Trapani. Decapitato il mandamento di “Castelvetrano", feudo del
latitante Messina Denaro. arrestati i vertici operativi
dell'organizzazione tra cui la sorella patrizia messina denaro e il nipote
francesco guttadauro ed i cugini Mario Messina Denaro, Lorenzo Cimarosa e
Giovanni Filardo. Nella mattinata odierna, carabinieri, polizia di stato,
guardia di finanza e d.i.a., hanno portato a termine un’importante operazione
nei confronti del latitante Matteo Messina Denaro e del mandamento mafioso di Castelvetrano.
i provvedimenti di arresto sono stati disposti dal gip del tribunale di Palermo
su richiesta dei magistrati della locale procura distrettuale che coordinano le
attività di ricerca del boss trapanese: il procuratore aggiunto d.ssa Teresa Principato
e i sostituti procuratori paolo guido e marzia sabella.
le ordinanze di
custodia cautelare hanno riguardato 30 soggetti indagati, a vario titolo, per i
reati di associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di
beni, favoreggiamento aggravato, compravendita elettorale, corruzione,
turbativa d’asta, aggravati dalle finalita’ mafiose. I carabinieri del Ros e
del Comando provinciale di Trapani hanno eseguito 17 provvedimenti nei riguardi
di soggetti indiziati a vario titolo di far parte delle famiglie mafiose
di Castelvetrano e Campobello di Mazara. in particolare, le indagini hanno documentato
le attività illecite del mandamento mafioso di Castelvetrano,
accertando i ruoli di vertice degli esponenti della famiglia dei Messina Denaro,
il capillare controllo del territorio ed il sistematico ricorso
all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale attraverso imprese
di diretta emanazione dell’organizzazione criminale. l’articolata attività
conferma il ruolo apicale tutt’ora rivestito dal latitante Matteo Messina Denaro
all’interno del mandamento e della provincia mafiosa,
che si concretizza nella direzione delle varie articolazioni
dell’organizzazione, nella risoluzione di controversie interne al circuito
familiare e nella gestione degli ingenti interessi economici del sodalizio. in
tale ambito, è stato possibile documentare il ruolo di vertice operativo
assunto da Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro,
anche quale collettore delle relazioni connesse all’attività di sostentamento
della famiglia dei Messina Denaro e dello stesso latitante. sono stati in
particolare documentati, anche attraverso intercettazioni di notevole valore
probatorio, i ripetuti interventi del Guttadauro per dirimere i contrasti
interni al circuito familiare, inerenti la spartizione dei guadagni provenienti
dalle società controllate dagli imprenditori mafiosi Antonino Lo Sciuto e
Lorenzo Cimarosa, quest’ultimo cugino del latitante.
Le indagini hanno altresì documentato come i citati Cimarosa e Lo Sciuto,
titolari delle società b.f.costruzioni s.r.l. e m.g.
costruzioni s.r.l., abbiano gestito, per conto dell’organizzazione, la
realizzazione di importanti commesse pubbliche e private nell’area di Castelvetrano,
quali strade della zona industriale ed opere di completamento del cd. “polo
tecnologico” di contrada airone, nonché i lavori per le piazzole e le
sottostazioni elettriche del parco eolico denominato “ventodivino”, nel
comune di mazara del vallo, a seguito di un accordo spartitorio con
quest’ultimo mandamento mafioso. in tale quadro, le indagini hanno accertato
anche le modalità di aggiramento dei vincoli imposti dal protocollo di legalità
sottoscritto dall’appaltatore del parco eolico, l’impresa fabbrica
energie rinnovabili alternative s.r.l., con la prefettura di Trapani.
nel corso delle indagini, si registrava anche l’intervento del Cimarosa e
del Lo Sciuto nei confronti dell’imprenditore mazarese Carlo Loretta, per
risolvere una disputa nata con riferimento alla quota dei lavori da far
eseguire all’impresa m.e.s.t.r.a. srl., riconducibile
alla locale famiglia mafiosa. la piena riconducibilità delle vicende societarie
alla famiglia del latitante veniva confermata dai conflitti sulla spartizione
degli utili d’impresa, ritenuta iniqua da patrizia messina denaro e da rosa
santangelo, zia del ricercato, con l’intervento risolutore, anche in questo
caso, di Francesco Guttadauro.
