Primo Levi |
Riccardo Chiaberge
Una lettera
inedita di Natalia Ginzburg sul rifiuto di “Se questo è un uomo” da parte di Einaudi
L’editore
Guanda ha appena ripubblicato, in carta e in ebook, la Conversazione
con Primo Levi di Ferdinando Camon (sottotitolo: Se c'è Auschwitz,
può esserci Dio? ) uscita nel 1987 a soli due mesi di distanza dalla
tragica fine (suicidio?) del grande scrittore torinese. Un confronto
appassionante sulla condizione umana, la natura e le origini del Male nella
Storia, tra un cattolico e un ebreo: due punti di vista differenti e a volte in
aperto conflitto. Si dà il caso che io sia stato il primo, l’11 giugno di
quell’anno, ad anticipare il libro sulle pagine culturali del Corriere della
Sera, e il mio corsivetto scatenò un mezzo uragano.
Una delle
ultime domande di Camon a Levi riguardava
le traversie editoriali del suo capolavoro, Se questo è un uomo.
Perché Einaudi, nel 1946, non lo aveva voluto (lo pubblicherà solo nel 1958),
sicché l’autore si era dovuto accontentare della piccola casa editrice de Silva
di Franco Antonicelli? “Effettivamente il manoscritto non fu accettato per
parecchi anni – risponde Levi – e quello che mi ha sempre sorpreso è che chi lo
aveva letto era una personalità della letteratura italiana, ebrea, vivente. Se
spegne il registratore glielo dico”. Qui il nastro si interrompe, per
riprendere subito dopo: “Le motivazioni furono molto generiche: sono le solite
che danno gli editori quando restituiscono un manoscritto. Non so perché sia
stato rifiutato: forse fu solo la colpa di un lettore disattento”. Quanto a me,
concludevo l’articolo invitando il responsabile della bocciatura a uscire allo
scoperto. “Non per subire un processo che nessuno vuole intentargli: soltanto
per amore della verità”.
Chi fosse la
misteriosa “personalità”, me lo aveva confidato lo stesso Camon, vincolandomi
però alla consegna del silenzio, per rispettare il desiderio del defunto.
L’indomani dalle colonne della Stampa, Nico Orengo si incaricò di squarciare
il velo su quello che secondo lui era un segreto di Pulcinella: era stata Natalia Ginzburg, allora consulente dell’Einaudi, a comunicare a Levi che all’editore il romanzo
non interessava. Ma, come precisava la scrittrice interpellata da Orengo, “non
ci fu nessuna volontà censoria”. Beh, pensai: un conto è comunicare una
decisione presa da altri, un conto è prendervi parte. E poi chi ha parlato di
censura?
Passa qualche
giorno, e ricevo una busta intestata “Camera dei Deputati”. Il mittente è
l’Onorevole Natalia Ginzburg, all’epoca deputata del Pci. Tre pagine autografe
dal tono risentito, uno schiaffone di quelli che lasciano il segno: “Mi hanno
detto che lei ha scritto…” è l’amichevole incipit, come a rimarcare di non aver
neppure degnato di uno sguardo il mio articolo “odioso”. E infatti subito dopo
sostiene che l’avrei tacciata di “antisemitismo”, accusa ignobile e ridicola
che non mi ero mai sognato di rivolgere né a lei né all’Einaudi. A sua
discolpa, la scrittrice adduce il fatto che lei, a quel tempo, era l’ultima
ruota del carro, e non avrebbe avuto il potere di accettare o rifiutare un
manoscritto. Quello di Se questo è un uomo glielo aveva
passato suo fratello, che era amico dell’autore, ma chi l’abbia poi letto,
proprio non riesce a ricordare. E comunque fu Cesare Pavese a obiettare che erano già usciti troppi libri sui campi di concentramento,
e che era meglio aspettare. Avrei dovuto battermi, ammette Natalia, “siamo
stati dei colpevoli imbecilli”, ma non degli antisemiti.
Nessuna
censura, dunque, solo una scelta editoriale superficiale, dettata dallo
“spirito del tempo” che imponeva la rottura col passato, e provava imbarazzo di
fronte a un vissuto così sanguinoso e così recente. Certo, se Levi non fosse
stato un chimico ma un intellettuale di casa nei salotti letterari,
l’accoglienza sarebbe forse stata diversa.
Chi fosse la
responsabile della bocciatura lo confermerà, anni dopo, Giulio Einaudi in persona, nel corso di un’intervista tv: “È stata Natalia Ginzburg
a leggerlo. Il ricordo del nazismo, delle persecuzioni, della ‘shoah’ era
troppo bruciante. Natalia aveva perso il marito pochi mesi prima, nel gennaio
del 1944 (Leone Ginzburg morì in carcere a seguito delle torture subite dai
nazifascisti). Non ho così avuto argomenti per oppormi a questo giudizio”.
E
nell’introduzione alla nuova edizione, Camon torna alla carica: “Primo Levi è
uno scrittore per tutti e per sempre: ‘Ha scritto opere che noi ci troveremo
davanti nel momento del Giudizio Universale’ (Claudio Magris). Ma se è così,
come mai la prima di quelle opere fu per tanti anni rifiutata dall’editore
Einaudi, dove a leggerla e a respingerla era una scrittrice ebrea, che doveva
sentire in quelle testimonianze la denuncia di un torto che anche lei pativa?”.
Domande che restano senza risposta. Ma potremmo anche chiederci, a distanza di
tanti anni, che senso abbia la “caccia al colpevole” in un paese dove la lista
delle bocciature editoriali eccellenti è lunghissima, da Tomasi di Lampedusa a
Morselli: tutti outsider, come Levi, della società letteraria.
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