Vera Pegna con la sua tessera del Pci del 1962 |
Nel 1962 una giovane comunista, Vera
Pegna, riuscì a scalfire il potere politico-mafioso di Caccamo, costringendo il
comune a togliere dalla sala consiliare la poltrona simbolo del potere
politico-mafioso del boss don Peppino Panzeca
Ero molto curioso di conoscere Vera Pegna. Mi ero
imbattuto nel suo nome leggendo del “padrino” storico di Caccamo, quel don
Peppino Panzeca che, dal secondo dopoguerra e fino agli anni ’60, esercitava
incontrastato il suo dominio mafioso sul termitano e sulle Madonie. Di lei
avevo letto negli atti della prima Commissione antimafia che, da giovane e coraggiosa
consigliera del P.C.I., era riuscita a far togliere dall’aula consiliare di
Caccamo la poltrona riservata abusivamente a don Peppino, simbolo del suo
potere mafioso esercitato sulla città del castello. Poi avevo letto il suo
“Tempo di lupi e di comunisti” (Editrice La Luna, Palermo 1992), dove questa
vicenda e tante altre venivano raccontate con dovizia di particolari. E la
curiosità di conoscerla ed incontrarla è diventata sempre più forte. Ci sono
riuscito la settimana scorsa, quando Vera, che abita a Marina di Cerveteri,
vicino Roma, è tornata a Caccamo. Siamo stati un pomeriggio ed una serata
insieme. (GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO)
E lei, che adesso ha 79 anni (ben portati), mi ha raccontato come mezzo
secolo fa una ragazza di “buona famiglia”, nata ad Alessandria d’Egitto e
laureatasi in lingue straniere a Ginevra, in Svizzera, abbia sentito forte il
bisogno di impegnarsi per una società più libera e più giusta, seguendo dapprima
Danilo Dolci a Partinico. «Ben presto, però, la non violenza di Danilo mi è
sembrata astratta – mi ha detto Vera - e mi sono avvicinata alle idee
comuniste, grazie all’incontro con Angelo Scopelliti, un bracciante comunista, segretario
della Camera del lavoro di Palma di Montechiaro, animato da una forte carica
umana e ideale». Fu così che nel 1962, a 28 anni, Vera Pegna lasciò
l’organizzazione di Danilo Dolci e si presentò alla Federazione comunista di
Palermo. «Non so niente di politica – disse al segretario provinciale Napoleone
Colajanni – ma sono sinceramente desiderosa di vivere da comunista. Posso
essere utile?». Colajanni rimase stupito per quella richiesta, ma le propose di
andare a dare una mano a Caccamo, un comune agricolo di 10 mila abitanti a 50
km da Palermo, dove il 10 giugno si sarebbero svolte le elezioni comunali. «A
Caccamo – le disse Colajanni - la situazione è chiusa e quasi senza speranza .
Dal dopoguerra non riusciamo ad avere una nostra presenza in consiglio perché
la mafia regna incontrastata. (…) L’ultima volta che ci siamo presentati è
stato nel 1952 e, insieme al Psi, abbiamo preso poco più di 100 voti. Quindi
anche se li perdiamo non è grave. Fai del tuo meglio e cerca di costruire il
partito». Un discorso che avrebbe scoraggiato chiunque, ma non Vera Pegna, che
invece partì con grande entusiasmo e fece “il miracolo”. La lista del Pci,
capeggiata da Peppino Miceli, deputato regionale e segretario della Camera del
lavoro di Palermo, e dalla giovane Pegna, riuscì ad ottenere circa 800 voti e 4
consiglieri comunali su 30 (i due capilista, Giovanni Macaluso ed Angelo
Carbone). «Fu una gioia immensa…», ricorda ancora adesso Vera Pegna. Il
consiglio comunale s’insediò il 28 giugno 1962. «Quel giorno – ricorda - il
comune era affollatissimo. Entriamo nella sala consiliare. Sono state disposte
22 sedie bianche per la maggioranza e 8 nere per l’opposizione». Una trovata
bizzarra e discriminatoria. Ma ancora più grave era ciò che stava di fronte a
quelle sedie: «il tavolo del sindaco con a fianco la famosa poltrona di don
Peppino». Infatti, a don Peppino Panzeca, pur non avendone alcun diritto,
veniva riservato un posto d’onore in consiglio comunale. Con fare
“dissacratorio”, la giovane consigliera comunista rifiutò la sedia nera
indicata dal commesso comunale e andò a sedersi sulla poltrona del boss,
sconvolgendo i suoi stessi compagni. Vi fu una grande agitazione e un gran
confabulare tra i consiglieri di maggioranza, che poi uscirono dall’aula per
avere “istruzioni” sul da farsi. Poco dopo il commesso tornò e pregò Vera Pegna
di alzarsi «perché deve, dice, levare quella poltrona che ormai lì non ci fa più
niente». «Mi alzai – racconta - e lui tolse la poltrona tra gli applausi del
pubblico». Questa minuta consigliera comunista e i suoi compagni, dunque,
avevano incredibilmente vinto una
battaglia che sarebbe passata alla storia: la rimozione della poltrona di don
Peppino Panzeca!
