPARETTO Giuseppe,
che adesso ricopre, senza dubbio, il ruolo di reggente della famiglia di
Ficarazzi.
COMPARETTO
Giuseppe era stato tratto in arresto, unitamente a LO VERSO Stefano, agli inizi
del 2005, perché responsabile di aver favorito la latitanza di PROVENZANO
Bernardo.
Le indagini sulla consorteria ficarazzese hanno
evidenziato come gli affiliati, a causa delle efficaci operazioni di contrasto,
cerchino in tutti i modi di evitare di “parlare tra loro”, comunicando con il
metodo dei “pizzini”.
Le captazioni video hanno permesso di registrare tali
scambi di “pizzini” dei quali si riportano le immagini relative a quello avvenuto
tra LEONFORTE Atanasio e LA ROSA Giovanni il 7 novembre 2013.
LA FAMIGLIA MAFIOSA DI ALTAVILLA MILICIA
Dopo l’operazione Argo, in assenza di un reggente formalmente investito, LO
COCO Pietro prendeva in mano le redini della famiglia altavillese,
forte sia del sostegno del sodale RIZZO Giovan Battista sia della manovalanza
di spregiudicati “picciotti”.
Dopo la scarcerazione di MODICA Michele (7 dicembre 2013),
però, alcuni autorevoli sodali, in particolare LOMBARDO Andrea e RIZZO Giovan
Battista, ordivano un piano per “accantonare” il LO COCO e far assumere al
MODICA la “reggenza” della consorteria.
LOMBARDO Andrea, organico alla famiglia di Altavilla Milicia, nel corso di una
conversazione ambientale con RIZZO, commentando l’elevato spessore criminale
del MODICA, ritenuto persona di grande esperienza, sottolineava
il proprio ruolo di “eminenza grigia” del capo, in grado di orientarne
decisioni e strategie, affermando testualmente che: “nca com'è...e ti
dico una cosa... se prima non la dice a me...(…) no...se si deve
vedere con qualcuno... mi dice "tu che ne pensi?...Tu che"
capisci?!”.
Nel mese di gennaio 2014 , il MODICA, facendo forza sul consenso ricevuto
dagli affiliati, assumeva dunque la piena “reggenza” della consorteria e ne
ripristinava gradualmente l’operatività criminale.
MODICA metteva a disposizione della famiglia mafiosa di Bagheria il gruppo
di “picciotti” di Altavilla, cui affidava anche il delicato compito di recapito
dei tradizionali pizzini, in quanto ritenuti il mezzo più sicuro per le
comunicazioni.
Nel febbraio 2014, i carabinieri di Bagheria rinvenivano dei pizzini
all’interno di un casolare diroccato di Altavilla Milicia. I documenti
fornivano informazioni di straordinaria valenza investigativa sulle strategie
operative del sodalizio e sulle potenziali vittime dell’attività estorsiva,
orientata anche sulla frazione marinara di Porticello.
Sul conto di MODICA Michele, detto “l’americano”,
è opportuno anche ricordare che è già stato condannato per il reato di cui
all’art. 416 bis c.p., avendo anche militato tra le file di Cosa nostra
canadese. Dopo essere rientrato in Sicilia, il MODICA ha continuato a mantenere
i contatti con la mafia d’oltre oceano e, in particolare, con PIMENTEL
Fernando (rinvenuto cadavere nelle campagne di Casteldaccia l’
08.05.2013), ospitato a Bagheria fino a quando il MODICA veniva tratto in
arresto (luglio 2008) unitamente a CARBONE Andrea Fortunato e CECALA Emanuele,
in quanto ritenuti responsabili del progetto omicidiario nei confronti di
Pietro LO IACONO, detto “il due di spade”, uomo d’onore della famiglia di
Bagheria.
I REATI CONTESTATI
IL TENTATO OMICIDIO DI SALERNO NICASIO E
L’OMICIDIO DI CANU ANTONINO.
Le indagini hanno consentito di far luce anche su alcuni fatti di sangue:
il tentato omicidio di SALERNO Nicasio e l’omicidio di CANU
Antonino, entrambi avvenuti a Caccamo.
Il 23 agosto 2005, alle ore 01.00 circa, a Caccamo, due uomini
travisati ed armati di pistola tendevano un agguato a SALERNO Nicasio,
mentre in compagnia della moglie si accingeva a rincasare. I colpi esplosi non
lo raggiungevano e il SALERNO riusciva a fuggire e a trovare rifugio presso la
locale Stazione Carabinieri.
Secondo quanto emerso dalle indagini, e in particolare dagli accertamenti
tecnici, la sera del 23 agosto 2005, uno dei due soggetti che aveva sparato
all’indirizzo del SALERNO era stato CECALA Emanuele, che riteneva la vittima
responsabile del furto di un escavatore patito dallo zio e, per questo, già il
giorno prima, dopo avergli intimato di riconsegnare il mezzo, l’aveva
malmenata.