Il provvedimento comprende, inoltre, le indagini sviluppate nei confronti
di Nicolò Polizzi, uomo d’onore della famiglia mafiosa di
Campobello di Mazara, ritenuto uno dei principali referenti dei flussi di
comunicazioni mafiose verso la provincia di Palermo, con particolare
riferimento ai contatti preparatori delle riunioni, tra il noto Francesco Luppino
e i responsabili dei mandamenti di cosa nostra palermitana. il
Luppino costituiva, infatti, all’epoca in cui le articolazioni palermitane
di cosa nostra stavano tentando di ricostituire la commissione
provinciale, il referente trapanese delle comunicazioni destinate a Matteo
Messina Denaro. Dopo l’arresto del Luppino, lo sviluppo delle investigazioni
nei confronti di Nicolò Polizzi consentiva l’acquisizione di elementi che,
oltre a confermarne la contiguità al latitante di castelvetrano, definivano il
ruolo di condizionamento delle commesse pubbliche e private in ambito locale.
in particolare, il predetto emergeva quale referente nella gestione di alcune
operazioni propedeutiche alla realizzazione del villaggio turistico della
catena valtur, in località tre fontane a Campobello di Mazara, ad
opera della società mediterraneo villages s.p.a.. dalle indagini è emersa anche
la capacità di quest’ultimo nel rapportarsi con la locale amministrazione
comunale e con vari operatori economici per l’ottenimento di posti di lavoro e
la cura di altri interessi del sodalizio mafioso. in particolare, è stato
riscontrato l’appoggio offerto dal predetto Polizzi e dalla famiglia mafiosa
ad una candidata alle elezioni regionali del 2012, in cambio di rilevanti somme
di denaro.
la squadra mobile di trapani – s.c.o., ha eseguito 8 provvedimenti che
hanno riguardato sia l’articolazione mafiosa di Paceco che quella di Castelvetrano.
A carico dell’indagata Patrizia Messina Denaro, cui viene contestata
l’associazione a delinquere di stampo mafioso, la polizia di stato
(servizio centrale operativo e squadre mobili di Palermo e Trapani) ha
raccolto importanti risultanze al fine di dare contezza dell’intraneità della
sorella del latitante alla famiglia mafiosa di Castelvetrano. In particolare,
le intercettazioni dei colloqui in carcere tra la donna e suo marito, Vincenzo
Panicola, detenuto e già condannato in primo grado a dieci anni di reclusione
per 416 bis c.p. nell’ambito del processo golem fase II, hanno evidenziato come
ai legami di parentela si siano affiancati ed addirittura sovrapposti i più
stretti vincoli derivanti dalla comune appartenenza a cosa nostra.
I colloqui intercettati evidenziavano come la Patrizia Messina Denaro avesse avuto il compito dal
marito di interloquire con il fratello latitante per sapere se lo stesso avesse
o meno autorizzato l’imprenditore Giuseppe Grigoli a rendere dichiarazioni
accusatorie contro altri indagati, con il fine ultimo di salvaguardare le
aziende a lui sequestrate (il gruppo 6g.d.o. esercente nella grande
distribuzione con il marchio despar). tale esigenza originava dal
malumore maturato nei confronti del grigoli a seguito di sue propalazioni
processuali e quindi dalla eventualità che lo stesso potesse essere “punito”
con un pestaggio da parte di altri detenuti.
la donna, nel corso di successivi colloqui, dava conto di aver comunicato
(in maniera riservata) con il noto latitante e di aver da lui ricevuto chiare
direttive “di lasciare stare” il grigoli, non tanto perché avesse autorizzato
lo stesso a rendere dichiarazioni ma perché un’eventuale sua piena
collaborazione avrebbe arrecato un più grave danno all’organizzazione
criminale.
