Giuseppe Linares |
di Lorenzo Lamperti
@LorenzoLamperti
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“Sinnavia a ghiri, ma ora sinni
va”. Se ne doveva andare ma ora se ne va. A parlare è Francesco
Pace, uno dei boss della Cosa Nostra trapanese. Quello che se ne deve andare è
Giuseppe Linares, l’ex capo della Squadra Mobile di Trapani. Prima promosso
alla divisione anticrimine della Questura di Trapani e poi trasferito alla Dia
di Napoli. Linares era il nemico numero uno del superlatitante Messina Denaro.
Insieme ai pm ha per anni fatto terra bruciata intorno al boss. La mafia voleva
a tutti i costi sbarazzarsi di lui. Alla fine ci ha pensato lo Stato a portarlo
via dal suo posto di lavoro per una promozione che a molti è sembrata
quantomeno sbagliata se non addirittura sospetta. Dopo la denuncia del
maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi, la rimozione del prefetto Sodano nel
2003 e la polemica tra pm sulla cattura dell’agrigentino Leo Sutera un’altra
vicenda con molte ombre sull’asse Roma-Palermo-Trapani. Una vicenda che risale
a qualche mese fa ma che è passata sotto silenzio.
IL “POLIZIOTTO CACCIATORE” – Il cacciatore.
Lo chiamano così Giuseppe Linares, almeno a Trapani, vale a dire nella città
dove ha prestato servizio per una ventina di anni. Tanti i suoi meriti, a
partire dalla lotta contro Messina Denaro e la mafia trapanese, lo zoccolo duro
di Cosa Nostra. Le sue operazioni hanno dato dei duri colpi non solo all’ala
militare ma anche e soprattutto alla cosiddetta “zona grigia”, quella cioè che
comprende anche personalità legate più o meno direttamente al mondo
imprenditoriale, istituzionale e politico. Linares ha portato alla luce il sistema
postale privato di Messina Denaro, scoprendone i messaggeri e i riferimenti. Il
fratello del boss, Salvatore, i cognati Guttadauro e altri: tutti finiti nel
mirino del “cacciatore”. Uno dei meriti più grandi che viene dato a Linares è
quello di aver creato e dato seguito a un vero e proprio progetto investigativo
che ha portato nel corso degli anni ad assestare sistematicamente duri colpi
sia ad ala militare e a “zona grigia”, facendo terra bruciata intorno ai
latitanti e in particolare a Messina Denaro. Non è un caso che già negli anni
’90 Cosa Nostra pensa a un attentato per eliminarlo. Negli ultimi anni e in
particolare dopo il tramonto della stagione stragista l’obiettivo è diventato
quello di non farlo più operare su Trapani e in generale sulla Sicilia.
IL TRASFERIMENTO – Le intercettazioni
di Pace dimostrano che la mafia agognava il trasferimento di Linares. Ma
l’ostilità verso Linares arrivava anche dal mondo politico. Almeno secondo la
testimonianza di don Ninni Treppiedi, il quale ha sostenuto che il senatore del
Pdl (ora passato al Nuovo Centrodestra) Antonio D’Alì fosse ostile a Linares.
D’Alì, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per i suoi presunti
rapporti con esponenti di Cosa Nostra tra i quali Messina Denaro, è poi stato
assolto per i fatti successivi al 1994 mentre per quelli precedenti è
intervenuta la prescrizione. Resta il fatto che Linares, come era capitato al
prefetto Sodano nel 2003, viene rimosso dal suo incarico. In ben due occasioni
“subisce” una promozione. Nella primavera 2012 da capo della Squadra Mobile
viene spostato alla divisione anticrimine della Questura di Trapani, vale a
dire fuori dal gruppo di investigatori della Polizia che da anni è sulle tracce
di Messina Denaro. Il distacco finale tra Linares e Trapani, invece, è datato
luglio 2013, quando viene il poliziotto viene spostato alla guida della Dia di
Napoli. Un incarico importante, questo è sicuro, nel quale Linares è già in
prima linea nel contrasto alla camorra. Ma a Trapani e in Sicilia sono stati in
molti a storcere la bocca. Linares era considerato infatti l’uomo giusto per
sperare nella cattura di Messina Denaro.
MESSINA DENARO, VICINO E
IMPRENDIBILE – Da Provenzano a Santapaola, le voci di mancate catture di boss di Cosa
Nostra si sono spesso susseguite nel corso degli anni. Ma negli ultimi mesi
alcune fonti hanno avanzato l’ipotesi che anche Matteo Messina Denaro sia stato
agevolato nella sua latitanza o che comunque non si sia fatto tutto il
possibile per prenderlo. Il maresciallo dei carabinieri Saverio Masi ha
denunciato di essere stato fermato dai suoi superiori a un passo dall’ultimo
superlatitante di Cosa Nostra. Poco più di un anno fa c’è stata invece una
forte polemica interna alla Procura di Palermo. Il procuratore aggiunto Teresa
Principato se l’è presa con i suoi colleghi e con il procuratore capo Francesco
Messineo per l’arresto di Leo Sutera, un esponente della mafia agrigentina
considerato in contatto diretto con Messina Denaro. Secondo Principato,
insomma, l’arresto di Sutera pregiudicava la possibilità di arrivare a Messina
Denaro. Il fronte trapanese della magistratura, che aveva raggiunto importanti
risultati come in occasione del blitz Golem 2 del 2010, si è poi visto privare
del suo “cacciatore”. Un filo rosso, intessuto per 20 lunghi anni da Linares
sulle tracce di Messina Denaro, si è interrotto. Si spera che chi è rimasto a
Trapani possa riuscire a riannodarlo.
AffariItaliani.it, 24 gennaio 2014
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