Pietro Ingrao |
di PAOLO FRANCHI
Ieri ha compiuto novantanove anni Pietro Ingrao, uomo del
Novecento che il secolo lo ha attraversato e vissuto intensamente tutto ma, per
quanto gli hanno consentito e gli consentono le forze, pure sul secolo e sul
millennio nuovi ha continuato a interrogarsi. Senza rinserrarsi nel
conservatorismo e nella nostalgia, senza alzare bandiera bianca. Ma ostinandosi
a cercare risposte alle sconfitte: «Pensammo una torre/scavammo nella polvere».
È stato rappresentato in tanti modi, spesso astiosi. Cocciuto, anzi, tetragono,
nonostante quel suo permanente arrovellarsi nel dubbio.
Oppure, al contrario,
astratto, sognatore, fumoso come se in testa avesse (si è sentita anche questa)
i soffioni di Larderello. Ma anche le definizioni giornalistiche («padre nobile
della sinistra comunista») non gli rendono giustizia. Forse perché è insensato
incasellare un personaggio così. Il giovane poeta che, «con dei brutti versi»
(dice lui) sulla bonifica delle paludi pontine arriva terzo ai Littoriali del
1934, dove «incontra l’antifascismo», e continua a scrivere e a pubblicare
libri di poesia (Il dubbio dei vincitori , L’alta febbre del fare , Variazioni
serali ) fino al 2000. Il giovane appassionato di cinema che si innamora dello
Chaplin delle Luci sulla città e di Tempi moderni («Ci ha sconvolto e
trascinato l’immagine della macchina, e di come l’operaio sta dentro la
macchina»), ma nel 1936, allo scoppiare della guerra di Spagna, scopre che,
senza dimenticare le altre, la sua passione più forte è la lotta politica.
L’antifascismo. E il comunismo che, ancora nell’89, rivendica (proprio lui,
così critico verso l’Urss e il cosiddetto «socialismo reale») come «orizzonte»
e, nello stesso tempo, come insopprimibile «grumo di vissuto». Suo, e di una
comunità che è stata e continua a pensare sua. Molti di noi, allora ragazzi,
ricordano le parole (a quel tempo drammatiche) con cui concluse, nel 1966, il
suo intervento all’undicesimo congresso del Pci: «Non sarei sincero se dicessi
a voi che sono rimasto convinto…». E ricordano pure quella grande platea che
applaudiva commossa, e quella presidenza immobile, muta, ostentatamente ostile.
Probabilmente aveva torto, Ingrao, sul piano politico. Ma da quel giorno la
rivendicazione del diritto al dissenso e la pratica del dubbio sono diventate,
in una sinistra che non le tollerava, la sua cifra. Auguri, Pietro.
Corriere della sera, 30.3.14
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