Nel pomeriggio del 17 giugno sono intervenuto al Senato dove si discuteva la Relazione
della Commissione antimafia sulle prospettive di riforma del sistema di gestione
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. I beni
confiscati rappresentano uno straordinario patrimonio economico e simbolico per rafforzare, attraverso il loro riuso sociale e produttivo, il
contrasto alle mafie e la promozione della legalità e dello sviluppo. Spesso
tuttavia, a causa di una serie di difficoltà, lo Stato fa una grandissima
fatica a riutilizzare i beni confiscati. Ecco perchè è necessaria una riforma che snellisca le procedure e
assicuri il loro riuso. Di seguito il
testo integrale del mio intervento.
Giuseppe Lumia
Signor
Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, siamo di fronte a un
buon lavoro che ha fatto la Commissione parlamentare antimafia su un tema
decisivo, strategico, molto delicato: l'aggressione ai patrimoni dei boss mafiosi e soprattutto la loro
destinazione sociale e produttiva, un tema molto caro alla grande intuizione di
Pio La Torre.
Fu
un'invenzione di portata straordinaria quella di aprire, nella lotta alla
mafia, all'aggressione ai patrimoni. Ricordo a tutti i colleghi che questo causò
quel periodo devastante che nel 1982 portò prima alla caduta, il 30 aprile, di
Pio La Torre e di Rosario Di Salvo, e poi, il 3 settembre, del generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa, che con Pio La Torre condivideva questa moderna
strategia.
Il Parlamento arrivò
dopo, il 13 settembre, quando decise di dar vita alla normativa contro
l'associazionismo mafioso, prevedendo il 416-bis e aprendo, quindi, finalmente, la via
all'aggressione ai patrimoni.
Colleghi, siamo
dovuti poi arrivare al 1996 per definire la destinazione sociale e produttiva
dei beni confiscati: una tappa importantissima a cui si è pervenuti grazie
anche al milione di firme raccolte dal mondo associativo guidato da Libera.
All'epoca ero un giovane parlamentare che, alla Camera, con altri colleghi,
partecipò alla stesura del relativo testo. Rappresentava un'altra novità
assoluta il fatto di preoccuparsi della destinazione sociale e produttiva dei
beni confiscati. Mi ricordo che non avevamo alle spalle un'esperienza che ci
potesse aiutare, perché pochissimi casi erano giunti alla confisca definitiva e
quasi nessun bene alla destinazione sociale. Elaborammo quindi un modello,
un'idea.
Cari colleghi,
l'esperienza ci impose poi alcune considerazioni e valutazioni e arrivammo
finalmente all'approvazione di quell'altra grande idea - è l'anno 2010 - che è
la costituzione dell'Agenzia. Dobbiamo riconoscere con molta onestà
intellettuale che, nella fase applicativa, sono molti i limiti, i fallimenti e
le difficoltà incontrate. La fase applicativa - come accade di solito nel
nostro Paese - non ha dato il meglio di sé. Per questo motivo il lavoro della
Commissione è preziosissimo, perché sfida il Parlamento a trovare moderne
soluzioni in questo punto delicato: fare in modo che l'aggressione ai patrimoni
possa diventare una grande risorsa per creare legalità e sviluppo nel nostro
Paese. Sono migliaia i beni confiscati e m! iliardi le risorse confiscate. Non
possiamo lasciare questi beni in freezer,
congelati, non usarli, perché potrebbero diventare servizi sociali diffusi
capillarmente nel nostro Paese. Alcuni lo sono, ma sono pochi. Le aziende
potrebbero dare lavoro ma, al contrario, sono pochissime quelle ritornate
produttive, perché nella stragrande maggioranza dei casi sono fallite. Ricordo
al riguardo due casi micidiali, due storie diventate due storiacce. Mi
riferisco al fallimento del Gruppo 6 GDO, facente parte del Gruppo Despar di
Giuseppe Grigoli, prestanome del boss ancora latitante Matteo Messina
Denaro. Centinaia sono i posti di lavoro che rischiano di saltare, quando
invece si avrebbe la moderna opportunità di consegnare quella realtà al
territorio dimostrando che, con l'antimafia, lo Stato è in grado di promuovere
il lavoro meglio e di più della mafia.
Un'altra
vicenda trasformatasi in storiaccia riguarda la Riela Group, che lavora nel
campo dei trasporti. Si tratta di una realtà in mano alla mafia di Ercolano,
che è stata così abile da svuotarne il contenuto e da farla diventare una
scatola vuota non più in grado di agire come potenzialmente avrebbe potuto
fare. È un'altra storia pessima, come ce ne sono tante altre nel nostro Paese,
che la Commissione ha raccontato e descritto per potere da esse trarre alcune
lezioni.
