Totò Riina |
E’ difficile da accettare, ma anche un uomo senza scrupoli, autore di
delitti, mandante di stragi, coltiva una morale e ne rispetta i valori.
Che assomigliano a quelli della gente comune. Il crimine, la prepotenza, la
violenza, la sopraffazione si coniugano con l’amore filiale, la sacralità della
sposa, il rispetto per i genitori e la famiglia. Totò Riina è la testimonianza vivente di questo “ossimoro”: in lui convivono
la morale comune, peraltro severa, e l’attitudine al crimine. Questa apparente
incoerenza è speculare alla “indulgenza” che la Chiesa ha avuto in passato e
per lungo tempo verso boss e padrini di mafia e spiega i vecchi rituali
dell’affiliazione alla “famiglia”: il sangue dell’affiliato,
“punciuto” si mescola a quello del santo, evocato con il “santino”,
rappresentando in modo esemplare i due volti, inconciliabili, del mafioso.
Dobbiamo ad una esemplare ricostruzione della storia di Totò Riina, negli
anni successivi alla cattura, realizzata dal giornalista Francesco Vitale per
Tg2 Dosssier, la comprensione della morale divisa del padrino: la
preghiera e il crimine, il rispetto della famiglia di sangue, il disinvolto
esercizio del crimine e l’adesione a regole senza tempo, scandite dalla fedeltà
e dall’amore per i congiunti, genitori moglie e figli.
Tg2 Dossier ha messo in scena il capo dei capi, riproponendo brani di
interrogatori nei processi in cui Riina è stato chiamato sul banco
degli imputati o nelle conversazioni durante le pause delle udienze
con avvocati e giornalisti.
I video , talvolta senza commento, ci fanno scoprire un padrino inedito.
Totò Riina si sente vittima della cattiva sorte – “sono stato
tragediato dalla vita” – e delle “bugiarderie” dei pentiti, “tragediatori”
di professione, fabbricanti di intrighi, e afferma di essere una persona
integra e rispettosa. “Non fumo, non bevo, non gioco a carte”,
ribadisce più volte. E invitato a parlare di sé nel corso di un interrogatorio
reclama la sua “diversità”, il suo rigore, affermando di non vivere “di
corruttela morale”. Ed è per questa ragione che rifiuta tenacemente di
incontrare Masino Buscetta, il quale ai suoi occhi rappresenta l’icona
dell’immoralità.
Non ci sarà perciò mai e poi mai un confronto con il suo accusatore
principale, e perciò la rinuncia, in definitiva, a difendersi. Masino
Buscetta, infatti, non è “avvicinabile”: è “immorale”, ed è immorale
perché non ha avuto una vita familiare degna di questo nome. Non sono le
“delazioni”, il tradimento della mafia, a provocare l’aspra reazione del capo
dei capi, ma la vita dissoluta del pentito, e la sua fama di trafficante di
droga, di “rovina famiglie”.
Incalzato dal presidente della Corte, che insiste sulla necessità del
confronto con Masino Buscetta, Totò Riina proclama la volontà di non
subire la “contaminazione”. ”Ho una moglie giovane e quattro gioielli di
figli – spiega – mio padre e mio nonno persero la moglie e non ebbero altre
donne… Con lui non ci parlo, è uno che ha donne, e ha la droga, che rovina vecchi
e bambini”.
Le stragi, i delitti, le prepotenze. “Cosa nostra? Il mio mestiere è stato
quello di agricoltore da giovane,dopo mi sono dato da fare quando sono
diventato latitante, perché dovevo campare la famiglia. Sono un
lavoratore, nullatenente…”.
Sono le parole di Totò
Riina negli anni Novanta. Poi è cambiato tutto, è il 2013, venti anni dopo:
detenuto nel carcere di Opera, nell’ora d’aria, conversando con un affiliato
della Sacra Corona Unita, uno sconosciuto o quasi, “si leva il testale”, rivendica
la regia della strage, si fa un vanto degli attentati, minaccia i magistrati,
ammonisce i nemici, Un altro uomo. E’ questo il vero Riina?
Probabilmente sono veri
entrambi, il primo – tutto casa e famiglie – e l’altro, improbabile vendicatore
di Cosa nostra.
Fonte: Siciliainformazioni.com
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