Vera Pegna con la sua tessera del Pci del 1962 |
LA LETTERA. «Dedichiamo una
strada al sindacalista della Cgil, Filippo Intile, ucciso da Cosa Nostra il 7
agosto 1952»
Non è
più la ragazza “terribile”, che nella Caccamo del 1962, regno incontrastato di
don Peppino Panzeca, riuscì a presentare la lista del Pci, capace di eleggere
ben quattro consiglieri comunali. Non è più la giovane “consigliera” che nella
prima seduta fece togliere dalla sala consiliare la grande poltrona incredibilmente
riservata al capomafia. Ancora
oggi, però, Vera Pegna, 80 anni ben portati, è capace di stupire e tenere in
fibrillazione l’opinione pubblica di Caccamo, dove è tornata dopo 50 anni.
Stavolta, con una lettera aperta indirizzata al presidente del consiglio
comunale Domenico Porretta, ha chiesto che la città di Caccamo riscatti il suo
passato (?) di mafia, dedicando una targa ed uno spazio pubblico a Filippo
Intili, sindacalista della Cgil assassinato dalla mafia il 7 agosto 1952 a 51
anni, e revocando l’intitolazione a don Teotista Panzeca del locale liceo
sociopsico-pedagico.
Vera Pegna si è sempre distinta per le sue battaglie di
legalità e di trasparenza e davvero si può considerare una sorta di “pietra miliare”
nel territorio di Caccamo sotto
tanti punti di vista. Ancora oggi è forte e coriacea. Ancora nel 1962 a Caccamo
il grano di divideva a 50 e 50, con sementi e concimi a carico del mezzadro. Qualcuno
aveva cercato di cambiare le cose: era Filippo Intili, comunista, morto
ammazzato per mano della mafia. Gaetano Piraino, segretario della Cgil: «Due
volte il partito è venuto da Palermo e ci ha fatto presentare la lista. Due
volte è finita male. La prima volta il capolista, Pusateri Pino, è stato
ricoverato in manicomio, ci è rimasto dieci anni con la moglie e i figli che
morivano di fame e poi è uscito e l’hanno fatto emigrare. Il compagno Intile
Filippo, capolista la seconda volta, è stato tagliato in due con l’accetta sul
monte e nessuno voleva andarci per la paura, che c’era la luna che gli
strappava il cervello…». Vera Pegna chiese a Peppe Li Volsi di accompagnarla a
casa della sorella di Intili. Mi raccontò volentieri del fratello: «un uomo
così diritto, non inquietava nessuno,
faceva i fatti suoi. Pensi, non aveva mai rubato, neanche una pecora. Con la
sua accetta lo presero a
tradimento, mentre insaccava sommacco. Era il 7 agosto 1952. Era estate e il
pretore era in vacanza; il sindaco diceva
che non erano fatti suoi e così rimase per due giorni a terra, con la testa
spaccata, fu preso di luna e anche i vermi ci si misero. Era agosto e c’era
scirocco. Aveva 51 anni, moglie e 3 figli. Una tragedia per una famiglia che veniva
garantita, dal necessario per vivere, dal capofamiglia. Il maschio, il
maggiore, aveva 25 anni. Nessuno della famiglia si occupò di niente, per
paura». Si era nei tempi in cui era “difficile e pericoloso” denunciare la
mafia, testimoniare, rompere il muro dell’omertà. E a Caccamo la mafia aveva
una sorta di “roccaforte” dove i padrini facevano il bello ed il cattivo tempo.
Il cognato: «A me il maresciallo chiese: “ne sa niente cu fu? ” e io ci dissi: “nunsaccio,
che sono sbirro io?”. La sorella: «Lasciò la terra, il figlio e si vendette gli
animali e tutto. Poi la moglie di mio fratello morì un anno e mezzo dopo e i
tre figli andarono a Pisa dove sono tuttora. Arrestarono due uomini che si
presero l’avvocato Panzeca per essere difesi. Si vendettero le terre e poi
chissà, soldi e soldi, e sei mesi dopo i due vennero fuori e Filippo morì una
seconda volta. Non si sa chi fu, logicamente, ma lui amava la legge e sulla
terra che aveva a mezzadria da Pietro Catanese (che l’aveva
in affitto da Lorenzo Di Gesù, che l’aveva presa in affitto dal comune), a0veva
diviso a 60 e 40. Nessuno s’interessò.
