Il Crocifisso di Giuliana, scultura lignea cinquecentesca, su croce di diaspro |
Il “caso” del
Crocifisso della pioggia: una errata corrige da ri-correggere. Memoriale (tra cronaca e storia)
«Bisogna sapere che la storia ci appartiene», soleva dire il
grande medievista francese Jaques Le Goff, recentemente scomparso, che passò la
vita all’ombra delle cattedrali, per indagare l’anima e la mentalità dell’uomo
medievale (non solo santi e banchieri), colto nella sua “quotidianità”. Un
pensiero sinergico a quello di Giovanni Paolo II, il papa Santo, allorché
soleva affermare che «un popolo senza memoria non ha futuro», dopo aver dato
una sua personale definizione del termine “cultura” (nel discorso pronunciato
all’UNESCO nel 1980): «Cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto uomo, diventa
più uomo». Sulla stessa lunghezza d’onda di papa Wojtyla si muoveva il pensiero
di un nostro grande arcivescovo della Chiesa monrealese, il compianto mons.
Cataldo Naro, il quale, intervenendo in data 12 aprile 2003 all’apertura dei
lavori del convegno di Campofiorito sulla storiografia municipale, dopo aver
trattato della “forza e debolezza dell’identità locale” e della “importanza e
delicatezza dell’opera dello storico locale”, così concludeva: «Un’ultima
considerazione mi sia permessa, anche in forza della mia veste di vescovo.
Mi rivolgo a storici che si occupano di storia locale in cui ha avuto una parte determinante la presenza della Chiesa e i cui libri sono, di fatto, ricostruzioni delle vicende delle comunità ecclesiali locali, illustrazione degli edifici di culto, valorizzazione di prodotti dell’arte cristiana […]. Su questa strada ancora oggi è possibile sperimentare forme positive di sinergia tra identità cristiana e identità locale, intesa come articolazione imprescindibile dell’identità civile. Senza dire che, per la tradizione della Chiesa, il radicamento nella località non esclude ed anzi postula un allargamento alla dimensione universalista del cattolicesimo» (C. Naro, Presentazione a L’isola ricercata. Inchieste sui centri minori della Sicilia. Secoli XVI-XVIII, a cura di A.G. Marchese, Palermo 2008, p. 16).
Mi rivolgo a storici che si occupano di storia locale in cui ha avuto una parte determinante la presenza della Chiesa e i cui libri sono, di fatto, ricostruzioni delle vicende delle comunità ecclesiali locali, illustrazione degli edifici di culto, valorizzazione di prodotti dell’arte cristiana […]. Su questa strada ancora oggi è possibile sperimentare forme positive di sinergia tra identità cristiana e identità locale, intesa come articolazione imprescindibile dell’identità civile. Senza dire che, per la tradizione della Chiesa, il radicamento nella località non esclude ed anzi postula un allargamento alla dimensione universalista del cattolicesimo» (C. Naro, Presentazione a L’isola ricercata. Inchieste sui centri minori della Sicilia. Secoli XVI-XVIII, a cura di A.G. Marchese, Palermo 2008, p. 16).
Ciò premesso, passo a riportare alcuni brani dagli scritti di
due grandi storici ecclesiastici della Sicilia del Novecento: il canonico
Gaetano Millunzi (del primo ‘900), della Chiesa monrealese, e il canonico
Domenico De Gregorio (ultimo ‘900), della Chiesa agrigentina, sebbene in ordine
inverso. Quest’ultimo, nel secondo volume della sua storia della Chiesa agrigentina (Agrigento, 1998),
trattando delle devozioni religiose della diocesi, tra l’altro così scrive: «La
devozione a Gesù Crocifisso come è doveroso per un popolo cristiano, è molto
diffusa nella diocesi agrigentina: lo si onora particolarmente durante la
quaresima e la settimana santa, nei venerdì sacri o sacrati dei vari periodi
dell’anno secondo le costumanze dei paesi
e con feste esterne alle tradizionali del 3 maggio, invenzione della croce,
secondo il vecchio calendario, e del 14 settembre, sua esaltazione (corsivo
mio).
Tra quest’ultime rientra la devozione al Crocifisso di
Giuliana, che ab antiquo cade nel
primo venerdì dopo Pasqua, o «infra l’ottava di Pasqua», come attestano gli
antichi documenti ecclesiastici della diocesi agrigentina, alla quale Giuliana
appartenne sino al 1844, anno in cui (con la bolla “In suprema militantis
Ecclesiae” di papa Gregorio XVI) passò all’arcidiocesi di Monreale, alla quale
appartiene a tutt’oggi. Anche la Chiesa monrealese “ratificò”, per così dire,
tale tradizione, come attesta il canonico Gaetano Millunzi nel suo “Prospetto
storico dell’arcidiocesi di Monreale” (edito nel Bollettino Ecclesiastico del 1911), laddove, trattando della
“Chiesa del SS. Crocifisso” di Giuliana, così scrive: «Antica leggenda dice che
persona sconosciuta abbia consegnato in quell’epoca un divoto simulacro del
Crocifisso ai PP. Carmelitani di S. Antonio, i quali alla lor volta lo
consegnarono alla Compagnia di S. Margherita. Questa lo espose al pubblico
culto nella propria chiesa, e se ne valse nelle processioni di penitenza e nelle
adunanze mensili del sodalizio. Il 24 aprile 1579, venerdì infra l’ottava di Pasqua, a causa di una grande siccità il popolo e
il clero tenendo dietro al proprio Crocifisso, mosse in religioso
pellegrinaggio verso Caltabellotta per impetrare la pioggia dal SS. Crocifisso
che ha una statua assai pietosa in quel Comune. Però quando il pellegrinaggio
era a circa tre miglia da Giuliana [in contrada Piscopo], si turbò
improvvisamente il tempo, e ne venne giù una pioggia abbondantissima. Allora
l’arciprete Cesare D’Anastasio rivolto al popolo con entusiasmo di fede e di
gioia disse: speravamo la grazia dal Crocifisso di Caltabellotta, ma ecco l’abbiamo
ricevuta da questa santa imagine nostra! E a questa santa imagine io devo in
questo momento la miracolosa guarigione di un male che da anni mi tormentava
all’inguine! Da questo giorno comincia la sacra celebrità del Crocifisso di
Giuliana: allora molta gente dai comuni circonvicini venne a offrire preghiere
e voti di ringraziamento, e il popolo di Sciacca offri per il pavimento della
chiesa mattonelli bellamente smaltati, sui quali era rappresentata la
processione di penitenza del 24 aprile, e la grazia della pioggia». Trent’anni
dopo, il 12 novembre 1609, il vescovo agrigentino Vincenzo Bonincontro, in
Sacra Visita a Giuliana, poteva ammirare «l’altare maggiore con l’imagine del
detto Santissimo Crocifisso benissimo ornato e di giusta misura».
