ANTONIO MAZZEO
L’Annesso al Memorandum d’intesa Italia - Stati Uniti del 2 febbraio 2005, relativo alle installazioni concesse in uso alle forze armate USA, al capitolo XI riporta che nel caso di acquisti di beni o servizi in Italia, i Comandi militari statunitensi esaminino la possibilità di adottare «procedure simili a quelle adottate dalle forze armate italiane, comprese quelle previste dalla normativa antimafia». La contorta formulazione non obbliga purtroppo il Dipartimento della Difesa a uniformarsi alla legislazione nazionale contro l’infiltrazione criminale negli appalti e nei subappalti.
Il processo di militarizzazione e la
proliferazione di basi USA e NATO in Sicilia hanno contribuito così a
rafforzare il potere economico e politico delle organizzazioni criminali,
propostesi sin dallo Sbarco Alleato del 1943 come un partner credibile di
Washington per il controllo sociale dell’Isola. La costruzione della base
missilistica nucleare a Comiso o i programmi “Mega” a Sigonella per consolidare
il suo ruolo strategico nel Mediterraneo hanno assicurato affari milionari alle
aziende contigue a Cosa Nostra. Processi analoghi si sono sviluppati anche a
Niscemi con l’insediamento della stazione di radio-telecomunicazione della
Marina USA tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ’90 e, con evidenza
maggiore, nel corso dei lavori di sbancamento e realizzazione delle piattaforme
del MUOS.L’Annesso al Memorandum d’intesa Italia - Stati Uniti del 2 febbraio 2005, relativo alle installazioni concesse in uso alle forze armate USA, al capitolo XI riporta che nel caso di acquisti di beni o servizi in Italia, i Comandi militari statunitensi esaminino la possibilità di adottare «procedure simili a quelle adottate dalle forze armate italiane, comprese quelle previste dalla normativa antimafia». La contorta formulazione non obbliga purtroppo il Dipartimento della Difesa a uniformarsi alla legislazione nazionale contro l’infiltrazione criminale negli appalti e nei subappalti.
Qui comanda la mafia!
Da tempi remoti la città di Niscemi è soggetta al dominio di potenti e
sanguinarie organizzazioni mafiose. «Per la posizione geografica che la
colloca al confine fra le province di Caltanissetta e Ragusa e per la sua
notevole vicinanza alla città di Gela, Niscemi funge da idoneo crocevia di
affari criminali, nel quale vengono a convergere i sodali delle varie associazioni
mafiose, operanti prevalentemente nella parte meridionale della provincia
nissena», rilevano i magistrati del Tribunale di Catania nell’ordinanza di
custodia cautelare emessa nella primavera del 2013 contro alcuni boss locali.
L’importanza della mafia niscemese nel panorama criminale dell’Isola e le sue
capacità di penetrazione nel tessuto socioeconomico sono note però da oltre
vent’anni. «La mafia di Niscemi è affidata ad una potente organizzazione che
conta un centinaio di affiliati, con rilevanti presenze nella vita
politico-amministrativa dell’ente locale», si legge nella relazione della
Commissione Parlamentare Antimafia in visita nella provincia di Caltanissetta
nel dicembre 1994. «Le presenze più significative - si riconoscono nella
cosca di Bartolo Spatola, collegata con le organizzazioni operanti nel catanese
e nella cosca di Salvatore Russo con collegamenti a Scoglitti, Gela, Milano,
Bollate e Venegono Superiore, oltre che in Germania (Metzinge) e in Belgio».
I clan si sono fatti la guerra sempre e con ogni mezzo, alleati gli
uni con Cosa Nostra, gli altri con la cosiddetta “stidda” sorta a Gela a
seguito della fuoriuscita di alcuni esponenti dalle cosche storiche locali. Una
guerra efferata per il controllo degli appalti pubblici, del traffico degli
stupefacenti e delle estorsioni, pagata con un incomparabile tributo di
sangue: dal 1987 al 1992 nella provincia di Caltanissetta si registrarono 235
omicidi e circa 200 tentati omicidi, 27 i morti ammazzati nella sola Niscemi. «In
quegli anni la cittadina nissena era vittima di un’inaudita ferocia omicida»,
scrive il giornalista Sebastiano Gulisano nel volume La morte e la
speranza. Niscemi, una storia siciliana, pubblicato nel dicembre 1997. «Si
moriva al bar e dal barbiere, nei vicoli bui e isolati o tra la folla durante i
festeggiamenti della Patrona. Una guerra che ha scandito gli anni ‘80 ed i
primi del decennio ‘90, investendo anche regioni lontane dalla Sicilia come
Lombardia, Emilia Romagna e Liguria». L’ecatombe non risparmiò neppure i
bambini: il pomeriggio del 27 agosto 1987, durante un conflitto a fuoco tra
killer di mafia, furono falcidiati mentre giocavano in strada Giuseppe
Cutroneo e Rosario Montalto, rispettivamente di nove e undici anni d’età.