La prima
lezione è che bisogna passare ad una fase progettuale, sistemica, fatta bene,
che cura i particolari e non si limita semplicemente a definire le norme in
generale, ma è in grado di entrare nel merito e di fare dell'aggressione ai
patrimoni una nuova stagione di lotta alla mafia nel nostro Paese.
Il senatore
Gaetti, vice presidente della Commissione, ci ha descritto l'organizzazione del
documento, le analisi fatte e le proposte avanzate. Ci sono alcuni punti di
fronte a noi molto evidenti.
Cresce in modo
esponenziale il numero delle confische, quasi triplicato nel 2012 rispetto al
2011 (è un dato costante), mentre non vi è stato lo stesso andamento per quanto
riguarda le confische definitive e le loro assegnazioni: dal 2009 non ci siamo.
Si è avuto un picco di recente, nel 2013, ma anche questo non è un fatto che ci
lascia tranquilli, perché comunque è lontano dai numeri assoluti e potenziali
che ci sono.
È come se ci
trovassimo di fronte a questa condizione: c'è una richiesta e una fame da parte
dello Stato di avere delle sedi per gli enti locali, c'è ancora fame e sete da
parte delle associazioni di ottenere un bene confiscato, c'è ancora una sfida
senza precedenti di reimmettere nel circuito legale aziende sottratte
definitivamente a dei boss,
e lo Stato complessivamente si comporta come se ci fosse una fabbrica di
automobili in grado di produrre a pieno ritmo, con i cittadini che sono pronti
a comprare queste auto, ma nei concessionari ci sono i piazzali pieni, e quelle
macchine non si vendono. Questa è la condizione di oggi che dobbiamo affrontare
e alla quale dobbiamo dare una risposta seria e qualificata.
La prima
questione è quella dei tempi della fase processuale: c'è bisogno di un
tribunale specializzato, e questo può avvenire se si mettono al centro le sedi
distrettuali. Il presidente Grasso conosce quest'idea tanto cara a Falcone, che
deve essere completata, resa sistemica e capace finalmente di decollare.
Bisogna potenziare anche le misure di sequestro patrimoniale preventivo, ma
anche l'aggressione ai patrimoni e il sequestro penale. Bisogna dare finalmente
maggiori poteri al procuratore nazionale antimafia. Bisogna insomma fare in
modo che i tempi processuali, che nel codice antimafia erano stabiliti in due
anni e mezzo, siano reali e che ci sia un'ulteriore implementazione, attraverso
interventi chirurgici che possiamo effettuare sul piano normativo, per rag!
giungere uno standard elevato e di qualità in questa
delicatissima fase.
L'altro punto
che veniva sottolineato è quello dell'affidamento dei beni. Sotto questo
profilo, ci troviamo di fronte ad una questione molto delicata. La Commissione
parlamentare stessa ha dovuto registrare un conflitto tra le sezioni delle
misure di prevenzione delle procure e la stessa Agenzia. Uno Stato non può
permettersi questo conflitto, quindi abbiamo bisogno di far decollare l'albo
degli amministratori giudiziari, con più criteri nella scelta degli
amministratori giudiziari, con meno discrezionalità e più professionalità, e
dobbiamo creare una sinergia e una collaborazione tra l'Agenzia e le sezioni
delle misure di prevenzione, in un rapporto sinergico. Bisogna evitare che si
creino quelle zone opache, che pure ci sono state e che in div! ersi contesti
abbiamo dovuto analizzare.
Signor
Presidente, su questo punto la credibilità dello Stato è messa a dura prova:
chi si occupa dei beni non può essere un amministratore monopolista sul
territorio, ma bisogna allargare, bisogna avere più professionalità, bisogna
fare in modo che la gestione sia continuamente certificata, e va data
continuamente una giustificazione e anche una comunicazione pubblica dei
risultati.
I risultati
vanno garantiti, perché non conta gestire un bene, ma conta riaffidarlo
socialmente, e conta soprattutto, quando si tratta di un'azienda, rendere
produttivo quel bene. Per fare questo, però, in qualche occasione bisogna
saltare anche gli stessi amministratori giudiziari, perché quando si ha
un'attività specifica e particolare il migliore riutilizzo produttivo di
quell'azienda è di affidarla, soprattutto in fase di sequestro, a
un'azienda leader del settore, un'azienda di livello
internazionale. Ciò serve ad evitare, come nel caso dei supermercati, che anche
il più bravo amministratore, non essendo però dotato di quella cultura, di
quel know-how,
di quella professionalità specifica, pos! sa non essere in grado di mantenere
sul mercato un'attività così complessa e così sottoposta allo stress della concorrenza. Naturalmente,
quando poi quel bene è confiscato definitivamente può diventare oggetto di
prelazione per quell'azienda leader che ha dimostrato, con efficienza e
trasparenza, una moderna gestione e un mantenimento dei livelli occupazionali.
