di
Carmela Ignaccolo
Parlare di
pizzo, racket e mafia con Giorgio Scimeca non significa imbarcarsi nei soliti
luoghi comuni triti e ritriti, tipici di chi quel mondo lo ha visto solo in Tv.
O nei libri. Perché invece Giorgio queste cose continua viverle ogni giorno
sulla sua pelle. E forse è per questo che in barba ai suoi 37 anni riesce
contemporaneamente a farti dono di un’esperienza infinita, quasi centenaria, e
di quella carica di entusiasmo che solo i bambini riescono ad avere. Giorgio
infatti, che dalla vita (e dagli uomini) è stato costretto a crescere
velocemente, è comunque rimasto aggrappato con tenacia ai suoi sogni di
ragazzo. E ai suoi ideali di giustizia, lealtà, legalità, amicizia, onore. Anche
se ha dovuto subire delle richieste di denaro, via via più esplicite. Anche se
è stato avvicinato da chi voleva fargli ritrattare la denuncia al suo estorsore
e persino dopo che una soffiata anonima gli aveva fatto capire che era in
pericolo la sua stessa vita.
«È una
questione di valori- ci spiega- e di questo ringrazio anche la mia famiglia che
me li ha insegnati».
E così
Giorgio, titolare insieme ai fratelli della pasticceria Scimeca di Caccamo, a
questi valori continua a tenersi forte. E di forza ce ne vuole in un paese in
cui su 300 esercizi commerciali solo 2 (oltre al suo) hanno avuto il coraggio
di ammettere l’esistenza del racket e di cercare appoggia dai ragazzi di addio
pizzo.
Ma non
è strano?
«No, è
normale. Qui ci si abitua a questo genere di vessazioni: pagare il pizzo per
continuare a lavorare è ormai considerata una forma di tassazione alternativa. Odiosa
come quella verso lo stato, ma proprio come questa ineludibile. Ci si rassegna
e basta. Prova ne è che dopo che la mia storia è stata resa nota da Pif (ex
Iena e oggi conduttore della trasmissione “Il testimone”) la maggior parte
delle mail di solidarietà mi sono arrivate dal Nord Italia. Qui in Sicilia pare
se ne siano accorti in pochi…».
Nonostante
questo tu non ti sei rassegnato…
«Perché fin
da bambino mi è stato insegnato altro. E non solo portandomi ai funerali di
Falcone e Borsellino, ma con l’esempio concreto. A casa mia si è sempre creduto
nel lavoro, nel lavoro onesto di un imprenditore che con la sua fatica riesce a
mettere in regola i suoi dipendenti e che non deve sottostare a vessazioni e
ricatti. Per questo ho parlato».
E cosa
è successo?
«Che qui a
Caccamo in pochi mi hanno capito, sono visto come il traditore. E sono stato
anche boicottato da infiltrati».
In che
senso?
«Lavoranti
infedeli che hanno manomesso le preparazioni, con il risultato di mettere in
fuga un po’ di clienti.. Ma la cosa che mi fa più male è l’incapacità dei miei
paesani di prendere posizione. Sono amici di tutti: miei come del mio
estorsore. Non vogliono contrariare nessuno. Ma così non si va da nessuna parte».
È per
questo che hai aderito ad Addiopizzo?
«Sì. Per me
fa le veci di quello Stato che dovrebbe esserci, ma non c’è. Quello Stato
paladino contro le ingiustizie, sostenitore delle persone oneste».
Ma cosa
significa essere associati ad Addiopizzo?
«Non è
un’associazione automatica: bisogna avere i requisiti per entrare a farne parte
e rispettarli anche dopo. È una cosa seria. In cambio si entra in un circuito
virtuoso in cui si gode di assistenza legale e di appoggio in caso di minacce o
richieste di denaro. E poi – e questa è una cosa che tanti, tantissimi
esercenti fanno fatica a capire - ti consente di entrare all’interno di una
rete protettiva, invisibile, ma difficilmente espugnabile. Che funge da deterrente
per la malavita organizzata».
Cioè?
«Vede, la
mafia non è solo quella istrionica e sanguinaria di Totò Riina, c’è anche
quella silente e placida. Anzi proprio quando c’è meno movimento è allora che –
bisogna esserne certi – sta succedendo qualcosa. Questa mafia in sordina non
vuole guai e sa che minacciare un esercente di Addiopizzo equivale a chiamare
le forze dell’ordine. Quindi gira al largo».
E poi
Addiopizzo è anche consumo e turismo sostenibile…
«Già, i
ragazzi dell’Associazione hanno attivato un circuito di acquisti nei locali
certificati Addiopizzo e un tour turistico che va a toccare i luoghi più belli
dei nostri dintorni, ma anche i luoghi che dalla mafia sono stati lacerati. E
ovviamente per noi esercenti questi tour sono un aiuto importante al nostro
business».
A
proposito, come vanno gli affari?
«Si fatica.
E si fatica non solo per la crisi, ma perché qui la concorrenza è sleale: io ho
messo in regola tutti (siamo in otto), ma questo mi costa (ho anche rinunciato
alla mia auto personale, pensi un po’). Ma non mi peserebbe tanto se non
vedessi altri che in barba a tutto e calpestando i diritti dei propri impiegati
riescono – proprio per questo – a far fronte alla situazione economica meglio
di me. E poi tenga conto che io sto ancora versando tasse del biennio
2004-2006. Non ho avuto altra scelta che dilazionarle: dopo aver denunciato il
mio estorsore, la mia sala gioco è stata disertata e gli affari sono colati a
picco».
Parla
così Giorgio della sua avventura. Non c’è astio nella sua voce,
né paura. Nemmeno quando con tranquillità mi dice: «Mi piacerebbe
che lo Stato mi aiutasse. In fondo credo di meritarlo.»
Mixerplanet.com,
20.09.2013
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