Sulla base di tali intercettazioni, pertanto, si acquisiva prova del fatto
che la donna, dimostrando di essere in grado di interloquire direttamente con
il fratello latitante, svolgesse un ruolo funzionale all’interno della famiglia
mafiosa di Castelvatrano tale da garantire a Matteo Messina
Denaro tempestiva e piena cognizione di questioni d’interesse della consorteria
e di poter esercitare le sue prerogative di valutazione e decisione, correlate
alla funzione di vertice allo stesso riconosciuta.
Viene contestata all’indagato mario messina denaro[1] la
tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. In particolare è stato
verificato come il messina denaro mario frequentasse, senza averne plausibili
motivazioni, il centro diagnostico hermes di castelvetrano[2].
Non potendo escludere che tale frequentazione potesse essere connessa a fatti
di natura illecita o, peggio, ad ipotesi di favoreggiamento nei confronti del
più noto cugino latitante, venivano esperite più approfondite indagini anche di
natura tecnica.
Le investigazioni consentivano, quindi, di acquisire importanti
inconfutabili elementi di riscontro in ordine al tentativo di estorsione posto
in essere dal messina denaro mario ai danni della hermes di castelvetrano
ed in particolare della sua rappresentante ferraro elena e del socio
tagliavia francesco.
Le indagini evidenziavano come il messina denaro mario si fosse presentato
alle vittime, avvalendosi della reputazione negativa goduta sul territorio
castelvetranese in quanto cugino del noto latitante nonché per i suoi trascorsi
giudiziari (il messina denaro mario è stato già condannato a 5 anni di
reclusione per il reato di estorsione aggravata commessa nel 2008 nei confronti
di un imprenditore di castelvetrano) al fine di chiedere un’ingiusta dazione di
denaro intimando alla ferraro elena di collaborare con altra clinica operante
nel nord italia per poi prospettare la necessità di emettere delle fatture di
importo superiore a quanto effettivamente eseguito allo scopo di costituire
un fondo “in nero” da consegnare illecitamente all’indagato che, a suo
dire, l’avrebbe utilizzato per sostenere le famiglie dei
detenuti. Lo stesso messina denaro mario, secondo quanto acquisito,
avrebbe millantato di ricoprire un ruolo di vertice in seno alla consorteria
mafiosa castelvetranese (testualmente si presentava come il capo di
tutto) al fine di incutere maggiore timore alle vittime.
All’esito dei servizi tecnici venivano anche escusse le parti offese che
confermavano il quadro delle acquisizioni probatorie fornendo un importante
riscontro ai fini della successiva emissione del provvedimento restrittivo in
argomento.
Gli altri provvedimenti hanno riguardato esponenti contigui al noto
mafioso mazzara michele al quale viene contestato il reato di
intestazione fittizia unitamente ai soci della spe.fra. Costruzioni s.r.l. In ordine
a tale filone di indagine si realizzava una convergenza investigativa con i
carabinieri che pervenivano ad acquisizioni analoghe deferendo all’a.g. I medesimi
soggetti per gli stessi fatti. Si acquisivano fonti di prova secondo le quali
il mazzara, sempre al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di
misure di prevenzione patrimoniali, aveva fittiziamente intestato la sopra
citata impresa spe.fra. Costruzioni s.r.l. Agli indagati,spezia francesco, agosta
antonella e matteo (moglie e cognato dello spezia)
e fabiano francesco, mantenendone la gestione diretta e fruendo
degli utili d’impresa.
