Leonardo Vitale |
Quarantuno
anni dopo, Sergio Flamia, racconta la nuova mafia di Bagheria e dintorni, con i suoi collegamenti
oltreoceano. Fa arrestare 31 persone. Non c’è un solo colletto bianco, anzi.
Flamia svela che un collaboratore di giustizia dice bugiarderie dul conto
di un servitore dello Stato. Alcuni magistrati gli credono, altri invece dicono
che è inattendibile proprio per questa ragione. Non è pazzo, come
Leonardo Vitale, ma un mistificatore sì.
Chi volesse capire come è cambiata la mafia in Sicilia
deve studiare il caso Vitale ed il caso Flamia. Troverebbe tutto ciò che cerca,
analogie impressionanti e diversità.
Leonardo
Vitale, a proposito di diversità, è un pentito, Sergio Flamia un
collabarore di giustizia. Non è cosa da poco: il primo non potè utilizzare
la premialità oggi concessa ai collaboratori, e così finì nei manicomi
criminali di mezza Italia. Se non era pazzo, ci diventò.
Sergio
Flamia si accusa di delitti come Vitale, ma ottiene tutela e mezzi di
sostentamento. Il pentito è costretto a frequentare in carcere e nelle
udienze dei processo, i boss che accusa nelle sue confessioni; Sergio Flamia è
un infiltrato, continua a delinquere per non essere scoperto, consegna alla
giustizia i clan e a conclusione del lavoro, non ha nulla da temere per
sé. Sicurezza, assistenza. Tutto ciò che serve per sopravvivere alle
rivelazioni.
La licenza
di delinquere e, soprattutto, i sospetti lanciati su un collaboratore di
giustizia, che accusa il colonnello Mori di avere trattato, a nome dello Stato,
i boss nel 92/93, suscitano il dissenso dei pm impegnati nel
processo sulla trattativa Stato-Mafia, che vede l’ex alto ufficiale dei
carabinieri sul banco degli imputati.
Dopo la
retata del 1973 cominciarono i guai di Leonardo Vitale, dopo la retata dei
giorni scorsi potrebbero cominciare perciò i guai di Sergio Flamia. Il mondo di
Flamia è un altro e Flamia è un lucidissimo collaboratore di giustizia (
ha riferito una ottantina di omicidi, quaranta anni di crimini) , ma la storia
si ripete.
Qualcosa non
quadra, tuttavia. E’ dal 2008 che i servizi si servono delle soffiate
di Flamia, lasciato in carcere per potere mantenere i contatti con i clan.
La qualità delle sue esternazioni avrebbe dovuto essere apprezzata o, al
contrario, giudicata una mistificazione, un imbroglio. E’ singolare che dopo
cinque anni di collaborazione la sua attendibilità sia ancora, letteralmente,
sub judice.
Le due
retate, infine. Nel 1973, la mafia era impastata con la politica.
Nel 2014 la mafia impone il pizzo agli imprenditori, ricatta e minaccia. La
cupola ha cambiato nome, si chiama direttorio, e i collegamenti nelle varie
province sono mantenuti attraverso regole adottate di comune accordo per
ottenere il controllo del territorio ed evitare sconfinamenti e guerre.
Sembra tutto uguale a prima, ma non èaffato così. Quella odierna è una
struttura orizzonate, non piramidale. Assai simile alle
organizzazioni criminali americane, clan di gangster agguerriti. Né rituali, né
padrini politici. Contiguità e collusioni, certo. Da verificare.
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