(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Dopo gli Oscar
per i migliori film, ci vorrebbe un Oscaretto per i migliori commenti italiani
agli Oscar. Provinciali, retorici, cialtroni, pizzaemandolineschi. Un po’ come
dopo le partite dei Mondiali quando vince l’Italia: il patriottismo ritrovato,
l’orgoglio tricolore, il riscatto nazionale, l’ottimismo della volontà, la
metafora del Paese che rinasce, il sole sui colli fatali di Roma. Questa volta
però, con l’Oscar a La grande bellezza, c’è un di più: l’esultanza di chi s’è
fermato al titolo, senza capire che è paradossale come tutto il film. Ecco:
quello di Sorrentino è il miglior film straniero anche e soprattutto in Italia.
Il Corriere fa dire al regista che “con me vince l’Italia”, ma è altamente
improbabile che l’abbia solo pensato: infatti ha dedicato l’Oscar alla famiglia
reale e artistica, al Cinema e agli idoli adolescenziali (compreso – che Dio lo
perdoni – Maradona, inteso però come il fantasista del calcio, non del fisco).
Eppure Johnny Riotta, sulla Stampa, vede nel film addirittura “un monito” e
spera “che la vittoria riporti un po’ di ottimismo in giro da noi”.
E perché
mai? Pier Silvio B., poveretto, compra pagine di giornali per salutare l’“avventura
meravigliosa” sotto il marchio Mediaset. Sallusti vede nell’Oscar a un film
coprodotto e distribuito da Medusa la rivincita giudiziaria del padrone
pregiudicato (per una storia di creste su film stranieri): “Ci son voluti gli
americani, direi il mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è
l’associazione a delinquere immaginata dai magistrati”. Ora magari Ghedini e
Coppi allegheranno l’Oscar all’istanza di revisione del processo al Caimano.
“Oggi – scrive su Repubblica Daniela D’Antonio, moglie giornalista di
Sorrentino – ho scoperto di avere tantissimi amici”. Infatti Renzi invita
“Paolo per una chiacchierata a tutto campo”. Napolitano sente “l’orgoglio di un
certo patriottismo” per un “film che intriga per la rappresentazione
dell’oggi”. Contento lui. Alemanno, erede diretto dei Vandali, Visigoti e
Lanzichenecchi, vaneggia di “investire nella bellezza di Roma e nel suo immenso
patrimonio artistico”. Franceschini, ex ministro del governo Letta che diede
un’altra sforbiciata al tax credit del cinema, sproloquia di un “Paese che
vince quando crede nei suoi talenti” e di “iniezione di fiducia nell’Italia”.
Fazio, reduce da un Sanremo di rara bruttezza dedicato alla bellezza, con
raccapricciante scenografia color caco marcio, vuole “restituire” e “riparare
la grande bellezza”. Il sindaco Marino rende noto di aver “detto a Paolo che lo
aspetto a Roma a braccia aperte per festeggiare lui e il film, per il prestigio
che ha donato alla nostra città e al nostro Paese”. Ma che film ha visto? È
così difficile distinguere un film da una guida turistica della proloco?In realtà, come scrive Stenio Solinas sul Giornale, quello di Sorrentino “è il film più malinconico, decadente e reazionario degli ultimi anni, epitaffio a ciglio asciutto sulla modernità e i suoi disastri”. Il referto medico-legale in forma artistica di un Paese morto di futilità e inutilità, con una classe dirigente di scrittori che non scrivono, intellettuali che non pensano, poeti muti, giornalisti nani, imprenditori da buoncostume, chirurghi da botox, donne di professione “ricche”, cardinali debolucci sulla fede ma fortissimi in culinaria, mafiosi 2.0 che sembrano brave persone, politici inesistenti (infatti non si vedono proprio). Una fauna umanoide disperata e disperante che non crede e non serve a nulla, nessuno fa il suo mestiere, tutti parlano da soli anche in compagnia e passano da una festa all’altra per nascondersi il proprio funerale. Si salva solo chi muore, o fugge in campagna. È un mondo pieno di vuoto che non può permettersi neppure il registro del tragico: infatti rimane nel grottesco. Scambiare il film per un inno al rinascimento di Roma (peraltro sfuggito ai più) o dell’Italia significa non averlo visto o, peggio, non averci capito una mazza. Come se la Romania promuovesse Dracula a eroe nazionale e i film su Nosferatu a spot della rinascita transilvana.
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