Il 27 gennaio 2006, CANU Antonino si era
recato a Caccamo a un appuntamento con CECALA Emanuele e MODICA Michele.
Il successivo 28 gennaio 2006, il CANU veniva rinvenuto cadavere in quanto
attinto da colpi d’arma da fuoco alla testa.
Secondo quanto accertato, quindi, nel pomeriggio del 27 gennaio il CANU era
stato attirato in una “trappola” dai suddetti CECALA e MODICA, perché da loro
ritenuto responsabile di alcuni reati commessi fuori dal loro controllo e della
mancata esecuzione di una rapina ai danni di un istituto di credito.
Le attività tecniche hanno poi consentito di accertare che l’omicidio del
CANU, colpito alla testa con tre colpi di arma da fuoco a distanza ravvicinata,
era stato verosimilmente consumato all’interno dell’autovettura in uso al
MODICA, utilizzata anche per trasportare il cadavere sul luogo del
rinvenimento.
Dalle intercettazioni effettuate a carico di MODICA Michele e CECALA
Emanuele in altro procedimento penale è emerso che:
- il
giorno dell’omicidio (27 gennaio 2006) CECALA aveva dato appuntamento al CANU (Cecala:
“Qua io sono, avvicina qua da Emanuele …” - Canu: “Io, ... io sono qua a
Palermo, il tempo della strada” - CECALA “Va be, io sono qua, se tu vieni
all’orario” - CANU: “Can Ah fra un’orata, il tempo dico della strada”) e,
successivamente, il MODICA, in ambientale, domandava “...sti cosi
lamu a ghittari?”,e CECALA gli rispondeva “eh!
o ... ghiettale, ettale no cà però”);
- il giorno
successivo all’omicidio, dopo aver provveduto a disfarsi dell’autovettura
utilizzata per trasportare il cadavere, MODICA chiedeva a persona a lui vicina
di andare a prenderlo dallo sfasciacarrozze dove aveva demolito l’auto (Modica:
“eh ... eh ... ti vengo a prendere ma dove mi devi venire a prendere se non sai
dove sono”, e l’altro rispondeva di averlo capito, “… là allo sfascio”).
I due eventi delittuosi sono accomunati da una stessa chiave di lettura,
ossia entrambe le vittime erano soggetti facenti parte di un gruppo criminale
dedito alla commissione di reati predatori, circostanza questa più volte
osteggiata anche dagli stessi vertici di Cosa nostra.
LE ESTORSIONI
Il dato di particolare interesse che merita di essere evidenziato è che,
per la prima volta in maniera così significativa, in un territorio storicamente
pervaso dall’omertà, moltissimi imprenditori e commercianti vittime di
estorsione hanno fornito la loro piena e consapevole collaborazione,
liberandosi dal “giogo mafioso” e denunciando i loro aguzzini.
Le indagini, infatti, hanno consentito di ricondurre al sodalizio la
responsabilità di ben 44 estorsioni commesse ai danni di imprese edili,
commercianti operanti nel settore del pesce, aziende di macellazione,
commercianti all’ingrosso di alimenti, supermercati, autofficine, rivenditori
di auto e pneumatici, autolavaggi, agenzie di scommesse, centri di analisi
cliniche e case di riposo.
Più di dieci sono le imprese edili che hanno subito richieste estorsive con
la compartecipazione delle famiglie mafiose competenti sia sul territorio della
sede dell’impresa sia su quello di svolgimento delle opere.
Molti imprenditori edili, stanchi di subire le continue vessazioni, hanno
deciso, quindi, di denunciare, raccontando non solo le estorsioni più recenti,
ma anche quelle che dall’inizio della loro pluriennale attività avevano, loro
malgrado, accompagnato il lavoro.
Si è anche dimostrato che le imprese edili, oltre a subire le “messe a
posto”, sono state costrette a tollerare le imposizioni di ditte a cui
subappaltare i lavori. Ciò era emerso già nell’indagine “Argo”, ove si era
dimostrato che l’allora reggente del mandamento DI SALVO Giacinto imponeva la
ditta del proprio genero CANALE Giuseppe.
Dopo l’arresto del DI SALVO, però, DI FIORE Giuseppe e GUTTADAURO Carlo
imponevano altra ditta, estromettendo quella del CANALE, con la conseguente
disapprovazione del DI SALVO. Quest’ultimo, in un’intercettazione in carcere,
dopo aver saputo dal genero quanto stava accadendo per un lavoro a Ficarazzi
gli diceva di recarsi da COMPARETTO Giuseppe per riferirgli: “ho
problemi con questi scemi … a Ficarazzi comandano ... comandavamo io e lui ...
pure a Ficarazzi e loro tutti muti ... e glielo dici che glielo fa sapere di
starsi muti ...”.