A Caccamo Vera Pegna
conobbe il gruppo dirigente del Pci e della Cgil. Fu Gaetano Piraino, segretario
della Camera del lavoro, ad accoglierla il giorno del suo arrivo. Ma, prima di
parlarle, uscì dall’armadio una fascia tricolore con la scritta “il segretario”
ricamata in lettere d’oro, la mise a tracolla, sedette dietro la scrivania,
sotto i ritratti di Stalin e Togliatti separati da una madonna e da un crocifisso.
«Cara compagna – le disse - qui tu sei nella repubblica di Caccamo. Ti parla il
compagno Piraino Gaetano che tanto ha fatto per il partito, per la Camera del
lavoro e per la difesa dei diritti dei lavoratori… Qui a Caccamo non c’è niente
da fare. Qui a Caccamo c’è mafia. Qui a Caccamo c’è don Peppino Panzeca, che è
il capo di tutta la mafia. (…) Tu dici che sei venuta a fare la campagna
elettorale. La campagna non si può fare, perché noi liste non ne possiamo
presentare. Due volte il partito è venuto da Palermo e ci ha fatto presentare
la lista. Due volte è finita male. La prima volta il capolista, Pusateri Pino,
è stato ricoverato in manicomio, ci è rimasto dieci anni con la moglie e i
figli che morivano di fame e poi è uscito e l’hanno fatto emigrare. Il compagno
Intile Filippo, capolista la seconda volta, è stato tagliato in due con
l’accetta sul monte e nessuno voleva andarci per la paura, che c’era la luna
che gli strappava il cervello…». Che Piraino fosse un personaggio singolare ed
eccentrico non c’erano dubbi. Come non c’erano dubbi che non volesse turbare la
“pax mafiosa” di Caccamo. Ciò non toglie che la situazione della città del
castello fosse davvero disperata. In quei giorni Vera Pegna conobbe è apprezzò
anche un altro personaggio, Angelino Carbone, un bracciante agricolo
poverissimo, sposato, con tre figli, che invece l’accolse con entusiasmo.
«Bisogna pure battersi contro questa mafia, bisogna pure che le cose cambino»,
le diceva. I primi a sorprendersi che a Caccamo si potesse presentare una lista
del Pci furono i dirigenti della Federazione di Palermo. Ma la lista fu
presentata, elesse 4 consiglieri, che nella prima seduta riuscirono a far
togliere la poltrona del potere mafioso in consiglio. Poi lo strapotere
democristiano e mafioso prese di nuovo il sopravvento, fino a costringere
Angelino Carbone, rimasto vedovo, senza lavoro e con tre figli piccoli da
sfamare, a passare con la Dc. «No, Angelino non era un traditore, lo sapevamo
tutti e in fondo a noi stessi provavamo una vergogna profonda per non averlo
aiutato e soffrivamo con lui la sua umiliazione», mi dice Vera. Dopo qualche tempo,
Vera lasciò Caccamo per farvi ritorno solo molti anni dopo. A febbraio e poi la
settimana scorsa. Ed è accaduto un altro “miracolo”. La sera del 17 ottobre
Vera Pegna è stata accolta con tutti gli onori in consiglio comunale. «È stata
consigliere comunale a Caccamo negli anni ’60 – hanno detto il presidente
Domenico Porretta e il sindaco Andrea Galbo – e si è impegnata a favore dei
lavoratori, ha lottato contro la mafia e la mentalità mafiosa». Se 51 anni fa glielo
avessero predetto, non ci avrebbe mai creduto.
Dino Paternostro
3 commenti:
Una donna eccezionale per quei tempi ,il PCI di allora aveva molti militanti che diedero il meglio di se stessi per una società giusta e democratica,devo dire purtroppo che pochi di quei compagni sono arrivati ai vertici del partito,figure sbiadite e mediocri hanno preso in mano il partito estromettendo i compagni piu spassionati, con i risultati odierni, la "nomenclatura" di pseudo comunisti da tempo ha dimenticato la lotta politica per far progredire in tutti i sensi la societa italiana,sono avanzati solo loro e gli amici degli amici, i parenti dei parenti,sono sempre gli stessi a tirare le file del gioco e non accettano chi voglia tentare di cambiare e migliorare le cose.
Una donna eccezionale per quei tempi ,il PCI di allora aveva molti militanti che diedero il meglio di se stessi per una società giusta e democratica,devo dire purtroppo che pochi di quei compagni sono arrivati ai vertici del partito,figure sbiadite e mediocri hanno preso in mano il partito estromettendo i compagni piu spassionati, con i risultati odierni, la "nomenclatura" di pseudo comunisti da tempo ha dimenticato la lotta politica per far progredire in tutti i sensi la societa italiana,sono avanzati solo loro e gli amici degli amici, i parenti dei parenti,sono sempre gli stessi a tirare le file del gioco e non accettano chi voglia tentare di cambiare e migliorare le cose.
Una donna eccezionale per quei tempi ,il PCI di allora aveva molti militanti che diedero il meglio di se stessi per una società giusta e democratica,devo dire purtroppo che pochi di quei compagni sono arrivati ai vertici del partito,figure sbiadite e mediocri hanno preso in mano il partito estromettendo i compagni piu spassionati, con i risultati odierni, la "nomenclatura" di pseudo comunisti da tempo ha dimenticato la lotta politica per far progredire in tutti i sensi la societa italiana,sono avanzati solo loro e gli amici degli amici, i parenti dei parenti,sono sempre gli stessi a tirare le file del gioco e non accettano chi voglia tentare di cambiare e migliorare le cose.
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