Il "santuario" dell'eremita (Foto: Giulio Giallombardo) |
A Palermo c’è una “via
santa” che non tutti conoscono. Un sentiero “iniziatico” che s’innalza per
oltre quattrocento metri fino a raggiungere la cima del Monte Gallo, tra
Mondello e Sferracavallo. È lì che Nino “l’eremita”, noto anche col
nome di Israele, ha scelto di consacrare il suo personalissimo “santuario”,
ricavato all’interno del Semaforo borbonico, vecchio faro poi
utilizzato come osservatorio militare.
Se il presidio, che ricade all’interno
della Riserva naturale di Capo Gallo, è ancora in piedi, lo si deve agli
interventi di ristrutturazione dell’eremita che lì abita, estate e inverno,
ormai da una quindicina d’anni. Il merito più grande di questo bizzarro
personaggio è quello di aver ricoperto gli interni del Semaforo con
straordinari mosaici dal fortissimo impatto visivo. Un lavoro cesellino, fatto
in solitudine e in silenzioso accordo con la natura, un’opera di riscrittura
dello spazio che adesso è quasi del tutto completata.
Già all’inizio del cammino che porta
all’ex faro, nel punto dove termina via Tolomea ed inizia via Del Semaforo, Nino
ha voluto lasciare i “segni” del suo passaggio, ribattezzando la strada col
nome di“via santa”. L’odonomastica “sacra” è scritta sui muri di
contenimento che costeggiano il percorso e stride con lo spettrale spettacolo degli scheletri
abusivi di Pizzo Sella, che di “santo” non hanno proprio nulla. Poi, quando
il cemento lascia posto al sentiero, diventano sempre più frequenti le
decorazioni sulle pietre che rimandano all’esagramma di Davide, insieme a
cuori, triangoli e stelle comete. L’intenzione dell’eremita è chiara: guidare i
“pellegrini” nel suo regno esoterico, attraverso i simboli che lo animano,
anticipando ciò che sarà rivelato all’interno del “santuario”, come nelle
migliori tradizioni iniziatiche.
Così, dopo esser passati tra due alberi
decorati da esagrammi, come colonne di un tempio, ci si trova
davanti al Semaforo. La porta è sempre aperta, anche se è molto difficile
incontrare Nino, che di solito si allontana quando vede salire qualcuno. Una
luminosa anticamera accoglie il visitatore che si trova di fronte ad un uscio
coperto da una tenda rossa con una stella di Davide e un triangolo ricamati
sopra. Al di là della tenda, si apre un tripudio di mosaici: ogni
centimetro delle pareti è decorato da teorie di angeli, motivi geometrici,
croci, cuori e stelle, tutto segnato da un grande equilibrio di forme e colori,
che mescola sincreticamente motivi cristiani, islamici, ebraici e pagani.
Attorno al corpo centrale dell’edificio,
su cui si arrampica una scala a chiocciola che porta alla torre, si dispongono
altri ambienti, dove Nino ha ricavato una pulitissima e ordinata cucina, la sua
camera da letto, il bagno, un ambiente con un piccolo altare ed altre stanze
ancora vuote, ma anch’esse splendidamente decorate. Ma sacro e profano si
mescolano nell’art brut di Israele, tra un mosaico e l’altro,
spuntano ritagli e fotografie del Don Camillo di Fernandel, di Moana
Pozzi, di Papa Wojtyla e figure infantili come quella di un “orsetto” che
torna spesso nella sua iconografia.
Poco si conosce della vita di Nino.
Sessantenne, cresciuto nella borgata di Partanna-Mondello, si arrangiava facendo
il muratore. Poi intorno alla metà degli anni Ottanta ha ricevuto “la
chiamata del Signore”, lasciando moglie e figli e dando inizio ai suoi
pellegrinaggi. “Lo conosco da quando era un ragazzino, – racconta Salvatore
Callivà, 62 anni, artigiano edile di Piana degli Albanesi – ha lavorato con
me per un po’ di mesi, era puntuale, onesto, disponibile agli straordinari, poi
era molto intelligente”.
A Partanna, i più anziani si ricordano
bene di lui. Nino scende spesso nella sua borgata, coperto da un pastrano e con
uno zaino in spalla, dove raccoglie provviste e materiale per continuare il suo
lavoro. Se qualcuno gli chiede quando lascerà il suo eremo risponde: “Quando il
Signore mi chiederà di farlo”.
Nel frattempo, Israele ha creato dal nulla
uno straordinario esempio di arte “ecologica”, utilizzando per i suoi mosaici pietre e
vetri trovati lungo il cammino. Un’opera che è il risultato dell’accesa
ispirazione di un visionario in continuo dialogo con la natura. Nino, con la
sua arte “irregolare”, invita ad un viaggio misterico che porta alla scoperta
di un “ideale” luogo perduto, dove la forza evocativa del paesaggio si fa
interrogativo escatologico, all’insegna di un’arte che diventa rivelazione.
Fonte: Siciliainformazioni.com
(Foto: Giulio Giallombardo - © Riproduzione riservata)
1 commento:
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