Dopo avere descritta la chiesa del Crocifisso (come fu poi
chiamata quella di S. Margherita) nelle sue linee architettoniche, il Millunzi
così procede: «Sin dal 1580 la festa del Crocifisso si celebra con pompa
solennissima il venerdì dopo la Pasqua, e però quel giorno chiamasi volgarmente
il Venerdì di Giuliana ossia la festa
del Crocifisso dell’acqua»,
accennando brevemente alla «tradizionale devozione dei marinai di Sciacca», che
era quella di portare a Giuliana per il dì festivo una gran quantità di pesce,
al punto che ben presto la “pasta con sarde” assurse per i giulianesi a cibo
rituale della festa del Crocifisso. Questa forma di “sagra del pesce”,
sopravvive ancora oggi (con la presenza dell’ultimo pescivendolo saccense,
Luigi, peraltro ormai giulianese pro
ductionem uxoris) e si sposa bene con il lezionario feriale della messa del
Crocifisso di Giuliana, che essendo una festa mobile (oltre che feriale),
legata alla Pasqua, rimane identico riguardo alla lettura del Vangelo, che
riporta proprio il brano de “la pesca miracolosa” (Giovanni, 21, 1-14 “Gesù
appare ad alcuni discepoli”). Diversamente dagli altri evangelisti, che
presentano significative diversità cronologiche, dunque San Giovanni posiziona
questo miracolo «in un momento successivo alla risurrezione, dando a Gesù
l’occasione di mangiare del pesce e di dimostrare così di non essere un
fantasma, ma un uomo in carne ed ossa» (R. Debray, La Bibbia nei capolavori della pittura. Nuovo Testamento, 2004,
p. 8). Numerosi artisti, nel corso dei secoli, si sono ispirati a questo
episodio evangelico, tra cui il pittore rinascimentale tedesco Konrad Witz,
autore de La pesca miracolosa del
Museo d’Arte e di Storia di Ginevra.
Una festa mobile, dunque, legata alla Pasqua, quella del
Crocifisso di Giuliana, detta per antonomasia “U Jornu ‘u Signuri” dai
giulianesi, approvata e riconfermata ufficialmente dalle autorità
ecclesiastiche diocesane (i vescovi di Agrigento e poi di Monreale) e persino
da due sommi pontefici, se anche Clemente VIII, con sua bolla del 22 aprile
1602, concesse l’indulgenza straordinaria parziale di 500 giorni, poi resa
plenaria da Benedetto XIV, «a chi visitasse divotamente la detta imagine del
Crocifisso [di Giuliana] dai primi vespri sino all’occaso della ferie VI dopo
Pasqua» (la fonte è sempre il Millunzi). Precisiamo che i vescovi di Agrigento
che si sono succeduti nel governo della diocesi da quell’epoca (1579-80) al
1844 (anno in cui Giuliana passò alla circoscrizione diocesana di Monreale)
sono ben 25, da monsignor Antonio Lombardo (1579-84) a monsignor Ignazio
Montemagno (1837-39), e che gli arcivescovi di Monreale da questa data a oggi
sono ben 14, da monsignor Domenico Benedetto Balsamo (1816-1844) a monsignor Michele
Pennisi (dal 2013). Senza dire che monsignor Naro riconfermò la festa del
Crocifisso di Giuliana, secondo il calendario tradizionale, nella circostanza
della Visita pastorale del 2005, effettuata nei giorni dal 27 febbraio al 1°
marzo, e poi ancora nel nuovo statuto della stessa confraternita del Crocifisso
(2006). Né vanno trascurati i 17 parroci arcipreti di Giuliana che si sono
succeduti da don Cesare D’Anastasio (1576-1621), il parroco testimone
dell’evento miracoloso, a don Mariano Giaccone (1983-2012). Quest’ultimo, nel
corso del suo trentennale ministero sacerdotale a Giuliana, ha più volte
chiesto alla Curia monrealese il relativo “nulla-osta” per la celebrazione
della festa del Crocifisso nella sua data propria.
