La copertina del libro |
di Alessandro Zardetto
In un saggio di Gayraud e Ruta, l’analisi
sugli intrecci perversi tra finanze e mafie nel mondo contemporaneo
Da poco uscito per la collana RX della
Castelvecchi Editore, Colletti criminali
è un saggio complesso, che suggerisce una chiave di lettura originale e coerente
a una serie di fenomeni degenerativi e di grande impatto nell’economia e nella
finanza del mondo contemporaneo. Scritto in forma di dialogo da due studiosi
autorevoli, Jean-Francois Gayraud, criminologo, e Carlo Ruta, storico e
saggista, questo libro pone sotto osservazione in particolare l’attuale ciclo
(o processo) criminale del capitalismo, che, sullo sfondo della deregulation e della
globalizzazione e capace di servirsi di tecniche sofisticatissime, mette in
scena, con una forte accelerazione rispetto ad altre epoche, corruzione, frodi
finanziarie, riciclaggio di denaro, paradisi bancari, traffici illeciti di ogni
tipo. Gayraud e Ruta, mettendo a confronto le loro esperienze analitiche, fanno
la storia del capitalismo criminale, dai «baroni ladri» statunitensi del primo
Novecento fino agli scandali dei nostri giorni (Madoff, prestiti subprime,
banca Lehman, etc.), per sottolineare le differenze tra passato e presente, e
per definire un modello interpretativo che contribuisca a chiarire meglio i
processi, non poco preoccupanti, di oggi.
I due studiosi documentano in primo luogo il carattere sistemico che assume oggi, nell’orizzonte capitalistico, l’elemento criminale organizzato. Servendosi di numerosi dati statistici e presentando un discreto numero di casi concreti, spiegano come mutano, pure attraverso scambi, intrecci e ibridazioni, il crimine dei colletti bianchi, l’organized crime e l’universo tipicamente mafioso. Interpretano in definitiva i mutamenti profondi in atto nelle strutture dell’economia, sempre più vincolata ai grandi poteri finanziari, mettendo in discussione alcuni capisaldi storici del pensiero liberista. Secondo Jean-Baptiste Say, il mercato, lasciato libero da ogni «interferenza» da parte degli Stati, sarebbe del tutto capace di autoregolarsi. La crisi in atto in numerosi paesi, propagatasi dal cuore dell’Occidente liberal e capitalistico, dimostra tuttavia, una volta ancora, che le cose non stanno così. E gli autori offrono di questo dissesto globale, oltre che dell’incongruenza della teoria da cui il neoliberismo trae le proprie giustificazioni, una spiegazione minuziosa, scorrendo tra l’altro in rassegna le condotte vistosamente criminali che sono a monte della depressione economica di questi anni.
I due studiosi documentano in primo luogo il carattere sistemico che assume oggi, nell’orizzonte capitalistico, l’elemento criminale organizzato. Servendosi di numerosi dati statistici e presentando un discreto numero di casi concreti, spiegano come mutano, pure attraverso scambi, intrecci e ibridazioni, il crimine dei colletti bianchi, l’organized crime e l’universo tipicamente mafioso. Interpretano in definitiva i mutamenti profondi in atto nelle strutture dell’economia, sempre più vincolata ai grandi poteri finanziari, mettendo in discussione alcuni capisaldi storici del pensiero liberista. Secondo Jean-Baptiste Say, il mercato, lasciato libero da ogni «interferenza» da parte degli Stati, sarebbe del tutto capace di autoregolarsi. La crisi in atto in numerosi paesi, propagatasi dal cuore dell’Occidente liberal e capitalistico, dimostra tuttavia, una volta ancora, che le cose non stanno così. E gli autori offrono di questo dissesto globale, oltre che dell’incongruenza della teoria da cui il neoliberismo trae le proprie giustificazioni, una spiegazione minuziosa, scorrendo tra l’altro in rassegna le condotte vistosamente criminali che sono a monte della depressione economica di questi anni.
Questo saggio si qualifica allora come
un punto fermo nella discussione attuale sul crimine in colletto bianco e sul
crimine organizzato, e per spiegarne meglio la struttura analitica, poniamo
alcune domande a uno dei due autori, Carlo Ruta.
D.
In Colletti criminali si parla di
contagi finanziari: di flussi di denaro che dal crimine organizzato si dirigono,
con una forza inusuale, verso il centro del sistema. Esistono prove definitive
di questo spostamento?