A fronteggiarsi al tempo c’erano le “famiglie” degli Arcerito, degli
Spatola e dei Paternò (Cosa Nostra) e quelle dei Russo, dei Vacirca e dei
Campione alleate degli “stiddari”. Come ricorda ancora Sebastiano Gulisano, la
guerra di mafia scoppiò il 30 aprile 1983 con l’omicidio di Salvatore “Totò”
Arcerito, boss legato ai vecchi capimafia del dopoguerra in provincia di
Caltanissetta: don Calogero Vizzini, Giuseppe Genco Russo e Giuseppe Di
Cristina. La morte del patriarca determinò una frattura all’interno della
“famiglia” niscemese: il clan si divise in due tronconi che si fronteggiarono
militarmente, quello rimasto fedele agli Arcerito e agli Spatola e quello che
fu diretto da Giuseppe Di Modica e Giuseppe Carcica, l’uomo accusato dell’uccisione
di Totò Arcerito. Caddero via via sotto il fuoco nemico alcuni personaggi
“eccellenti”: Vittorio Scifo, ad esempio, noto come il “mago di Tobruk”,
assassinato l’11 luglio 1983 davanti all’ingresso del suo bar nella
centralissima piazza Vittorio Emanuele, o il boss Giuseppe Spatola, morto il 15
ottobre dello stesso anno in un agguato che causò il ferimento accidentale di
uno studente e due ragazze di passaggio.
Dopo un’effimera tregua tra le parti, il conflitto riesplose più violento
nell’estate del 1990: in meno di cinque mesi furono assassinate a Niscemi sette
persone, Giuseppe Vacirca, Giuseppe Trainito, Carmelo Valenti, Gaetano
Campione, Giuseppe Falcone, Roberto Bennici, e Gaetano Bartoluccio, mentre
scamparono miracolosamente alla morte Giuseppe Pepi e Giuseppe Amedeo Arcerito.
Per la loro efficienza militare, i killer niscemesi furono impiegati dagli
“stiddari” nell’azione stragista verificatasi a Gela il 27 novembre 1990,
quando furono eseguiti quattro agguati in luoghi differenti, tra cui una sala
giochi del Corso Vittorio Emanuele, con la morte di otto persone e il ferimento
di altre undici.
La ricomposizione dei clan, vide emergere come dominusincontrastato
della “famiglia” di Niscemi fedele a Cosa Nostra il pregiudicato Giancarlo
Giugno, il cui nome compare persino nell’istruttoria sui telefonini usati
per la strage di Capaci del maggio 1992, quando morirono il giudice Giovanni
Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Rocco Dicillo, Antonio
Montinaro e Vito Schifani. Il suo curriculum criminis si apre
con un arresto il 23 dicembre 1984 su ordine della Procura di Caltagirone
per l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso. Il 12 gennaio
1986 Giancarlo Giugno ricevette un provvedimento di diffida dalla Questura di
Caltanissetta; cinque anni più tardi fu nuovamente arrestato nell’ambito
dell’operazione antimafia “Leopardo” scaturita a seguito delle
dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Leonardo Messina. A Giugno
che all’epoca ricopriva l’incarico di consigliere comunale della Democrazia
cristiana, fu contestato il reato di favoreggiamento personale perché sorpreso
in compagnia del latitante Alessandro Barberi di Gela, personaggio di rilievo
della mafia nissena. Il 15 aprile 1999, Giancarlo Giugno fu condannato a 8
anni di reclusione per associazione mafiosa con sentenza della Corte
d’Appello di Caltanissetta. Una condanna ancora più pesante (10 anni di
reclusione per costituzione, direzione e finanziamento di associazione
finalizzata al traffico illecito di stupefacenti) giunse invece il 13 maggio
2004, ancora una volta dalla Corte di Caltanissetta. Al pregiudicato fu
inflitto infine il soggiorno obbligato nelle Marche.