La Vara del Crocifisso portata a spalla
dai confratelli e fedeli il primo venerdì
dopo Pasqua
|
Tuttavia, il valore della tradizione conta ben poco per il
nuovo parroco don Luca Leone, corleonese, subentrato nell’ottobre 2012 al bisacquinese
don Mariano Giaccone, il quale lo scorso anno (2013) ha cancellato ex-abrupto (e con motu proprio) la festa religiosa del Crocifisso, che cadeva il 5
aprile (primo venerdì dopo Pasqua), allorché la chiesa del SS. Crocifisso (che
custodisce il venerato simulacro ligneo cinquecentesco) rimase “chiusa”, per
così dire, per “errata corrige”. Proprio così, poiché quella cadenza
calendariale, a suo avviso, è sbagliata. Quali siano, poi, le reali motivazioni
di siffatta radicale scelta il parroco in effetti non le ha mai chiarite
esaustivamente, né tantomeno con un documento scritto; ma sembra che si tratti
di motivazioni d’ordine liturgico, trovando una incongruenza, o
incompatibilità, bell’e buona quella dei giulianesi di festeggiare il loro
Crocifisso, ovvero il Cristo morto, nell’ottava di Pasqua, cioè del Cristo
risorto. Ma se le cose stanno davvero in questo modo, perché non debba essere
l’arcivescovo di Monreale a “rettificare” con un documento ufficiale tale
incongruenza passata inosservata ai suoi predecessori? (dopo evidentemente aver
modificato lo statuto della confraternita del Crocifisso). E’ quanto si sono
chiesti numerosi fedeli giulianesi sin dallo scorso anno. Un dubbio che ha
arrovellato le menti dei membri più in vista della confraternita del SS.
Crocifisso (“custode” primaria della tradizione festiva del proprio patrono),
che ritenne opportuno lo scorso anno “non” organizzare neppure la rituale
processione penitenziale, proposta dal parroco per il venerdì successivo a
quello tradizionale. Ma l’armistizio è durato appena un anno, poiché quest’anno
la “guerra santa” si è ripresentata puntualmente
e negli stessi termini, ma con una novità sensazionale, cioè la retromarcia
della confraternita o, ancor meglio, del
suo team amministrativo, che alla
fine ha accettato inspiegabilmente la proposta del parroco di differire di una
settimana la data della festa (venerdì 2 maggio anziché venerdì 25 aprile). E
ciò dopo avere annunciato una levata di scudi con il proposito sensato di
sottoporre il “caso” del Crocifisso di Giuliana all’attenzione dell’arcivescovo
di Monreale. Peraltro alla delegazione confraternale avevano dato l’adesione
alcune delle consorelle e, su espressa richiesta, qualche libero cittadino
(nonché libero pensatore) appartenente ad altra confraternita (la classica
furbizia giulianese dell’armamuni e jtici!).
Tuttavia, la spaccatura nel seno della Confraternita persiste, come riferisce
uno dei confratelli («Aguannu comu finìu finìu, ma n’atr’annu jemu nnô
Viscuvu»), mentre tanti altri confratelli, tra cui il giovane Vincenzo Fazio
hanno rifiutato l’offerta; persino il vice-superiore Giovanni Grimaldi ha preso
le distanze dalla scelta puramente personale del superiore Cinquemani,
defilandosi dal comitato per la questua, ristrettosi alla fine ad un… terzetto.
Ormai, dunque, la frattura fra «tradizionalisti» (o
«legittimisti») e «novatori» all’interno della confraternita si è consumata,
con una netta prevalenza dei primi, anche l’intera comunità ecclesiale di
Giuliana risulta spaccata, ma sempre con una netta prevalenza dei favorevoli
alla data tradizionale della festa. Una scelta infelice è stata, perciò, quella
dell’Amministrazione Civica di legittimare (con la concessione della banda
musicale) la data «illegittima» della festa del Crocifisso di quest’anno, come
fanno notare taluni cittadini. Anche l’ex sindaco Francesco Quartararo, al
rifiuto dell’offerta chiestagli direttamente dal superiore, aggiunge la
seguente opinione: «E’ una scelta sconsiderata quella del parroco, che non fa
che calpestare la dignità e l’intelligenza dei giulianesi, perfettamente in
linea peraltro con le sue precedenti autoritarie prese di posizione. La cosa
più grave è che il parroco, come sembra, abbia sottovalutato i poteri che sono
propri del vescovo, a parte il fatto che ha violato gli statuti di due
confraternite, quella del Crocifisso e quella degli Agonizzanti (alla quale io
stesso appartengo) che tra i suoi obblighi ha pure quello di partecipare alla
processione del Crocifisso secondo la sua data propria (art. 13)». In verità
anche la confraternita del Sacramento ha tale obbligo, come mi informa il decano
dei confratelli del Crocifisso Vincenzo Salerno. Notizia puntualmente
confermatami dal superiore del Sacramento, Mariano Musso, con riferimento
all’art. 8 del nuovo statuto del 2003 convalidato dall’arcivescovo Cataldo
Naro. Solo la confraternita di Maria SS. dei Sette Dolori (forse per il suo
carattere un po’ elitario) non prevedeva tale adesione sino allo statuto del
1929, approvato dall’arcivescovo Ernesto E. Filippi. Non so cosa prevede il
nuovo statuto, improntato ad un processo di democratizzazione, poiché non mi è
stato consentito verificarlo, nonostante
la buona volontà del commissario Salvatore Ragusa.
Konrad Wits, La pesca miracolosa (1444),
Ginevra, Museo d'arte e di storia
|
Un caso, dunque, più unico che raro, quello del Crocifisso di
Giuliana, ma con regolare dispensa degli ordinari diocesani, confermata da due
sommi pontefici, come più unico che raro è il Giubileo di Zafferia (villaggio
di Messina) o “Privilegio dell’Anno Santo”, risalente al XVII secolo, che si
verifica tre volte ogni cento anni, allorché il Sabato Santo coincide con la
festa della SS. Annunziata. Un privilegio di antica data, riconfermato il 9
febbraio 1817 da papa Pio VII.
