Matteo Renzi e Roberto Saviano |
di ROBERTO SAVIANO
È un imperativo: i 170 miliardi di euro che fatturano ogni anno le organizzazioni criminali sono il vero bottino che dobbiamo riprenderci
La scena della strage di camorra nel centro estetico nel film "Gomorra" di Matteo Garrone, ispirato al libro di Saviano, Personalmente avrei voluto che nel suo discorso inaugurale Matteo Renzi avesse concesso più spazio non al generico tema delle mafie, ma ai capitali criminali, a quell'enorme flusso di danaro che a oggi continua a essere l'economia principale italiana.
È un imperativo: i 170 miliardi di euro che fatturano ogni anno le organizzazioni criminali sono il vero bottino che dobbiamo riprenderci
La scena della strage di camorra nel centro estetico nel film "Gomorra" di Matteo Garrone, ispirato al libro di Saviano, Personalmente avrei voluto che nel suo discorso inaugurale Matteo Renzi avesse concesso più spazio non al generico tema delle mafie, ma ai capitali criminali, a quell'enorme flusso di danaro che a oggi continua a essere l'economia principale italiana.
Quello che mi piacerebbe accadesse è che questo possa smettere di essere un
tema morale, etico, legato unicamente alla legalità in senso astratto. Mi
farebbe piacere sapere che il tema del contrasto alla criminalità organizzata
diventasse una questione fondamentale, una questione economica. Non si può in
poco tempo affrontare tutto. Ma spero ci sia un momento in cui per questo
governo il tema dei capitali criminali sia non "una" delle tematiche,
ma "la" tematica da affrontare. La principale, la più vitale.
L'urgenza è imperativa. Com'è imperativo capire che i 170 miliardi fatturati
ogni anno dalle organizzazioni criminali sono il vero tesoro che dobbiamo
riprenderci. Un tesoro che secondo la Guardia di Finanza ha superato il 10% del
Pil.
Le migliaia di negozi che possiedono, le centinaia di centri commerciali, la presenza nelle banche, il monopolio dei subappalti, la capacità di vincere ogni concorrenza. La lotta alla mafia va affrontata con le decisioni politiche. Non si può delegare a giudici, polizie o personaggi-simbolo. Non si tratta di ostentare un pedigree anti-mafioso partecipando a iniziative, finanziando associazioni. Qui si tratta di ridare centralità al contrasto all'economia criminale, non di aprire nuove carceri o stringere ai polsi più manette. Commissioni antimafia e procure ci sono. Lavorano spesso a diversa intensità, ma ci sono. A mancare è una volontà nuova, una visione che vada oltre la repressione. Una rivoluzione liberale che sappia partire dal contrasto ai capitali criminali.
E nel semestre europeo a noi toccherà soprattutto questo: mostrare il nostro sangue e dolore al resto d'Europa - non nasconderlo - per dimostrare che in Europa mancano leggi antimafia, mancano controlli sul riciclaggio. I capitali dei narcotrafficanti, dell'evasione, sono sempre meno nei paradisi offshore e sempre più nelle banche europee. L'Italia ha la tradizione antimafia più importante al mondo. Il report della subcommissione permanente del Senato statunitense ha accusato Credit Suisse di aver agevolato l'evasione delle tasse di oltre 10 mila cittadini americani, e ha calcolato che il valore dell'evasione scoperta è di circa 13,5 miliardi di dollari. L'evasione italiana che canali ha avuto, se non i medesimi di quella americana? I flussi di riciclaggio delle organizzazioni criminali che paesi europei usano?
Lo stesso metodo usato dal senatore Levin in Usa dovrebbe immediatamente essere usato dal nostro governo. Aprire inchieste politiche che mostrino i canali di evasione e riciclaggio, che mostrino la collaborazione delle banche italiane. L'ombra del riciclaggio e della collaborazione con i cartelli criminali investe troppi istituti di credito italiani. C'è tutto questo dietro i morti innocenti che continuano a cadere in Italia. Ad Arzano, l'altro ieri, altri due morti. Ciro Casone di 57 anni e Vincenzo Ferrante di 30 anni. A quanto emerge dalle prime indagini Vincenzo non c'entrava nulla, non era un camorrista, l'obiettivo era Casone. Uccisi in un centro abbronzante di proprietà della nipote di Casone che aveva appena finito di farsi una lampada mentre Vincenzo (come sembra da alcune ricostruzioni) si stava "facendo le sopracciglia".
È proprio così, i centri abbronzanti sono diventati spesso il luogo sostitutivo del barbiere, del circolo sportivo. Luoghi della vita quotidiana dove prima o poi passi, e dove i killer ti vengono a cercare. Fu per questo che quando scrivemmo la sceneggiatura di Gomorra pensammo di iniziare proprio da un centro abbronzante, la prima strage avviene lì. Fisicamente per noi significava sostituire l'immaginario tipico della piazza o del bar con una dimensione più reale. E ora la realtà conferma quell'intuizione drammatica. Quando mi presento ai tribunali durante i processi spesso dalle gabbie i camorristi mi insultano, mi dileggiano: mimano di strapparsi un ciuffo tra le loro sopracciglia proprio sopra il naso. E mi dicono "Savià è fattell sti sopracciglia", perché per molti di loro è inconcepibile avere sopracciglia folte e troppo unite. Loro che le hanno ad ali di gabbiano, loro che tengono all'estetica più di quanto si possa immaginare.