Il DI SALVO, inoltre, per contrastare la
gestione DI FIORE - GUTTADUARO, rendeva noto ai familiari che, a breve, sarebbe
stato scarcerato LO PRESTI Tommaso (“Tommaso, Tommaso ... Masino ...
così si chiama, LO PRESTI” ...”), il quale avrebbe risolto la
situazione (“a Palermo c’era uno che era con me che a breve dovrebbe
uscire ... e gli ho spiegato alcune cose ... dice ... “appena esco io se ne
parla” ... per Ficarazzi ... non li farà avvicinare lui a Ficarazzi ... hai
capito?”).
Altro “settore” particolarmente preso di mira è risultato essere quello dei
commercianti di pesce di Porticello, frazione del comune di Santa Flavia
particolarmente attiva nel settore del commercio all’ingrosso del pescato. Le
indagini hanno consentito di captare in “diretta” le “messe a posto” e di
individuare in LO PIPARO Salvatore e DI SALVO Giovanni, gli autori delle
richieste estorsive avanzate su incarico di FLAMIA Giovanni Pietro e PROVENZANO
Giorgio. Particolarmente inquietante l’attività intimidatoria posta in essere
per convincere le vittime a pagare, recapitando loro proiettili e “teste di
capretto”.
A tal proposito risulta eloquente l’intercettazione ambientale di una
conversazione tra DI SALVO Giovanni e LO PIPARO Salvatore, nella quale
quest’ultimo afferma: “Andiamo a Bagheria, prendiamo una testa di
capretto, gli prendiamo due cartucce di fucile normali e gliele mettiamo in
bocca nella testa di capretto, ci mettiamo un bigliettino
... stai attento a cosa fai (…) glielo attacchiamo nel cancello,
questo lo possiamo fare pure adesso, prendiamo una testa di capretto e lo
facciamo (…) mettiamo due cartucce di fucile, con un sacchetto e glielo
attacchiamo nel portone, che loro già lo capiscono che non devono romperci …”.
LE RAPINE
Anche il settore delle rapine è risultato essere di particolare interesse
per la consorteria.
Le indagini hanno consentito di accertare la consumazione di una rapina in
un’abitazione di Altavilla Milicia e svariati tentativi di rapina non portati a
compimento grazie all’intervento dei carabinieri.
L’INCENDIO DELL’ABITAZIONE DI UN NOTO
PROFESSIONISTA E IL SEQUESTRO DI PERSONA DEL DOMESTICO
Il 22.3.2004, ad Aspra, tre soggetti penetravano nell’abitazione di un
noto professionista e, dopo aver immobilizzato con del nastro adesivo
il domestico e averlo condotto fuori casa, cospargevano di liquido infiammabile
l’immobile appiccandovi fuoco. Le indagini consentivano di ricondurre la
vicenda a COMPARETTO Giuseppe e a BARTOLONE Carmelo (quali esecutori materiali)
nonché a MORREALE Onofrio (all’epoca reggente del mandamento
Bagherese), che avrebbero agito per punire il professionista in quanto
ritenuto responsabile di aver venduto un’abitazione a persona non gradita.
LE ARMI
La disponibilità di armi da parte della famiglia mafiosa di Bagheria
risulta da numerose intercettazioni ambientali. E’ emerso che i sodali più
attivi, soprattutto quelli dediti alle estorsioni, hanno la disponibilità di
armi da fuoco che minacciano di utilizzare nel caso di mancato pagamento del
“pizzo”.
ELENCO ARRESTATI
01. GRECO Nicolò, detto Nicola, nato
a Bagheria (PA) il 16.06.1942, ivi residente - Reggente del Mandamento di
Bagheria - REGGENTE DEL MANDAMENTO DI BAGHERIA;
02. DI FIORE Giuseppe, nato
a Bagheria (PA) il 25.06.1949, ivi residente - REGGENTE OPERATIVO DEL
MANDAMENTO DI BAGHERIA;
03. GUTTADAURO Carlo, nato a
Bagheria (PA) il 29.03.1956, ivi residente nella frazione di Aspra;
04. PIPIA Francesco, nato a Bagheria (PA)
il 07.03.1957, ivi residente;
05. PROVENZANO Giorgio, nato
a Palermo il 07.03.1966, residente a Bagheria (PA);
06. FLAMIA Giovanni Pietro,
detto “u’ Cardiddu”, nato a Palermo il 20.06.1954, residente a
Bagheria nella frazione di Aspra;
07. LO PIPARO Salvatore,
nato a Palermo il 02.12.1972, residente a Bagheria, frazione di Aspra;
08. DI SALVO Giovanni, nato
a Santa Flavia (PA) il 15.10.1962, ivi residente;
09. MORSICATO Benito, nato a
Palermo il 21.06.1978, residente a Bagheria (PA);
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