Lungi dal volere invadere il campo dei teologi, io mi chiedo
dove stia poi questa incompatibilità liturgica se la morte e la resurrezione di
Cristo sono due aspetti del mistero della Redenzione, in ciò confortato dalle
invocazioni dell’antico rosario del Crocifisso di Giuliana che si recita
durante il “triduo”, senz’altro formulato in
illo tempore da un sacerdote-teologo:
«-E ludamulu tutti l’uri / lu nostru
amatu Ridinturi»; «-Prigamulu sempri spissu / lu Santissimu Crucifissu». Si
tratta, dunque, di un’aporia, risolta brillantemente con un apparente ossimoro.
Per cui la presunta incompatibilità voluta dal parroco don Luca, pur con tutto
il rispetto per la sua preparazione, mi sembra una conclusione pseudologica.
Tanto più che le invocazioni alludono chiaramente alla Croce come «soluzione degli opposti o, piuttosto,
dei complementari», come scrive Salvino Greco nel suo volume I Santi Patroni di Sicilia (1995);
specificando che il culto allude alla nozione «di uomo universale, colui che ha
realizzato tutte le possibilità di espansione e di esaltazione». In ogni caso
le citate Norme generali della Congregazione dei Riti definiscono l’ottava di
Pasqua come «solennità del Signore», proprio come la festa o memoria del
Crocifisso di Giuliana intesa da sempre come ‘U Jornu ‘u Signuri (cioè “Il Giorno del Signore”).
Le invocazioni del rosario del Crocifisso di Giuliana sono
riportate sia nel mio libro Il Crocifisso
di Giuliana. Tradizione e sacralità (Palermo, 1997) che nella raccolta di
preghiere dialettali in uso a Giuliana di V. Campo, che prendono il titolo
proprio dalla prima invocazione: E
ludamulu tutti l’uri (Corleone, 2006), un libro apprezzato, peraltro, da
don Massimo Naro, che conclude la sua dotta e densa prefazione con queste
parole: «Questo libro antico – in quanto scritto in dialetto giulianese e costituito
dalle preghiere della tradizione paesana – vale ancora, perché si propone come
uno strumento di trasmissione della pietà e della fede – più o meno calorose e
senz’altro colorite, più o meno vive e sicuramente vivaci – dei padri di ieri
che i figli di oggi, proprio come tali, si portano dentro, benché a volte
inconsapevolmente».
«A prescindere se il parroco abbia ragione o no», osserva Piero
Altamore, impiegato comunale ed ex presidente della confraternita degli
Agonizzanti, «noi fedeli di Giuliana ci sottoponiamo al verdetto dell’arcivescovo,
che tuttavia non può non ascoltare le nostre ragioni, che sono poi quelle dei
nostri padri, ragioni di fede e di storia identitaria della comunità.
L’articolo 13 dello statuto della mia confraternita prevede pure “il dovere di
partecipare con l’abito e le insegne alla celebrazione del SS. Crocifisso”, a
parte ovviamente a quella della Madonna dell’Udienza». In ogni caso, negli
statuti delle confraternite giulianesi rinnovati dagli arcivescovi Pio Vigo e
Cataldo Naro, un articolo recita che “le controversie circa l’interpretazione
del presente Statuto saranno decise secondo quanto previsto dal codice di
Diritto Canonico in merito ad associazioni pubbliche di fedeli”.
«Noi l’abbiamo scritto nello statuto della confraternita del
SS. Crocifisso (rinnovato nel 2006, art. 4) di celebrare il nostro patrono nella
ricorrenza della festa del SS. Crocifisso il venerdì dopo Pasqua», osserva Santo
Giarracco, ex presidente della confraternita del Crocifisso: «questo statuto è
come la nostra costituzione e può essere modificato solo col consenso
dell’assemblea dei confratelli e l’assistenza del vescovo di Monreale,
nonostante quest’anno sia stato violato apertamente sia dal superiore che
dall’assistente spirituale». Uno statuto che si richiama praticamente all’articolo
12 di quello del 1913 (riedito nel 1956), visto e approvato dal vicario
generale dell’arcidiocesi di Monreale canonico Francesco Evola. Tale articolo
obbliga tutti i confrati a partecipare con il distintivo alla processione del
SS. Crocifisso, prevedendo per il confrate inadempiente «la multa di kg 14 di
frumento» (ormai abolita con il nuovo statuto), cioè il doppio della pena per
la mancata partecipazione, pure obbligatoria, «all’adorazione a turno nei
giorni delle Quarant’ore di carnevale che si celebrano nella propria chiesa».
Evidentemente la “multa” in frumento era il retaggio della civiltà
agro-pastorale imperante nella nostra comunità, come nel resto della Sicilia,
sino all’immediato secondo dopoguerra, innanzi cioè l’epoca del boom economico,
prima, e della globalizzazione, poi.
E proprio alla
dimensione agraria, che è anche quella di «sacralizzare il tempo e lo spazio»,
l’illustre antropologo culturale Antonino Buttitta riconduce le feste contadine
tradizionali, osservando che «erano riti intesi a propiziare l’ordinata
successione dei cicli stagionali, da cui dipendeva il buono o il cattivo
destino del raccolto. Nulla al pari della sopravvivenza della specie sembrava
sottoposto più rigidamente ai ritmi naturali. Dalla loro annuale ripetizione
dipendeva la vita della comunità» (in «Nuove Effemeridi Siciliane», VIII, 32,
1995/IV, p.7).
