Il magistrato Nino Di Matteo |
di Giorgio Petta
Le frasi choc di Riina sul pm palermitano ma anche sul boss Messina Denaro
PALERMO - «E allora organizziamo questa
cosa! Facciamola grossa e dico non ne parliamo più». Così Totò Riina, 83 anni,
alle 9,30 del 16 novembre scorso, progettava con il boss pugliese della Sacra
corona unita Alberto Lorusso un attentato al pm Nino Di Matteo. La
conversazione è stata depositata - in totale sono un'ottantina di pagine di
intercettazioni effettuate durante l'ora di "socialità" nel carcere
milanese di Opera tra il 17 ottobre e il 18 novembre 2013 - agli atti del
processo sulla trattativa Stato-mafia in cui il magistrato rappresenta la
pubblica accusa. «Perché Di Matteo non se ne va... gli hanno rinforzato la
scorta e non se ne va più... E allora se fosse possibile un'esecuzione come
eravamo a quel tempo a Palermo... con i militari. Io ve l'ho detto ieri: deve
succedere un manicomio. Deve succedere per forza».
Come l'attentato in cui, il 29 luglio
1983, fu ucciso, sotto casa, in via Pipitone Federico, a Palermo, Rocco
Chinnici, il capo dell'Ufficio Istruzione del Tribunale. L'auto-bomba falciò
anche due carabinieri della scorta e il portiere dello stabile. Riina lo
ricorda bene. All'esplosione assistette da lontano. «Prima fanno i carrieristi
a spese dei detenuti... poi saltano in aria quando gli succede quello che gli è
successo... Quello là saluta e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato
sei? Saluti e te ne sali nei palazzi? Minchia e poi è sceso, disgraziato, il
Procuratore Generale di Palermo». L'esplosione sbalzò in aria il magistrato
facendolo poi ricadere a terra. «Per un paio d'anni mi sono divertito. Minchia,
che gli ho combinato! E ancora - dice Riina come se parlasse ai magistrati del
processo sulla trattativa in cui è uno degli imputati - dobbiamo prendere un
provvedimento per voi altri... uno che vi fa ballare la samba così che vi fa
salire nei palazzi e vi fa scendere come vuole, come se fossero formiche».
Quanto al pm Di Matteo, «ti farei
diventare il primo tonno, il tonno buono. Minchia, ho una rabbia, mi sento
ancora in forma porca miseria... perché speranza dei giovani, no, no... A me
non devono insegnare nulla... io pure a 100 anni... Sono un uomo e so quello
che devo fare... Vedi, vedi... Si mette lì davanti, mi guarda con gli occhi
puntati, ma a me non mi intimorisce... Questo pubblico ministero di questo
processo che mi sta facendo uscire pazzo... Di più per questo signore che era a
Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima... E' un
disgraziato... Minchia, è un intrigante... Minchia, questo vorrebbe mettere a
tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani... Ci mette la parola a tutti, ma non
prende niente, non prende niente... ». E a proposito del presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano, citato come teste al processo sulla trattativa,
Lorusso riferisce a Riina che sono in molti tra i politici che sostengono che
il capo dello Stato non debba testimoniare. «Fanno bene, fanno bene... Ci danno
una mazzata... Ci vuole una mazzata nelle corna a questo pubblico ministero di
Palermo» è il commento del capo dei capi.
«A me dispiace dirlo, questo signor
Messina Denaro, questo che fa il latitante, questo si sente di comandare, ma
non si interessa di noi». Riina è sprezzante con Matteo Messina Denaro. «Questo
- dice a Lorusso, riferendosi al business dell'energia eolica in cui è
coinvolto il boss di Castelvetrano - fa i pali della luce. Ci farebbe più
figura se se la mettesse in c... la luce. Fa pali per prendere soldi... Se ora
ci fosse suo padre, perché suo padre (il defunto Francesco Messina Denaro, ndr)
era un bravo cristiano! Era perfetto, un orologio. Il figlio lo ha dato a me
per farne quello che ne dovevo fare. È stato 4 o 5 anni con me poi si è messo a
fare luce e finì».
«A noi ci tengono in galera però quando
siamo liberi li dobbiamo ammazzare. Intanto io ho fatto il mio dovere, ma voi -
dice Riina rivolto ai "picciotti" ancora liberi - continuate, non
dico tutti, ma qualcuno divertitevi, una fucilata nella testa di questi
cornuti». C'è però sfiducia nelle nuove leve di Cosa nostra: «non sono capaci a
pigliare neanche una papera». Quanto a lui, invece, «l'ultimo se mi riesce sarà
più grosso... se mi ci metto con una bella compagnia di anatroccoli. Così chi
peschiamo, peschiamo e non se ne parla più. Non devo avere pietà di questi,
come loro non hanno pietà».
Ancora: «Se io restavo fuori, io
continuavo a fare un macello, continuavo al massimo livello. Ormai c'era
l'ingranaggio, questo sistema e basta. Minchia, eravamo tutti, tutti mafiosi.
Quelli si meritavano questo e altro... Questo è niente. Quello che gli feci io!
Gli ho fatto, però meritavano. Se ci fosse stato qualche altro avrebbe
continuato e non hanno continuato e non hanno intenzione di continuare.
Nessuno... Mi viene una rabbia... Ma perché questa popolazione non vuole
ammazzare a nessun magistrato? A tutti... ammazzarli, proprio andarci armati e
vedere... Si ringalluzziscono, si ringalluzziscono perché c'è la popolazione
che li difende, che li aiuta... ».
È davvero così. Perché da ieri mattina, di
fronte al Palazzo di Giustizia, c'è il gazebo di «Scorta Civica» promossa da un
cartello di associazioni (Agende rosse, addio pizzo, professionisti liberi,
contrariamente, Ampi, azione civile, io mi arruolo, muovi Palermo, legalità e
libertà, associazione nazionale familiari vittime di mafia, cittadinanza per la
magistratura, liberi sempre e la freccia di Abaris), a sostegno dei magistrati
minacciati dalla mafia e di tutti coloro che lavorano a difesa della legalità.
All'iniziativa ha aderito anche il Comune di Palermo.
Ma anche il Comitato nazionale per
l'ordine e la sicurezza pubblica presieduto ieri al Viminale dal ministro
dell'Interno Angelino Alfano ha deciso la massima tutela per i magistrati a
rischio. Alla riunione hanno partecipato oltre ai vertici nazionali delle forze
di polizia, i vertici giudiziari di Palermo, Caltanissetta e di Trapani. La
Commissione antimafia di pomeriggio ha ascoltato il procuratore di Trapani,
Marcello Viola, il sostituto Andrea Tarondo, il presidente della sezione Misure
di prevenzione Piero Grillo e il procuratore generale di Palermo, Roberto
Scarpinato. «L'azione della Procura di Trapani nei confronti di Cosa Nostra -
ha detto Scarpinato - ha portato al sequestro e alla confisca di beni per 3
miliardi di euro scatenando l'irritazione di Matteo Messina Denaro».
La Sicilia, 21.1.14
Nessun commento:
Posta un commento