R. Sul contagio tra economie
tipicamente illegali e l’alta finanza esistono dati consolidati a tutti i
livelli, in quasi tutte le aree della terra. Il mondo criminale detto
comunemente organized crime, che
domina tradizionalmente i più cospicui traffici illeciti, dalle droghe alle
armi, dai racket estorsivi alle tratte degli esseri umani, negli ultimi decenni,
e soprattutto dopo l’implosione del mondo sovietico, ha assunto un rilievo da potenza
economica. E la stessa ONU ha dovuto prenderne atto, promuovendo nel 2000, per
la prima volta nella sua storia, un trattato multilaterale contro la
criminalità organizzata transnazionale. Dall’altro lato, la corruzione, la
frode finanziaria, il riciclaggio di denaro sporco e i paradisi bancari e
fiscali, che chiamano in causa un altro mondo, quello dei colletti bianchi, sono
riconosciuti ormai come fenomeni di estensione globale. Il contatto tra queste
realtà, non più episodico ma organico e tendenzialmente sistemico, sta
diventando allora la nuova normalità, l’ordine delle cose con cui fare i conti.
Tutto questo è documentato appunto in tutti i continenti, e prese d’atto
significative, più o meno ufficiali, si registrano pure in seno ai maggiori organismi
sovranazionali. Per citare un caso tra i più sintomatici, nel 2009 il direttore
generale dell’UNODC, l’italiano Antonio Maria Costa, non ha avuto remore a
dichiarare a un giornale austriaco che in quello stesso anno ben 325 miliardi
di euro provenienti dalla criminalità organizzata internazionale erano stati
richiesti e impiegati per fronteggiare la crisi in Europa. Secondo Costa, di questa
liquidità monetaria avrebbero beneficiato, in particolare, grandi banche
inglesi, svizzere e italiane, tutte vicine al tracollo.
D. Le
organizzazioni di stampo mafioso sono coinvolte in questo mutamento, e in che
modo?
R. Da una mole grandissima di casi e
di fatti accertati si evince insomma che il capitalismo, nelle sue aree più
forti e strutturate, cioè al livello delle grandi corporazioni e della finanza
globalizzata, sta evolvendosi in direzione criminale, mentre tende ad assorbire,
in modo sistemico appunto, gli aspetti più «produttivi» dell’organized crime. Anche le realtà di
stampo mafioso, che presentano delle tipicità importanti, quelle che più permettono
loro di fare sistema e, comunemente, di influire sulla vita pubblica dei paesi,
possono risultare coinvolte allora in questo mutamento. Negli anni recenti non
sono mancati segnali, più o meno chiari, di riposizionamenti strategici. Per
inciso, si può dire allora che anche l’analisi dei fenomeni tipicamente mafiosi
potrebbe richiedere, alla luce di quanto sta accadendo, aggiustamenti e
aggiornamenti. E il caso della mafia siciliana, con le sue recenti ibridazioni e riconversioni, con i
suoi intrecci, e perfino con le «crisi identitarie» che hanno colpito i suoi
ranghi, presenta al riguardo aspetti interessanti. Nell’isola il capitalismo
criminale è andato strutturandosi principalmente, dal dopoguerra agli ultimi
decenni, attraverso varie fasi di capitalizzazione delle compagini mafiose: con
il contrabbando dei tabacchi lavorati, la droga, il patto con la politica, il
controllo degli appalti. Ma oggi non pochi segnali sembrano suggerire che questo
capitalismo, pur rimanendo intimamente mafioso, non si rispecchi per intero nelle
strutture, da tempo seriamente colpite, dell’organizzazione Cosa nostra, potendo
trovare posto più vantaggiosamente in un territorio economico e finanziario ben
più esteso e meglio garantito, incardinato sulla frode e la corruzione, quindi,
già per se stesso, sufficientemente criminale.
D.
L’attuale evoluzione criminale del capitalismo è un ciclo, destinato ad
esaurirsi, o un processo irreversibile?
R. Se le politiche degli Stati,
ispirate a alla razionalità, al diritto e all’equità, non riescono a prendere
il sopravvento su quelli che Keynes chiamava gli aninal spirits del capitalismo, gli esiti potrebbero essere
disastrosi. Il capitalismo criminale sembra configurarsi come una fase molto
avanzata dell’imperialismo finanziario che è il punto focale dell’attuale
globalizzazione. Il trionfo definitivo della finanza criminale, deregolamentata
e senza confini, sulle politiche degli Stati, potrebbe aprire allora a processi
di lunga durata di tipo involutivo. Marx,
nel primo libro del Capitale parlava
dell’accumulazione originaria del capitalismo come di un’epoca di brutalità, di
crimini estremi, al di là di ogni regola. È legittimo chiedersi allora se il
capitalismo odierno, non quello che rispetta le regole, ma quello, largamente
egemone, delle grandi corporazioni e degli imperi finanziari, che sta
progredendo appunto in senso criminale, non senta il richiamo irresistibile di
quella lontana «epica» selvaggia e predatrice.
Fonte: Narcomafie n. 3, 2014
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