Alla voce “Feste”, firmata da G.B. Bronzini per il Grande Dizionario Enciclopedico Utet (IV
ed., Torino 1987, vol. VIII, p. 216), si legge, tra l’altro, quanto segue:
«Dalle cerimonie cicliche si distinguono le festività della chiesa, le sagre
religiose, le Feste patronali e i pellegrinaggi, che si succedono secondo il
calendario liturgico o secondo la tradizione locale e si svolgono generalmente
in un solo giorno». Aggiungiamo anche che, nel suo famoso saggio Le feste religiose in Italia (1911), il
canonico F. Polese classifica tali Feste in ben otto tipologie: 1) Feste
patronali di acculturazione etnografica; 2) Feste d’ispirazione locale, con
intercalazioni liturgiche; 3) Feste su tema liturgico; 4) Feste su tema
leggendario; 5) Feste stagionali; 6) Feste su fondo miracoloso; 7) Feste
d’indole extra-liturgica; 8) Feste processionali espiatorie. Sulla base di tale
classificazione, dunque, la Festa del Crocifisso di Giuliana può rientrare
benissimo nelle ultime tre categorie, per cui la scelta del parroco di volerla
fare “rientrare” ad ogni costo nella categoria n°3 (Feste su tema liturgico) è
palesemente una forzatura antistorica e in contrasto con le citate Norme generali
della Sacra Congregazione dei Riti, emanate il 21 marzo 1969.
«Jeu ‘a pasta cu i sardi mi la mangiu sempri pi ‘u Jornu ‘u Signuri», afferma ‘u zzu Ninu (cioè il primo venerdì dopo
Pasqua, che quest’anno cade il 25 aprile). Tale riferimento al cibo rituale a
base di pesce è collegato, come abbiamo già visto, alla lettura del Vangelo
della messa feriale del venerdì dell’ottava di Pasqua, tratta da Giovanni (21,
1-14), nota come «la pesca miracolosa», di cui riportiamo il brano centrale:
«Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva [del lago di Tiberiade], ma i
discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro “Figlioli, non
avete nulla da mangiare?”. Allora egli disse loro: “Gettate la rete dalla parte
destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su
per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a
Pietro: “E’ il Signore”». La scena evangelica, nota anche come L’Apparizione di Cristo sul lago di
Tiberiade, è rappresentata, tra l’altro, nell’apparato musivo bizantino del
Duomo di Monreale (XII-XIII sec., braccio sinistro del transetto).
Come si può vedere
dunque non si celebra per il Crocifisso di Giuliana una liturgia propriamente
“festiva”, bensì “feriale”, mentre la processione non fa altro che commemorare
un rito propiziatorio col relativo miracolo, quello della pioggia, avvenuto a
Giuliana in un giorno ben preciso, di un anno ben preciso, con coordinate
spazio-temporali ben definite, per cui il voler trasportare oggi di una
settimana tale celebrazione è come voler ricordare i caduti della guerra dell’unità
nazionale non il 4 novembre bensì l’11 novembre. Aggiungiamo, altresì, come la
qualifica di ‘U Jornu ‘u Signuri, per
indicare la festa del Crocifisso di Giuliana, ricorra nella più qualificata
letteratura periegetica dell’Isola, come pure nella prestigiosa Enciclopedia della Sicilia, a cura di C.
Napoleone (Parma 2006, p. 456, ad vocem
“Giuliana”).
Sul problema dell’identità cristiana-civile-locale interviene
uno studente di scuola superiore, il quale osserva come «l’identità religiosa
di Giuliana si basi sulla triade: festa del SS. Crocifisso (compatrono), festa
della Madonna dell’Udienza (patrona) e festa di Gesù Bambino, per cui, se si
comincia a scardinare tale triade…, sarà come un tripode che non potrà stare in
piedi». Sulla stessa lunghezza d’onda si muove il pensiero espresso dal giovane
Vincenzo Fazio (componente della banda musicale locale) che nel suo profilo
Facebook, in data 19 marzo 2014, faceva delle considerazioni spontanee e genuine: «Anke quest’anno la festa di San
Giuseppe non si è fatta ed è una tradizione che andiamo perdendo! Peccato, vedo
ke in tutti i paesi si festeggia e tutti i cittadini partecipano con allegria
alla festa di nostro Signore! Abbiamo una festa che ci invidiano tutti xchè
Gesù gira x tutte le case e mette allegria, gioia e tanta serenità!»
Anche Maria Rosaria Cicchirillo, impiegata ed ex assessore
alla cultura del Comune di Giuliana, procede su questa linea, ma con delle
considerazioni più intimiste: «Penso che ciascuno di noi abbia delle immagini
che lo accompagnano nella vita e alle quali fa ricorso in particolari momenti
dell’esistenza. Tra le altre io mi porto dentro tre istantanee: la Madonna
dell’Udienza che scende la gradinata del Carmine per venire incontro ad
accompagnare una preghiera; la statuetta di Gesù Bambino vestita di fiocchi
colorati che si posa sul mio letto e sembra carica di promesse per il futuro;
la vara del Crocifisso abbandonata sotto la pioggia a Porta Palermo che aspetta
il rientro di tutti dopo la burrasca. Solo la penna di un grande poeta
riuscirebbe a trovare le parole adatte per raccontare tali atmosfere. Io posso
solo dire che queste immagini/ricordi per me non sono né una credenza né una
tradizione: sono la richiesta d’aiuto, il desiderio di continuare a sperare e
la certezza del perdono; quindi concludo che il desiderio di rivivere quei riti
nelle loro cadenze calendariali non è né scaramanzia né idolatria ma
un’emozione intrisa di “presente”, un punto di tangenza con l’eternità». Una
studentessa universitaria osserva: «Senza volere entrare nel merito della
scelta del parroco, dico solo che si tratta pur sempre di una sentenza di primo
grado; ma noi fedeli di Giuliana rimaniamo in attesa della sentenza di secondo
grado, che spetta formulare al vescovo di Monreale, che sicuramente sarà il
frutto di una più informata e serena lettura dei fatti inerenti il caso del
Crocifisso di Giuliana». In proposito, don Calogero Giovinco, ex delegato
diocesano delle Confraternite (nonché attuale parroco della chiesa di San
Leoluca in Corleone), taglia corto, ricordando il canone 944, paragrafo 2, del
Codice di Diritto Canonico, il quale recita apoditticamente: «Spetta al Vescovo
Diocesano stabilire delle direttive circa le processioni, con cui provvedere
alla loro partecipazione e dignità».