L'estetica in questi territori è un'ossessione. Ovunque, dal Sudamerica al Marocco, ma in questi territori assume una caratteristica ostentata e vitale come in Messico, in Colombia e in Brasile. Non dimenticherò mai le mani curate dei boss che vedo duranti i processi, passano le ore a limarsi unghie (anzi a farsele limare) con gli smalti rinforzanti e trasparenti, i peli delle mani accorciati, le pellicine inesistenti, i polpastrelli morbidi. Ossessionati dalla depilazione, che cercano di fare anche in carcere. Riporto questi dettagli per mostrare che non è un mondo a parte da suburra, i volti dei camorristi sono volti comuni, non hanno lombrosianamente sembianze mostruose che consolano il lettore, che può dirsi distante da tutto quanto ho appena descritto. Quando appaiono truci è spesso perché fotografati dopo insonni nottate di latitanza dopo interrogatori fiume in smorfie prese alla cattura.
In ogni processo, più guardo camorristi, più vedo i visi perfetti cui ci hanno abituato i corteggiati e i corteggiatori di uomini e donne. Vestono in ugual modo, hanno la stessa carnagione abbronzata, si depilano allo stesso modo. Non è quindi un mondo a parte: è il nostro mondo, ci siamo in mezzo, ci appartengono e noi apparteniamo a loro. Vincenzo Ferrante non ha precedenti di camorra, ancora non è chiaro se sia stato ucciso perché testimone o per altri motivi. A oggi è innocente. Un'altra persona innocente uccisa per decisione dei clan e che viene indicata come "errore". Sono morti collaterali, uccisi non per errore, uccisi perché parte di una guerra.
Questi sono morti che la camorra mette in conto smentendo l'adagio solito "tanto si ammazzano tra di loro". Idiozia omertosa. Si ammazzano tra di noi, si ammazzano con noi. E ora verranno a dirci di nuovo che stiamo diffamando l'Italia? Che stiamo esagerando? Che queste cose si sanno, che le scrivono e le dicono tutti? Ma come ne scrivono e come le dicono? La cronaca quotidiana locale dei morti e del potere camorrista anestetizza, stempera, spettacolarizza. Nei morti di questi giorni c'è molto di più che solo sangue e catrame. Ditemi in quale paese europeo si muore così, innocenti uccisi dai proiettili di una guerra criminale perenne. Potrei fare una lista lunghissima, ma mi limito a partire dalla cronaca di ieri.
Solo ieri è stato condannato in appello come mandante dell'omicidio di Attilio Romanò, Marco Di Lauro (ancora latitante). Romanò fu ucciso 24 gennaio 2005 ucciso solo perché lavorava in un negozio di telefonia a Napoli. Potrei citare Dario Scherillo ucciso il 6 dicembre 2004, solo perché si trovava nel posto sbagliato, come Annalisa Durante uccisa il 27 marzo 2004. E poi gli ultimi: Andrea Nollino, ucciso fuori dal suo bar il 26 giugno 2012 e Lino Romano ucciso il 15 ottobre 2012. Potrei farne ancora molti, moltissimi di nomi innocenti, uccisi dai clan. Bisogna intervenire subito. Immediatamente. Perché è già tardi. È già tardissimo.
Le migliaia di negozi che possiedono, le centinaia di centri commerciali, la presenza nelle banche, il monopolio dei subappalti, la capacità di vincere ogni concorrenza. La lotta alla mafia va affrontata con le decisioni politiche. Non si può delegare a giudici, polizie o personaggi-simbolo. Non si tratta di ostentare un pedigree anti-mafioso partecipando a iniziative, finanziando associazioni. Qui si tratta di ridare centralità al contrasto all'economia criminale, non di aprire nuove carceri o stringere ai polsi più manette. Commissioni antimafia e procure ci sono. Lavorano spesso a diversa intensità, ma ci sono. A mancare è una volontà nuova, una visione che vada oltre la repressione. Una rivoluzione liberale che sappia partire dal contrasto ai capitali criminali.
E nel semestre europeo a noi toccherà soprattutto questo: mostrare il nostro sangue e dolore al resto d'Europa - non nasconderlo - per dimostrare che in Europa mancano leggi antimafia, mancano controlli sul riciclaggio. I capitali dei narcotrafficanti, dell'evasione, sono sempre meno nei paradisi offshore e sempre più nelle banche europee. L'Italia ha la tradizione antimafia più importante al mondo. Il report della subcommissione permanente del Senato statunitense ha accusato Credit Suisse di aver agevolato l'evasione delle tasse di oltre 10 mila cittadini americani, e ha calcolato che il valore dell'evasione scoperta è di circa 13,5 miliardi di dollari. L'evasione italiana che canali ha avuto, se non i medesimi di quella americana? I flussi di riciclaggio delle organizzazioni criminali che paesi europei usano?