Signor Presidente,
anche sulla gestione dei beni siamo chiamati a fare un salto di qualità: va
organizzato meglio un fondo che ci viene richiesto da tanto tempo per quanto
riguarda la parte mobile, i soldi, i titoli.
Voi sapete,
colleghi, che tutto è andato a finire nel fondo giustizia, e anche su questo
fronte, prima di capire come realmente stanno le cose, la Commissione ha dovuto
sudare sette camicie, perché la complessità, il modello burocratico, i tanti
vincoli previsti impediscono a quella massa enorme (miliardi di euro) di
arrivare a diventare un'opportunità, in quel caso per la giustizia e per il
Ministero dell'interno.
Penso che
dobbiamo rivedere le procedure e dobbiamo fare in modo che il fondo giustizia
non solo sia destinato all'attività per i nostri magistrati e per i nostri
uffici (ad esempio, il 33 per cento), non solo per il Ministero dell'interno,
per le carenze che ha (il 33 per cento): ci vorrebbe un 33 per cento per
costituire un fondo per il rilancio sociale e produttivo delle attività, perché
un determinato bene immobile per diventare asilo nido ha bisogno di
investimenti; quella azienda per diventare azienda di mercato ha bisogno di
investimenti. Da quel fondo, da quel 33 per cento possiamo trarre le risorse
per fare un salto di qualità.
Questo però
richiede anche una rivisitazione strutturale del ruolo dell'Agenzia. Lo dicevo
allora proprio in quest'Aula, quando nel marzo 2010 approvammo il decreto che
lanciò l'Agenzia per i beni confiscati. Era un momento tanto atteso, però già
allora si scontrarono due approcci: il modello dell'Agenzia - chiamiamolo così
- a cultura ministeriale, l'idea che l'Agenzia dovesse diventare una sorta di
IRI, un altro Ministero gestito con una cultura burocratica, e un'altra idea
che allora non riuscì ad imporsi (ci provammo in tutti i modi ma non ci
riuscimmo), e cioè l'idea di un'Agenzia moderna. Colleghi, un'Agenzia moderna
non ha bisogno di un apparato elefantiaco, ma il paradosso è che quell'idea
burocratica alla fine si spos&ogra! ve; con un'Agenzia che aveva solo 30
unità di organico: un'idea vecchia con un corpo piccolissimo e non in grado di
operare. Adesso, invece, dobbiamo finalmente avere il coraggio di passare
all'idea di un'Agenzia moderna: basterebbero 60 unità professionalizzate al
massimo e avere comitati (che si è rivelato fattore di successo negli anni)
presso tutte le prefetture.
Colleghi, non
abbiamo bisogno di dividerci su dove l'Agenzia deve avere la sede centrale, se
a Reggio Calabria, a Palermo o a Milano: si può essere centralisti stando a
Reggio Calabria, a Palermo, a Milano. Noi abbiamo bisogno di un'Agenzia qui a
Roma che abbia soprattutto compiti di indirizzo, di controllo, con poteri
sostitutivi se sul territorio non si agisce, ma l'attività ordinaria deve
essere distribuita su tutti i territori presso le prefetture. Questa è una
proposta avanzata dalla Commissione ed è una proposta di eccellenza e di
qualità che ci fa uscire dal quasi fallimento di questi anni del modello di
Agenzia ministeriale.
È necessario
poi, Presidente, che l'Agenzia abbia la possibilità di valorizzare quelle
professionalità che il mondo imprenditoriale, le associazioni antiracket, la
stessa Confindustria hanno messo a disposizione dello Stato e tutta quella
conoscenza ed esperienza maturata nel mondo del volontariato e dell'associazionismo,
perché ci sono esperienze di successo, grazie al loro lavoro, che lo Stato deve
fare proprie.
Insomma,
Presidente, siamo chiamati a questo salto di qualità: la Commissione antimafia
ci offre questa opportunità e penso che, con la sua guida e con il contributo
di tutti i Gruppi, qui al Senato e poi alla Camera questo salto di qualità
finalmente lo possiamo e lo dobbiamo fare.
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