«Per me va bene quello che fa e dice il parroco», osserva una
cattolica praticante, «poiché egli rappresenta il Vescovo nella realtà
ecclesiale di Giuliana». «Va bene che lo rappresenta», osserva un altro fedele,
«ma non lo può certamente sostituire, specie nelle questioni più delicate». «Il
voler trasportare di una settimana la data della festa del nostro Crocifisso, a
me sembra una delle tante “originalità” del parroco», afferma un fedele
giulianese residente a Palermo. «Come ad esempio, per rimanere nell’ambito di
questo periodo peripasquale, l’abolizione della formula “scambiatevi il segno
di pace” nelle messe del periodo della Quaresima, l’abolizione dei “sepolcri”
del Giovedì santo («i sepolcri sono al cimitero»), per non parlare della
irriverenza nei confronti della statuetta di Gesù Bambino («è un pezzo di
legno») della nostra tradizionale festa “du Bamminu”. «Bedda Matri! A mia
chista mi pari n’atra riligioni, chi ci pozzu fari», osserva ‘a zza Francisca.
Intanto, nell’approssimarsi della festa, gli animi dei fedeli
si vanno surriscaldando. Numerosi sono, infatti, i “dissidenti” che rifiutano
l’offerta per la questua, soprattutto tra le fila della stessa Confraternita
del Crocifisso. C’è chi propone di fare un referendum
pro o contro lo spostamento della data (o per la conferma di quella
tradizionale) e c’è chi, tra gli elementi più irriducibili, è disposto ad
inviare una lettera a papa Francesco, il papa del dialogo e dell’ascolto; il
quale ha tra l’altro affermato efficacemente come il cristianesimo vada
annunciato con dolcezza e non con il bastone inquisitoriale. E ancora, tra i
fedeli più irriducibili, c’è chi intende abolire la donazione dell’8‰ alla
Chiesa Cattolica nel modello di dichiarazione dei redditi.
«Ma insomma, erano tutti sprovveduti i numerosi vescovi che
si sono succeduti nei secoli nelle due diocesi di Agrigento e di Monreale? Pure
il grande Cataldo Naro era distratto?», osserva Giuseppe Guella, libero
professionista, confratello degli Agonizzanti. «Non vorrei proprio crederlo.
Siamo di fronte alle solite prese di posizione autoritarie del parroco, con dei
risvolti pirandelliani, poiché proprio il parroco, che da direttore spirituale
delle confraternite di Giuliana dovrebbe vigilare sull’osservanza degli
statuti, è poi il primo a violarli».
Alla luce di quanto sopra esposto, manca, dunque, al parroco
il senso della prospettiva storica, poiché la festa del venerdì di Giuliana non
va letta con i suoi parametri “razionali” (che non possono avere, in ogni caso,
valore retroattivo) né con i parametri
culturali dell’hic et nunc, quando cioè i danni provocati dalla natura (alluvioni,
grandine) all’agricoltura vengono sovvenzionati da mamma Regione, ma dell’illo tempore, allorché la siccità era
causa diretta di carestia per la mancata raccolta del grano, acuendo
ulteriormente la precarietà esistenziale delle comunità rurali; per cui la
“paura cosmica” dell’individuo veniva fugata col ricorso al Sacro, un individuo
che si faceva solidale dell’altro in una comunità di vita e destino, i cui
membri «vivevano insieme in attaccamento indissolubile» (S. Kracauer).
Certamente siffatta solidarietà tra individui rendeva la comunità di Giuliana
un “luogo”, mentre con la perdita dell’identità essa si avvia a diventare un
“nonluogo”, secondo il concetto del grande antropologo francese Marc Augè.
Prima di avviarmi alla conclusione, vorrei fare un’ultima
considerazione: la presunta incompatibilità liturgica della festa del Crocifisso
di Giuliana con il venerdì dell’ottava di Pasqua dovrebbe durare, a rigor di
termini, sino alla conclusione della Grande Pasqua, che dura cinquanta giorni,
sino cioè alla Domenica di Pentecoste (A. Cattabiani, Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno,
Milano 1989, p. 202). La Grande Pasqua coincide, praticamente, con «la Grande
Domenica» de il tempo pasquale del ciclo dell’anno liturgico definito dalle
citate Norme generali della Sacra Congregazione dei Riti, che al cap. II del
titolo III recita: «Le domeniche di questo tempo vengono considerate come
domeniche di Pasqua e, dopo la domenica di Risurrezione, si chiamano domeniche
II, III, IV, V, VI, VII di Pasqua. Questo sacro tempo dei cinquanta giorni si
conclude con la domenica di Pentecoste». (Vorrei precisare come, ai tempi della
mia prima infanzia, la Domenica di Pentecoste venisse appellata a Giuliana “Pasqua
di sciuri”, dall’usanza di cospargere la chiesa di petali di rose durante le
messe, secondo la sopravvivenza di antichi elementi cultural-liturgici della
chiesa tridentina, elementi che monsignor Cataldo Naro, neo-vescovo di
Monreale, ebbe modo di riscontrare sin dal suo insediamento (2002), nelle
comunità ecclesiali di Giuliana e Chiusa Sclafani, paesi al limite meridionale
dell’arcidiocesi, chiedendomi il “perché” e rimanendo appagato della mia chiave
di lettura storica, cioè la vecchia appartenenza di questi due centri alla
diocesi di Agrigento).
