Giorgio Scimeca |
Giorgio Scimeca ha conosciuto la mafia in
prima persona otto anni fa. Prima di allora, ne aveva percepito solo gli
effetti: i morti ammazzati, i locali bruciati, la paura della gente. Nel '92
sua madre aveva portato lui e il fratello sia ai funerali di Falcone che di Borsellino:
una sorta d'iniziazione all'antimafia.
“Mia mamma ha la quinta elementare ma
sa distinguere gli uomini di valore”, ricorda. La signora considera i due
magistrati un modello da seguire: le hanno insegnato a non sopportare la
violenza mafiosa, nemmeno se a esercitarla è il fratello di suo marito, un uomo
d'onore secondo i boss di Palermo. Uno che grazie alle sue amicizie è diventato
ricco. Quando quella violenza investe suo figlio, non si dà pace. Poi un giorno legge che a Palermo sta nascendo Addiopizzo,
un movimento che vuole stroncare il racket delle estorsioni sostenendo i
commercianti che dicono no alla mafia. La colpisce il motto: "Un popolo
che paga il pizzo è un popolo senza dignità". (GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO)
“Se mio zio ha i suoi amici, io ho i miei:
i ragazzi di Addiopizzo – dice –. Sono stato il primo commerciante in Italia ad aderire alla loro
associazione. La forza di denunciare m'è arrivata da mia madre e dal ricordo di
Paolo Borsellino, il mio idolo assoluto. Ma riesci a immaginare cosa
avrebbe potuto fare uno come lui con il consenso dei ragazzi di Addiopizzo? A quest'ora avrebbe già sconfitto Cosa
Nostra”. Una volta entrato nel movimento antimafia, Scimeca è riuscito a
parlare con Manfredi, il figlio del magistrato. “Per me è stato un incontro
importante. Mi ha raccontato che negli ultimi giorni suo padre era diventato
improvvisamente più duro. Voleva rendersi antipatico perché tanto sapeva che i
suoi figli avrebbero dovuto fare a meno di lui”. Lo Stato sapeva e non ha fatto
niente, continua Scimeca. Lo ha lasciato isolato, senza nessuna protezione,
perché ha avuto il coraggio di opporsi alla mafia. Com'è successo a Scimeca nel
2004, prima che conoscesseAddiopizzo.
In quegli anni, Scimeca possiede l'unico
pub con sala giochi di Caccamo, a 40 chilometri dal capoluogo siciliano. Un
giorno entra nel locale uno di quei tizi che a Caccamo conoscono tutti:
pericoloso e poco raccomandabile. Chiede in prestito poche centinaia di euro,
per un affare importante. “Non so se è colpa della paura o di altro, fatto sta
che l'ho pagato”. Così Scimeca diventa vittima della mafia. I
"prestiti" diventano "pizzo", una tangente regolare.
L'estorsore pretende l'auto per trasportare droga, lo obbliga ad acquistare
merce contraffatta e a nasconderne altra rubata. È tra la primavera e l'estate
del 2004 che Scimeca decide che non può andare avanti così. Allora smette di
pagare e di offrire il suo aiuto. Passano mesi e l'estorsore scompare dal
locale. Torna verso la fine dell'anno, con una notizia allarmante: “Mi racconta
che a Palermo ci sono persone di un certo spessore a cui do fastidio. 'Siccome
ti voglio bene – aggiunge – ho anticipato 400 euro, ma devi ritornarmeli'”.
Scimeca prende tempo, ma sa che non può più sfuggire, deve affrontare la mafia.
La sera stessa decide di chiamare la polizia per mettere sotto controllo il suo
telefono.
Fissa un incontro a gennaio 2005, un
sabato pomeriggio alle 18. “Una parte di me sperava che il mio estorsore non
arrivasse. Un'altra voleva punire quel pezzo di merda ed evitare che altri si
trovassero nella mia stessa posizione”. Alla fine l'uomo si presenta,
Scimeca gli consegna i 400 euro e la polizia irrompe. La voce si sparge:
Giorgio Scimeca è un nemico che sta con lo Stato. Una scelta che Scimeca paga con la solitudine. Nessuno frequenta
il suo locale, così inizia ad accumulare debiti fino ad arrivare alla soglia
del fallimento. È allora che sua madre contatta Addiopizzo. Una decina
di volontari arrivano da Palermo per ascoltare la storia di Scimeca. Hanno
poco più di vent'anni e il sogno di costruire un'associazione per promuovere il
consumo nei negozi che non pagano il racket. Fanno ogni settimana ottanta
chilometri per venire nel suo pub, solo per stargli accanto e tenere in vita il
locale. Dopo mesi ha accesso al fondo antiracket ed apre un bar-pasticceria a
conduzione familiare, oggi parte delle rete del consumo critico di Addiopizzo.
“La sala giochi, però, non l'ho chiusa – aggiunge –. Non mi interessa anche se
non faccio incassi: quello è un simbolo e deve continuare ad esistere”.
Questa
storia Giorgio Scimeca non smette mai di raccontarla: ai ragazzi delle
scuole del Nord Italia, ai turisti in visita con i tour di Addiopizzo Travel. “Faccio conoscere agli studenti gli
imprenditori che si sono ribellati. Perché qualcuno, nonostante tutto, cerca
sempre di lavorare onestamente”.
Affariitaliani.it, mercoledì,
18 luglio 2012
Nessun commento:
Posta un commento