di Pasquale Hamel
L’Accademia non ha sicuramente amato lo storico Francesco Brancato che,
diversamente da molti altri, non si può dire che abbia sgomitato per farsi
strada in un ambiente difficile dove, molto spesso, privilegiano i rampanti e
che da sempre è stato segnato dal nepotismo. Da serio studioso, Brancato,
viveva la sua passione per la ricerca molto in disparte e, con un certo
distacco, guardava lo sviluppo delle carriere altrui anche quando delle stesse
faceva le spese. Anche oggi, a dieci anni dalla morte, solo alcuni fidati amici
lo ricordano e ne ripropongono il pensiero mentre molti, che magari hanno attinto
alla sua opera, preferiscono dimenticarlo. A proporne un ricordo attraverso
un’esegesi puntuale di quanto questo ricercatore ha scritto sul Risorgimento, è
un giovane non accademico, Giuseppe Nigliaccio, con un colto libretto,
preceduto da approfondita, e altrettanto colta, prefazione del professor Manlio
Corselli, un valente allievo dello storico scomparso.
La prima parte di questo volume si diffonde sulla fondamentale influenza
che Giovambattista Vico, autore del De antiquissima italorum sapientia, ha
avuto, sulla formazione culturale degli uomini del Risorgimento. Sostiene
infatti lo storico Brancato che il filosofo napoletano, sicuramente
sensibilizzato con il meglio della cultura europea del suo tempo, abbia
apprestato gli strumenti a cui attinsero, anche da prospettive diverse,
pensatori come il Cuoco, il Romagnosi, il Gioberti, il Balbo e anche il
Cattaneo, inopportunamente rivendicato come nobile riferimento dal movimento
leghista di questi ultimi anni. Dunque Vico, per Francesco Brancato, sarebbe
stato un punto di riferimento unitario, lo sintetizza bene Corselli, per
“consolidare una sorta di coesione spirituale della nazione colta italiana”.
La seconda parte, che porta il significativo titolo “Mezzogiorno, Unità e
spirito nazionale”, si diffonde sulle idee che Brancato mettendo sotto esame il
controverso processo che portò all’unità nazionale e ponendo, soprattutto,
l’attenzione sul Mezzogiorno e sulla Sicilia in particolare. Alle
semplificazioni enfatiche, accreditate da certa storiografia nazionalista, che
vedono uno sviluppo lineare della vicenda, Brancato risponde con una realistica
riflessione sulla complessità che intrama l’epopea risorgimentale ; infatti, la
riflessione su quel momento storico ci rende consapevoli che vi furono spinte talora
opposte, vi furono sensibilizzazioni diverse, vi furono pensamenti discordi per
cui “i moti risorgimentali non possono essere letti, come evidenzia Nigliaccio
riflettendo sulle pagine di Brancato, in una prospettiva univoca. Esiste una
pluralità di piani e di fattori… che non sono riconducibili a principio
comune.” concludendo, in termini forti, che “non vi è stato, soprattutto nel
meridione, una reale comunione d’intenti fra le varie fasce della popolazione”.
La terza parte del volume affronta il tema delle ricerche di Brancato sulla
rivolta del 1866. E’ ancora fresco l’eco di una frase che ha contrappuntato il
discorso che Lucio Villari ha fatto, a Storia patria, in occasione delle
celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità nazionale. Con una non
perdonabile superficialità lo storico liquidò, infatti, la rivolta del “Sette e
mezzo” come espressione di una congiura “borbonico mafiosa”mortificando, in
questo modo, la forte carica sociale che animò quella vicenda. Un vecchio
(pre)giudizio, quello di Villari, in linea con quello che accolse “al di fuori
dell’isola, e soprattutto nei centri di potere, il moto palermitano. Brancato,
che alla rivolta aveva dedicato uno dei suoi più interessanti saggi. Lo storico
ciminnese, indagando sulle ragioni che portarono a quell’esplosione,
apparentemente inaspettata, di violenza rivoluzionaria, non trascura infatti le
condizioni in cui la Sicilia si era venuta a trovare subito dopo l’unità, una
terra che “ a metà degli anni sessanta del XIX secolo, scrive Nigliaccio, era
teatro di una forte escalation di rabbia e malcontento, che la ponevano in
stato di perenne fibrillazione politica e popolare…”. Nessuna sorpresa, dunque
per Brancato, che quella rabbia e quel malcontento trovassero sbocco in una
vera e propria rivolta popolare. La rivolta sarebbe stata il frutto delle
promesse tradite e del palese disinteresse espresso dalla nuova dirigenza
nazionale nei confronti della Sicilia, comportamento estensibile all’intero
Mezzogiorno.
L’apprezzabile libro di Giuseppe Nigliaccio come anche rileva Corselli,
partendo da Brancato, al quale rende un doveroso omaggio, va dunque oltre e
offre al lettore una doverosa e intelligente rilettura dei fatti del
Risorgimento che soddisfa per la qualità dell’analisi e per la profondità del
pensiero”
Giuseppe Nigliaccio, Quando la
Sicilia diventa Italia. Il Risorgimento nelle opere di Francesco Brancato fra
storia e filosofia, edizione Herbita, €.12,00
Da: Siciliainformazioni.com
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