Solo due deputati e una dottoressa, comunisti, che lasciarono 25.000 lire: “tè,
fatevi il lutto”».DINO PATERNOSTRO
LA LETTERA APERTA DI VERA PEGNA
Lettera aperta al Signor Presidente
del consiglio comunale di Caccamo
Signor
Sindaco,
Ho ascoltato alla radio l’ultima seduta del Consiglio
comunale, gli interventi del Consigliere Comparetto che chiede chiarimenti sul
passato della vostra cittadina e del Consigliere Cecala che rievoca persone, un
partito e un tempo che lo hanno visto protagonista anche in seno
all’amministrazione comunale.
Ciò che mi spinge a scrivere la presente lettera aperta è il
mio debito di gratitudine verso i caccamesi con cui ho condiviso un breve pezzo
del mio passato, nonché la fiducia che nutro in quelli che, con immenso
piacere, ho conosciuto e ritrovato quando sono tornata a Caccamo dopo 50 anni di
assenza. Dunque lo scopo della presente lettera è quello di contribuire a
ricostruire il passato in modo veritiero, riferendomi alla documentazione
ufficiale di cui dispone il parlamento italiano e, in primis, la Commissione
parlamentare antimafia, al riguardo
delle persone nominate nel Consiglio comunale dell’8 novembre u.s.,
ovvero l’ex sindaco Salvatore Cordone e altri tre protagonisti della storia di
Caccamo: Mons. Teotista Panzeca, suo fratello Giuseppe Panzeca ma anche
Salvatore Ganci, impiegato all’ufficio tecnico del comune, carica sempre molto
ambita dove è facile far prevalere interessi personali a scapito di quelli
collettivi e del bene comune. Aggiungo qualche mia riflessione che spero avrete
la pazienza di leggere.
Preciso che mi sono limitata a riportare le segnalazioni
provenienti dalle forze dell’ordine omettendo volutamente quelle anonime,
quelle dei giornali dell’epoca nonché quelle riportate nel mio esposto alla
Commissione antimafia, da me firmato ma frutto di un intenso lavoro collettivo
con i miei compagni di partito.
Non solo tali documenti rispondono in modo inequivocabile
alle domande del Consigliere Comparetto e alle
affermazioni del Consigliere Cecala
ma, a loro volta, ne pongono altre in modo altrettanto inequivocabile a coloro
che, dentro e fuori il Consiglio comunale, sono intenzionati ad eliminare le
tracce lasciate dai mafiosi di allora. Una di queste tracce è stata eliminata
dalla presente Amministrazione intitolando ai magistrati Falcone e Borsellino
la delibera che per vent’anni le Amministrazioni precedenti hanno omesso di
attuare in ossequio alla mafia. Inoltre, l’attuale Amministrazione intende
proseguire su questa strada collocando a Piano Margi un cippo funerario alla
memoria del contadino Filippo Intili ucciso dalla mafia il 7 agosto 1952 perché
si batteva per applicare la legge Gullo sulla divisione dei prodotti. Bene. Ma
andiamo avanti. Un luogo istituzionale, il Liceo Socio-Psicopedagogico Statale
di Caccamo è intitolato a Mons. Teotista Panzeca ed è
quindi inquinato dalla presenza prepotente della mafia; la Civica
Amministrazione che propose tale intitolazione diede altresì il proprio
patrocinio alla realizzazione di un busto in bronzo rappresentante il Panzeca
medesimo. Dunque, al Consiglio comunale e, in particolare a chi vi partecipa da
diversi mandati io, da cittadina italiana, chiedo: qual è la figura esemplare
che l’Amministrazione di Caccamo vuole indicare agli alunni delle scuole e ai
giovani? Quella di Intili, sindacalista, che si batté per la legalità o quella
di Teotista Panzeca, mafioso? La scelta
è fra legalità e delinquenza.
Durante la seduta del Consiglio è stata ricordata una frase
di De Gasperi secondo il quale non c’è futuro se non si riconosce il proprio
passato. Pertanto, assumendo il proprio passato, i caccamesi possono costruire
il proprio futuro su valori di convivenza improntati alla legalità; compito
tanto più difficile quanto necessario in particolar modo per coloro che sono
portatori di cognomi pesanti il cui riscatto risulterà benefico per essi stessi
e per l’intera comunità.
Colgo quest’occasione per ringraziare il Sindaco Galbo, il
Presidente del Consiglio Porretta e il Consiglio tutto della calorosa accoglienza
riservatami il 17 ottobre u.s. e assicuro la mia disponibilità a partecipare a
un dibattito pubblico sui temi trattati nella presente lettera.
Con i miei cordiali saluti,
P.S. La prego, Signor Presidente, di trasmettere la presente
a tutti i Consiglieri comunali. Grazie.
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