PALERMO – L’espansione delle mafie in aree diverse da quelle di genesi storica è ormai di lunga data. Il fenomeno è stato spesso spiegato equiparando la diffusione mafiosa a una patologia contagiosa che aggredisce un corpo sano, oppure rappresentando i gruppi mafiosi alla stregua di eserciti in armi che invadono e conquistano nuovi territori. Un’analisi approfondita mostra una situazione alquanto diversa, assegnando un ruolo cruciale alle condizioni economiche e politiche delle società locali.
Il libro della Fondazione RES “Mafie del Nord. Strategie criminali e
contesti sociali”, a cura di Rocco Sciarrone (Donzelli editore), si colloca in
questa prospettiva, presentando un’ampia indagine empirica, condotta in aree
specifiche di alcune regioni del Centro-nord (Lazio, Lombardia, Piemonte,
Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Veneto). Emergono modelli differenziati di
insediamento, in cui prevalgono organizzazioni riconducibili alla ’ndrangheta e
alla camorra, che riescono ad affermarsi utilizzando non solo competenze di
illegalità ma anche risorse di capitale sociale. In alcuni contesti si
osservano infiltrazioni nel tessuto economico, in altri risultano in crescita
situazioni di vero e proprio radicamento territoriale. In tutti i casi sembra
essere decisiva la presenza di soggetti «esterni» – imprenditori, politici,
professionisti – disponibili a intrecciare rapporti di scambio con i mafiosi.
È questa la vera novità delle mafie in aree «non tradizionali»: la presenza
di un’area grigia in cui pratiche di illegalità, spesso preesistenti,
favoriscono relazioni di complicità e collusione nella sfera legale
dell’economia, della politica e delle istituzioni. Un fenomeno autonomo che chiama in
causa tratti peculiari delle società del Nord. In questa chiave, la ricerca consente
anche di valutare criticamente gli interventi antimafia sul piano politico,
giudiziario e sociale, mettendo in luce la necessità di un salto di qualità non
più rinviabile.
«L’obiettivo principale – spiega Sciarrone – dovrebbe essere quello di
mettere a sistema le conoscenze sul fenomeno mafioso, in modo da
predisporre interventi più efficaci su diversi piani, compreso quello della
cosiddetta antimafia sociale. Occorre razionalizzare e coordinare le azioni
delle forze dell'ordine e della magistratura, anche con un miglioramento
qualitativo delle competenze (ad esempio a livello di intelligence). Infine, -
conclude lo studioso – è necessario intervenire sul piano legislativo incidendo
sul rapporto mafia e imprese, e più in generale colpendo i rapporti di contiguità
e di collusione facendo leva sugli strumenti di confisca e gestione dei beni
confiscati».
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