Silvio Berlusconi e Matteo Renzi |
Si può fare una riunione del consiglio scolastico con il professore
pedofilo per discutere di programmi educativi dell’anno 2013/2014? Non si può. Non c’è da spiegare molto. Non si può. In Italia sta accadendo di peggio. Tra
poche ore saremo informati che un aspirante premier, leader del maggiore
partito politico italiano, ha incontrato un pregiudicato per discutere di affari di
Stato: una legge elettorale, l’abolizione del Senato elettivo.
Stiamo parlando di elementi cardine del sistema costituzionale. I media
italiani – t elevisione e carta stampata – stanno banalizzando l’evento in
maniera imbarazzante. Quasi si trattasse della normale prosecuzione
dell’uso del potere, che Berlusconi ha accumulato negli anni, e delle
inevitabili (o evitabili) trattative politiche che si fanno con chi detiene una
fetta di potere. Non è così. Come diceva un diplomatico francese, “le forme non
sono importanti, salvo quando vengono meno”.
In certi quartieri di Palermo, se ti occupano abusivamente la casa, puoi
andare dalla polizia e dai giudici – e l’esito sarà lungo, forse
incerto – oppure ti rechi dal capomafia di quartiere. Entro
ventiquattr’ore l’abusivo sparisce. Ma non è gratis. Non perché lo ‘zu ti
chiede soldi, non è mica un poveraccio… quando sarà ti presenterà il conto.
Berlusconi è un personaggio condannato e interdetto. C’è un prima e un dopo,
sebbene un’insistente ondata propagandistica tenti di confondere le
acque. Prima della condanna definitiva era una personalità che a
buon ragione risultava repellente a molti e – in nome del libero arbitrio –
poteva piacere ad altri. Dopo la sentenza della Cassazione il suo status è
mutato per una sentenza emessa in nome del “popolo italiano”, che ha – dovrebbe
avere – una valenza nazionale. È una persona caratterizzata da una “naturale
capacità a delinquere mostrata nella persecuzione del (proprio) disegno
criminoso”, come hanno sancito i giudici del processo
Mediaset.
Con la fresca arroganza di chi è pervenuto a un posticino di potere per
grazia del sovrano, l’economista Filippo Taddei membro
della segreteria del Pd ha dichiarato l’altra mattina a Omnibusa chi gli chiedeva dei dubbi sull’incontro
Renzi-Berlusconi: “Francamente non capisco il senso della questione”. Peccato,
perché è ipotizzabile che abbia viaggiato in Europa e si sa per certo che ha
vissuto negli Stati Uniti. L’incontro tra un politico
incensurato e un pregiudicato è inconcepibile in qualsiasi
capitale democratica dell’Occidente.
Un evento del genere è escluso a Washington come a Berlino, a Parigi come a
Londra. Nixon era stato eletto nel 1972 con 47 milioni di voti. Nel momento in
cui fu riconosciuto responsabile dei reati connessi allo scandalo Watergate,
non fu più un interlocutore per nessuno. Punto. I democratici americani hanno
continuato ovviamente a trattare e fare politica con i repubblicani, ma il
colpevole di reati era pubblicamente fuori gioco. Perché c’è un confine invalicabile tra l’onorabilità pubblica
prima e dopo una condanna. Anzi nei paesi anglosassoni e a democrazia matura
c’è anche un secondo confine, quello della condotta “appropriata” o
“inappropriata”, che riguarda la correttezza del comportamento pubblico e
prescinde dai procedimenti penali. Per cui il politico, beccato con lo
scontrino delle mutande messo in conto al contribuente, sparisce subito dalla
circolazione e nessuno dei suoi sodali di partito grida al complotto.
Semplicemente perché “non si può”.
In Italia la classe politica rimuove costantemente questo discrimine di
etica pubblica per cui i più grandi cialtroni possono gridare che non sono
indagati, facendoci ridere dietro all’estero. Ma pazienza. La
maggioranza paziente si accontentava di aspettare le sentenze definitive della
magistratura, augurandosi che avessero un senso erga omnes. Il fatto che da noi
si voglia ora platealmente varcare il limite tra
chi ha la titolarità di buona fede per stare sulla scena pubblica è chi è
interdetto per gravi reati costituisce un ulteriore allontanamento dell’Italia
dallo standard dei paesi europei e occidentali. Dove “ulteriore” significa
ammettere con tristezza che l’ultimo ventennio ha visto il nostro paese
scendere sempre più in basso, ma c’era la speranza piccola, flebile, che il
novembre 2011 e l’accertata criminalità con sentenza definitiva dell’agosto
2013 potesse segnare un piccolo, graduale passo verso il ritorno all’Europa.
Diciamo, a scanso di equivoci, che a milioni di cittadini delle beghe
interne del Pd non interessa niente. E meno che mai interessa il politichese con cui il vertice imminente
(o avvenuto) viene ammantato. Ci sono invece milioni di cittadini, che pagano
le tasse, e tanti milioni che a destra, centro e sinistra sentono il valore
della legalità e vorrebbero uscire dal degrado istituzionale.
E c’è quell’umanità pulita vista due anni fa in Piazza del Popolo nel giorno di
“Se non ora, quando?”. Questa Italia capisce perfettamente il “segno” di questo
vertice voluto da Renzi, che cancella il confine traciò che è
sostenibile nel costume democratico e ciò che non lo è. Che mette
sullo stesso piano della presentabilità l’evasore e chi non lo è.
Raccontava Piercamillo Davigo che nei dibattiti, quando il discorso
scivolava sul “tanto rubano tutti”, lui si fermava e domandava: “Lei ruba? Io
no. Allora siamo già in due”. Tanto per rimarcare la frontiera. Da oggi, nella
società di comunicazione visiva in cui siamo immersi, il messaggio è
chiarissimo. Tra Davigo e Berlusconi non c’è nessuna differenza.
Il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2014
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