Monitorando il medesimo filone investigativo emergevano chiari indizi di
colpevolezza in ordine a fatti di corruttela emersi nell’esecuzione, da parte
della spe.fra. Costruzioni s.r.l., di lavori di “manutenzione ordinaria e
straordinaria eseguiti presso la casa circondariale ucciardone di palermo”
affidati alla menzionata impresa. Nel dettaglio si accertava come l’indagato
marino giuseppe - funzionario tecnico (ingegnere) del ministero della giustizia
in servizio presso il provveditorato regionale del dipartimento amministrazione
penitenziaria di palermo – avesse ricevuto del denaro per compiere atti contrari
al proprio ufficio per evitare alla ditta spe.fra. Costruzioni s.r.l. Una penale
per il ritardo nell’esecuzione nei lavori di cui sopra. Per la promessa di
pagamento al marino giuseppe (di 10.000 euro n.d.r.) Venivano deferiti anche
gli indagati spezia francesco e pilato giuseppe (un geometra
dipendente della spe.fra. Costruzioni s.r.l.).
Nel medesimo contesto investigativo si evidenziavano prove a carico degli
indagati pilato giuseppe e torcivia salvatore (altro
funzionario tecnico del ministero della giustizia in servizio presso il
provveditorato regionale del d.a.p. Di palermo) in ordine alla turbativa
d’asta, manipolata in favore della menzionata ditta, relativa a due diverse
procedure per lavori da eseguirsi presso la casca circondariale ucciardone di
palermo (una di circa 44 mila euro per la realizzazione di impianti di
sicurezza, ed un’altra di circa 37 mila euro per l’allacciamento di impianti
tecnologici).
I militari del gruppo investigazione criminalità organizzata - g.i.c.o -
del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di palermo, con la
collaborazione del servizio centrale d’investigazione sulla criminalità
organizzata – s.c.i.c.o. – della guardia di finanza di roma, hanno dato
esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, nei confronti
di giovanni filardo (50 anni), cugino del boss per parte
di madre, la moglie, franca maria barresi (45 anni) e le due
figlie della coppia floriana (26 anni) e valentina (27
anni) componenti della fitta rete di fiancheggiatori del boss di
castelvetrano, matteo messina denaro, accusati di trasferimento
fraudolento di società e valori.
Ulteriori acquisizioni investigative sono confluiti nei provvedimenti
eseguiti dai carabinieri nei confronti di lorenzo cimarosa,
e antonino lo sciuto.
Le investigazioni della guardia di finanza hanno permesso di scoprire,
oltre alle personali responsabilità penali degli indagati nell’azione di
supporto alla latitanza del boss trapanese, l’esistenza di un circuito
imprenditoriale preordinato ad assicurare un completo controllo economico del
territorio nel settore dell’edilizia e relativo indotto mediante la gestione
dell’acquisizione, della spartizione e della realizzazione di importanti
commesse, capeggiato proprio dal filardo che dal carcere, ove all’epoca era
recluso, dirigeva di fatto le imprese edili della famiglia, con l’appoggio di
altre aziende della zona “disponibili” a supportare gli affari
della “famiglia”.
Dal luogo di detenzione, infatti, il filardo impartiva ai suoi familiari
(la moglie, le figlie, il cognato e i nipoti) precise disposizioni e direttive
sull’attività imprenditoriale, puntualmente recepite e attuate, sostituendosi
nella gestione degli affari di famiglia al congiunto detenuto, partecipando
fattivamente all’acquisizione delle commesse per la realizzazione di strutture
industriali/commerciali nel territorio di castelvetrano e della provincia
trapanese, come parchi eolici, capannoni e punti di ristorazione, curando anche
la riscossione dei crediti presso i vari committenti (pubblici e privati)
nonché i rapporti con gli istituiti di credito.
Le direttive impartite da giovanni filardo hanno
riguardato sia la gestione delle aziende edili – con particolare riferimento
alle assunzioni, ai licenziamenti, ai pagamenti ed alle riscossioni - sia il
progressivo prosciugamento delle disponibilità finanziarie sociali e personali,
per eludere l’applicazione delle misure di prevenzione di carattere
patrimoniale previste dalla normativa antimafia. Per il trasferimento delle
somme dai conti correnti bancari e per talune operazioni di banca, una delle
figlie si rivolgeva, su indicazione del padre, a impiegate compiacenti di
alcuni importanti istituti di credito che con deferenza fornivano la necessaria
consulenza.