Lo stesso metodo usato dal senatore Levin in Usa dovrebbe immediatamente essere usato dal nostro governo. Aprire inchieste politiche che mostrino i canali di evasione e riciclaggio, che mostrino la collaborazione delle banche italiane. L'ombra del riciclaggio e della collaborazione con i cartelli criminali investe troppi istituti di credito italiani. C'è tutto questo dietro i morti innocenti che continuano a cadere in Italia. Ad Arzano, l'altro ieri, altri due morti. Ciro Casone di 57 anni e Vincenzo Ferrante di 30 anni. A quanto emerge dalle prime indagini Vincenzo non c'entrava nulla, non era un camorrista, l'obiettivo era Casone. Uccisi in un centro abbronzante di proprietà della nipote di Casone che aveva appena finito di farsi una lampada mentre Vincenzo (come sembra da alcune ricostruzioni) si stava "facendo le sopracciglia".
È proprio così, i centri abbronzanti sono diventati spesso il luogo sostitutivo del barbiere, del circolo sportivo. Luoghi della vita quotidiana dove prima o poi passi, e dove i killer ti vengono a cercare. Fu per questo che quando scrivemmo la sceneggiatura di Gomorra pensammo di iniziare proprio da un centro abbronzante, la prima strage avviene lì. Fisicamente per noi significava sostituire l'immaginario tipico della piazza o del bar con una dimensione più reale. E ora la realtà conferma quell'intuizione drammatica. Quando mi presento ai tribunali durante i processi spesso dalle gabbie i camorristi mi insultano, mi dileggiano: mimano di strapparsi un ciuffo tra le loro sopracciglia proprio sopra il naso. E mi dicono "Savià è fattell sti sopracciglia", perché per molti di loro è inconcepibile avere sopracciglia folte e troppo unite. Loro che le hanno ad ali di gabbiano, loro che tengono all'estetica più di quanto si possa immaginare.
L'estetica in questi territori è un'ossessione. Ovunque, dal Sudamerica al Marocco, ma in questi territori assume una caratteristica ostentata e vitale come in Messico, in Colombia e in Brasile. Non dimenticherò mai le mani curate dei boss che vedo duranti i processi, passano le ore a limarsi unghie (anzi a farsele limare) con gli smalti rinforzanti e trasparenti, i peli delle mani accorciati, le pellicine inesistenti, i polpastrelli morbidi. Ossessionati dalla depilazione, che cercano di fare anche in carcere. Riporto questi dettagli per mostrare che non è un mondo a parte da suburra, i volti dei camorristi sono volti comuni, non hanno lombrosianamente sembianze mostruose che consolano il lettore, che può dirsi distante da tutto quanto ho appena descritto. Quando appaiono truci è spesso perché fotografati dopo insonni nottate di latitanza dopo interrogatori fiume in smorfie prese alla cattura.
In ogni processo, più guardo camorristi, più vedo i visi perfetti cui ci hanno abituato i corteggiati e i corteggiatori di uomini e donne. Vestono in ugual modo, hanno la stessa carnagione abbronzata, si depilano allo stesso modo. Non è quindi un mondo a parte: è il nostro mondo, ci siamo in mezzo, ci appartengono e noi apparteniamo a loro. Vincenzo Ferrante non ha precedenti di camorra, ancora non è chiaro se sia stato ucciso perché testimone o per altri motivi. A oggi è innocente. Un'altra persona innocente uccisa per decisione dei clan e che viene indicata come "errore". Sono morti collaterali, uccisi non per errore, uccisi perché parte di una guerra.
Questi sono morti che la camorra mette in conto smentendo l'adagio solito "tanto si ammazzano tra di loro". Idiozia omertosa. Si ammazzano tra di noi, si ammazzano con noi. E ora verranno a dirci di nuovo che stiamo diffamando l'Italia? Che stiamo esagerando? Che queste cose si sanno, che le scrivono e le dicono tutti? Ma come ne scrivono e come le dicono? La cronaca quotidiana locale dei morti e del potere camorrista anestetizza, stempera, spettacolarizza. Nei morti di questi giorni c'è molto di più che solo sangue e catrame. Ditemi in quale paese europeo si muore così, innocenti uccisi dai proiettili di una guerra criminale perenne. Potrei fare una lista lunghissima, ma mi limito a partire dalla cronaca di ieri.
Solo ieri è stato condannato in appello come mandante dell'omicidio di Attilio Romanò, Marco Di Lauro (ancora latitante). Romanò fu ucciso 24 gennaio 2005 ucciso solo perché lavorava in un negozio di telefonia a Napoli. Potrei citare Dario Scherillo ucciso il 6 dicembre 2004, solo perché si trovava nel posto sbagliato, come Annalisa Durante uccisa il 27 marzo 2004. E poi gli ultimi: Andrea Nollino, ucciso fuori dal suo bar il 26 giugno 2012 e Lino Romano ucciso il 15 ottobre 2012. Potrei farne ancora molti, moltissimi di nomi innocenti, uccisi dai clan. Bisogna intervenire subito. Immediatamente. Perché è già tardi. È già tardissimo.
La Repubblica, 28 febbraio 2014
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