Alla luce di ciò,
dobbiamo constatare che delle tre feste del Crocifisso dei centri del
“triangolo del Triona” (Bisacquino, Giuliana, Chiusa Sclafani), solo la festa
del Crocifisso di Chiusa è “in regola”, collocandosi al martedì dopo la
Pentecoste, mentre la festa del Crocifisso di Bisaquino (3 maggio, data che
ricorda l’Invenzione della Croce) andrebbe pure differita, e così anche quella
del Crocifisso di Monreale (anch’essa del 3 maggio). Un vero terremoto, dunque,
con l’epicentro (Giuliana) alla periferia della diocesi di Monreale, ma con le
sue onde sismiche che arrivano al centro della stessa diocesi.
In conclusione, con tutto il rispetto per il pensiero
“razionale” del parroco (seppur basato, a mio parere, su elementi capziosi e
riduttivi), devo constatare che esso va “confrontato”, non dico con il pensiero
“plurale” della comunità locale, ma almeno con il pensiero del nostro Arcivescovo,
cui spetta dire l’ultima parola riguardo al “caso” del Crocifisso di Giuliana.
Vorrei ricordare, infine, uno dei tanti pensieri di Pascal: «E’ il cuore che
sente Dio, non la ragione. Ecco cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla
ragione». E’ questo anche il pensiero di chi scrive, il quale, rispetto all’aut aut di un illustre pensatore
dell’800, quale Schopenhauer, espresso nel suo aforisma «O si pensa o si crede»
(che ha dato il titolo ad una sua opera postuma), sceglie la “terza via”, che è
quella di «pensare credendo o di credere pensando»; una “terza via” che mi
riporta direttamente al pensiero del più grande pensatore e santo del primo
millennio cristiano, Sant’Agostino: «Credo
ut intelligam, intelligo ut credam» (Credo per capire, capisco per
credere). Dunque, caro don Luca mi dispiace dire che Lei non si può permettere
di cancellare, con un colpo di spugna, una splendida pagina di storia religiosa
e civile della comunità giulianese, poiché rimango perfettamente d’accordo con
il pensiero del papa Santo Giovanni Paolo II espresso nell’incipit di questo mio saggio: «Un popolo senza memoria non ha
futuro». Per cui, l’espressione del libero
pensiero da parte di qualche giulianese non costituisce essere “contro”
qualcuno, bensì “a favore” di qualcuno o di qualcosa, in particolare delle cose
belle e buone, il kalós kai agathós
degli antichi greci, che si identifica, in ultima analisi con la verità. Quella
“Verità” che il Doctor Gratiae ricercava
nell’interiorità umana: «Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia:
non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verità abita nell’uomo
interiore e, se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi anche te
stesso» (Agostino, La Vera Religione,
39, 72, trad. di A. Pieretti, Roma 1995, p. 109).
«Ave Crux Spes unica» (Ti
saluto o Croce nostra unica speranza). Con questo motto, scritto nel
braccio orizzontale della Croce processionale della confraternita del SS.
Crocifisso di Giuliana, concludo questo mio saggio, scritto non certamente per
me stesso (che non ne avevo alcun bisogno), ma per venire incontro alle
esigenze di chiarezza reclamatemi da varie persone intelligenti di Giuliana
sulla stressante querelle che ha
portato a dubitare della legittimità storico-teologico-liturgica della festa du Jornu ‘u Signuri.
Giuliana, 20 aprile 2014
Antonino Giuseppe Marchese
Via
Tomasini, 9, 90030-Giuliana (Pa)
Tel. 091
8356492 cell. 377 9636689377 9636689 e-mail: dotagmarchese@libero.it
--------------------------------------------------------------------
Dopo aver ospitato questo lungo ed interessante intervento di Peppino Marchese, ci piacerebbe che anche don LUCA LEONE, parroco a Giuliana, dicesse la sua: scrivendo un articolo oppure rilasciandoci un'intervista. Restiamo in attesa... (dp)
15 commenti:
Finalmente è finito. .don luca non si abbassa a queste inutili provocazioni. .
Non capisco come questa persona (di mentalità bassa, nonostante abbia una laurea in medicina) possa scrivere queste cose e ancora una volta, non capisco come si sia permesso a pubblicare certe foto di alcuni Giulianesi.
Per la verità, esprimere le proprie convinzioni attraverso gli organi di informazione è un diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione. Quindi, non capisco lo stupore. Piuttosto mi aspetterei interventi nel merito della tesi sostenuta dal dott. Marchese. E, per favore, NON ANONIMI!
Ammiro tantissimo il Dott. marchese, perche quasi tutti i giulianesi ci nascondiamo dietro il Dott. .....ma non abbiamo il coraggio di sostenerlo.Comunque ci sono tante cose che non si possono pubblicare.Comunque aspettiamo con urgenza la risposta dell"Arcivescovo di Monreale.
Questa è una risposta all'anonimo che critica il Dott. Antonino Marchese, persona molto illustra, che si è permesso di scrivere e portare a conoscenza dei giulianesi, quello che è stato il percorso storico per quanto riguarda la festa del Santissimo Crocifisso, festa di grande valore storico e di grande devozione popolare. Voglio ricordare che la festa del Santissimo Crocifisso fin da tempi remoti non era soltanto un giorno di festa ma era un giorno molto atteso, per il popolo giulianese, in quanto sperava ad una pioggia d'acqua che andava ad arricchire la produzione agricola, fonde economica principale.