Con particolare riferimento all’attività di sostegno economico al circuito
familiare del latitante garantito dal filardo emerge la contiguità e il ruolo
di responsabilità decisionale raggiunto in seno al sodalizio mafioso da
un’altra donna della famiglia messina denaro, anna patrizia,
sorella di matteo. Quest’ultima, artefice d’insistenti pretese di
denaro avanzate alla famiglia filardo, verosimilmente quale
contributo dovuto per le commesse ottenute, ha ricevuto somme in acconto
corrisposte da floriana filardo proprio su indicazioni del padre
recluso.
Personale della dia ha eseguito due provvedimenti restrittivi maturati
nell’ambito delle indagini condotte da personale della direzione investigativa
antimafia, supportate da numerose attività tecniche, nelle quali venivano
raccolti una vasta mole di elementi convergenti che, riscontrati da fonti di
prova di natura dichiarativa oltre che dalle risultanze investigative, hanno
permesso di accertare la commissione di estorsioni, aggravate dal
metodo mafioso, da parte di Patrizia Messina Denaro, sorella
del latitante Matteo Messina Denaro e Francesco Guttadauro, figlio
del pregiudicato mafioso filippo e di Rosalia Messina Denaro, altra
sorella di Matteo.
Secondo la ricostruzione prospettata dagli investigatori della direzione
investigativa antimafia, la sorella ed il giovane nipote del noto latitante,
avrebbero indebitamente richiesto a due ereditiere di Castelvetrano (tp), una
quota sostanziosa delle cospicue somme di denaro che le stesse avevano ricevuto
in eredità a seguito di lasciti di una loro conoscente, recentemente scomparsa.
Una delle vittime, Girolama La Cascia, cedendo alle pressioni
estorsive, ha corrisposto a Patrizia Messina Denaro la
somma di euro 70.000,00 (settantamila), mediante assegni circolari,
la cui emissione veniva giustificata da inesistenti operazioni immobiliari.
La Cascia Girolama, seguendo le precise indicazioni impartitegli
da Patrizia Messina Denaro, rendeva al personale della
d.i.a. False dichiarazioni, al fine di coprire l’attività delittuosa dei propri
aguzzini.
Per tali ragioni, le veniva contestato il reato di favoreggiamento e
sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
L’altra vittima, Campagna Rosetta, restia ad aderire alle
illegittime pretese economiche della Messina Denaro, veniva, anche,
contattata dal giovane Francesco Guttadauro, che non esitava a
sollecitare reiteratamente anche i suoi prossimi congiunti, chiedendo anche a
questi la corresponsione delle somme pretese dall’organizzazione criminale alla
consanguinea.
Il giudice delle indagini preliminari, nel provvedimento cautelare, non ha
mancato di stigmatizzare come Patrizia Messina Denaro ed il
nipote Francesco guttadauro, per raggiungere i loro fini illeciti,
non abbiano avuto necessità di ricorrere a condotte caratterizzate da atti di
violenza o all’uso di espressioni apertamente minacciose, essendo sufficiente
potersi avvalere della “forza intimidatrice” del vincolo associativo, evocando
l’appartenenza, con ruoli apicali e di vertice, dei propri congiunti
all’organizzazione criminale di tipo mafioso “cosa nostra”, tanto
radicata in quel territorio dal pretendere di imporre anche una propria “imposta
di successione” sui cittadini. Oltre all’esecuzione delle misure cautelari
personali, il g.i.c.o. E lo s.c.i.c.o. Della guardia di finanza hanno
proceduto, congiuntamente ai carabinieri e alla polizia di stato, al
sequestro preventivo (art 321 cpp; art 12 sexies d.l. 306/92) di nr. 3
complessi aziendali ( b.f costruzioni s.r.l. – m.g. Costruzioni s.r.l. –
spe.fra. Costruzioni s.r.l.) Riconducibili al latitante ma fittiziamente
intestati ai suoi prestanome, costituiti da società operanti nel settore
dell’edilizia per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro, il tutto
ricostruito con articolate indagini economico – finanziarie.
Palermo- trapani 13 dicembre 2013
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