Voglio dire ai giulianesi prendete posizione e scendete in piazza a difendere quelle che sono le tradizioni storiche del paese e non nascondetevi dietro le porte o come si dice dietro il più alto.
Concordo in tutto e per tutto con quanto riportato dal Dott. Marchese sul caso del Crocifisso di Giuliana.Ritengo che abbia scritto con "ispirazione" la più bella pagina delle sue numerose opere, sapendo interpretare il comune sentire della comunità (ecclesiale) Giulianese, con rara sensibilità storica, antropologica e culturale. Il suo sentire è quello della comunità intera, che vede nel rispetto delle tradizioni, un momento di identità civile e religiosa, che va rimarcata proprio oggi in cui ,nella nostra civiltà "liquida", abbiamo più bisogno di punti di riferimento
Una "vara", una processione rinfocolano la nostra fede, ripercorrendo le orme dei nostri padri dal 1579 ad oggi.Da quel miracolo della pioggia, ripetutosi anche quest'anno il 25 Aprile, giorno legittimo della festa, allorchè dopo una splendida giornata di sole ,alle 21, ora prevista per l'inizio della processione del crocifisso, arriva miracolosamente la pioggia .Segni divini o superstizioni ? A mio avviso chiara volontà divina.Non scherzare con i Santi e lascia stare i fanti.
Anch'io anche quest'anno per la legittima data della festa del Crocifisso, ( 25 Aprile), ho mangiato il rituale cibo, cioè la pasta con le sarde,la cui origine è legata , come ha spiegato per la prima volta il Dott.Marchese (autore fra l'altro del volumetto"Il Crocifisso di Giuliana.Tradizioni e sacralità") all'episodio Evangelico "La pesca Miracolosa", tratto da San Giovanni,la cui lettura è propria della liturgia feriale del primo venerdì dopo Pasqua.
Come si può nel nome di Gesù Cristo operare fratture e fomentare discordia all'interno della comunità, anzichè lavorare per la pace, come Gesù ci ha insegnato?Che cos'è più importante per la nostra vita e per i nostri figli: una festa che che cerca di tenere in vita il ricordo lontanissimo di una presunta pioggia miracolosa o la FEDE in Dio che si proclama con le opere prima che con le parole e che ci dona la vera libertà e la vera felicità? Chi ha avuto la fortuna di studiare dovrebbe essere al servizio della comunità e del suo bene e non alimentare le discordie al suo interno. Ci rifletta bene il dottore Marchese.
Con quale coraggio, da storico, parla di "guerra santa"?come fa a parlare di una netta prevalenza?ha fatto per caso un referendum?La "dimensione agraria" è una parte importante delle nostre radici ma noi giovani non vogliamo una FEDE "agraria" vogliamo una FEDE viva che ci faccia guardare avanti e non arrovellati su noi stessi nella contemplazione sterile di un passato morto.
Per spostare la festa del Crocifisso si porta la motivazione che essa cade nell’Ottava di Pasqua e ciò risulterebbe incompatibile con il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica. In verità l’Ottava di Pasqua non nasce con il Concilio ma da sempre la Chiesa ha considerato la settimana pasquale come un unico giorno. Quando inizia la festa del SS. Crocifisso di Giuliana già esisteva l’ottava di Pasqua ed è proprio per questo che veniva chiamata Lu jornu du Signuri. E sempre per la stessa ragione la festa del Crocifisso non ha mai avuto una liturgia propria, ma ha sempre seguito la liturgia del Venerdì fra l’Ottava di Pasqua. E la sagra del pesce va direttamente collegata al Vangelo del giorno che è quello della pesca miracolosa quando Gesù Risorto appare sulle rive del Lago di Tiberiade. Inoltre la processione del Crocifisso di Giuliana non è penitenziale ma festosa per ricordare il miracolo della pioggia avvenuto il 24 aprile 1579, che era il venerdì dopo Pasqua. La tradizione non intacca quindi la liturgia del giorno anzi è strettamente collegata ad essa e, come ha ricordato nell’articolo il dott. Marchese, è stata approvata nei secoli da due papi e da numerosi vescovi. D’altra parte ci si chiede: perché tutto questo accade solo a Giuliana, quando ad esempio a Partinico, nella nostra stessa diocesi di Monreale, nell’Ottava di Pasqua si svolgono i festeggiamenti della Madonna del Ponte? E perché il giorno dell’Ascensione è possibile celebrare la festa della Madonna di Tagliavia?
Siete ridicoli e continuate a commentare. . Vergognatevi.. se nn credete comportatevi tali anziché criticare e criticare.. il male vi fa fare qst azioni.. ma l onnipotente sta al di sopra di tutto.
Il sindaco che fà? Giusto che ha il paese di Giuliana nel cuore.O nel cuore della sua tasca.
Bello leggere la comunità ecclesiastica che anonimamente posta commenti per screditare il Dott. Marchese! Prima di tutto a Giuliana occorrerebbe CULTURA, poi tutto sarebbe più semplice e la gente capirebbe il significato di quello che sta legando. Criticare, accusare, screditare le persone con una coltura più elevata della vostra ha solo portato a questa situazione di fatiscenza. Chi critica il Dott Marchese dovrebbe solo vergognarsi per la sua ignoranza... Poveracci imparate a leggere e comprendere!
Non voglio entrare nel merito delle questioni sollevate, ma mi sembra doveroso precisare che l'articolo in risposta a quello del dott. Marchese non è anonimo. Mi è stato inviato da Antonella Campisi per conto della Comunità ecclesiale giulianese.
Posta un commento