Rientrato qualche tempo dopo a Niscemi, Giugno riprese il suo ruolo guida
del clan di mafia, godendo di un’illimitata libertà di movimento nella
cittadina e nei comuni limitrofi. Lo si poteva incontrare quotidianamente al
bar o in piazza, solo o in compagnia di noti pregiudicati o di stimati e
incensurati professionisti locali. Nelle fasi più calde della protesta contro
l’installazione del MUOS, il boss era lì a intimidire con la sua ingombrante
presenza i giovani attivisti del Comitato No MUOS. Sono ancora in molti che lo
ricordano assistere aiflash mob di controinformazione tra le vie
del paese e, nel gennaio 2013, aggirarsi impunemente all’interno del presidio
di contrada Ulmo da dove partivano le azioni di blocco dei mezzi impiegati nei
lavori alla base militare USA. Inaspettatamente, il 16 febbraio 2013
Giancarlo Giugno è stato arrestato dalla Squadra mobile di Caltanissetta con l’accusa di
essere stato tra i mandanti dell’assassinio di Roberto Bennici e del
tentato omicidio di Francesco Nanfaro, due affiliati alla “stidda” raggiunti
dai killer il 23 ottobre 1990.Due mesi più tardi Giugno è stato raggiunto in carcere
da un altro mandato di custodia cautelare emesso su richiesta della Direzione
Distrettuale Antimafia di Catania nell’ambito dell’inchiesta su un altro grave
fatto di sangue accaduto durante le feste patronali dell’agosto 1991: il
duplice omicidio di Paolo Nicastro e Salvatore Campione, esponenti locali della
“stidda”. Dopo il provvedimento, i funzionari del Ministero della
Giustizia hanno decretato il regime del carcere duro (41bis) nei confronti di
Giancarlo Giugno; nel luglio 2013, la Questura di Caltanissetta ha invece ordinato il
sequestro dei beni intestati. La parabola criminale del mafioso di Niscemi è
forse finita a metà settembre: secondo quando trapelato sulla stampa,
Giugno avrebbe avviato una collaborazione con gli inquirenti delle Procure di
Catania e Caltanissetta, rivelando particolari inediti sulla lunga guerra di
mafia nel triangolo Gela-Niscemi-Vittoria e sulle collusioni di politici e
imprenditori locali con la criminalità organizzata.
L’infiltrazione
criminale nei cantieri del MUOS
A Niscemi sono in tanti ad augurarsi che il pregiudicato apra uno squarcio
sulle oscure vicende legate all’assegnazione dei subappalti per i lavori
all’interno della stazione NRTF o alla fornitura di beni e servizi alle forze
armate statunitense in questi ultimi vent’anni. Alle opere del MUOS, in qualità
disubappaltatrice, ha partecipato ad esempio la “Calcestruzzi Piazza
S.r.l.”, società sotto osservazione degli inquirenti per presunte contiguità
criminali. L’azienda si è aggiudicata la movimentazione terra, la
fornitura di cemento e la costruzione dei basamenti per le maxi antenne. A
riferirlo per primo, il giornalista Giovanni Tizian in un articolo pubblicato
il 2 novembre 2011 su l’Espresso. «La Calcestruzzi Piazza
S.r.l. è riconducibile all’imprenditore Vincenzo Piazza, persona associata al
boss Giancarlo Giugno», scrisse Tizian. Nel 2009Piazza aveva però
trasferito la carica di amministratore unico dell’azienda alla moglie Concetta
Valenti.
Il 14 febbraio 2012, il senatore Giuseppe Lumia ha presentato
un’interrogazione ai ministri della Difesa e dell’Interno, riferendo in
particolare che la Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta
e «altri elementi info-investigativi» avevano documentato i legami di
Vincenzo Piazza con il boss Giancarlo Giugno. «Nel corso
dell’indagineAtlantide-Mercurio della Procura di Caltanissetta
(gennaio 2009), sono emersi contatti del Piazza con esponenti mafiosiche
evidenziano ingerenze e condizionamenti di Cosa Nostra nell’appalto per i
lavori di recupero, consolidamento e sistemazione a verde dell’area sottostante
il Belvedere, commissionati dal Comune di Niscemi», ha evidenziato Lumia.
Vincenzo Piazza fu poi denunciato con Giancarlo Giugno per associazione mafiosa
nell’ambito dell’operazioneTriskelion, eseguita nel febbraio 2010 dalla
DDA e dal GICO della Guardia di finanza di Caltanissetta contro una
“cellula”mafiosa della provincia di Enna che operava in Lombardia e Belgio.
Il 7 novembre 2011, tre mesi prima che l’azienda di Vincenzo Piazza fosse
presa di mira dall’interrogazione del sen. Lumia, la Prefettura di
Caltanissetta comunicò che dopo le verifiche disposte dalle normative in
materia di certificazione antimafia erano «emersi elementi tali da
non potere escludere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa
tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della sopracitata società».
Alla base del pronunciamento, i contenuti di due rapporti della Questura di
Caltanissetta, rispettivamente del dicembre 2010 e dell’ottobre 2011. A
seguito dell’intervento prefettizio, il 25 novembre 2011 il dirigente dell’Area
servizi tecnici della Provincia regionale di Caltanissetta decretò la
sospensione della “Calcestruzzi Piazza” dall’albo delle imprese per le
procedure di cottimo-appalto. Venti giorni dopo anche il Capo ripartizione per
gli Affari generali del Comune di Niscemi dispose l’esclusione della società
dall’elenco dei fornitori e dall’albo delle imprese di fiducia. Contro i
provvedimenti, la famiglia Piazza presentò ricorso al TAR. «La conoscenza
o la frequentazione di Giancarlo Giugno da parte di Vincenzo Piazza non ha
influenzato le scelte personali del secondo, che invece sono state di segno
esattamente opposto rispetto alla vicinanza ad un comportamento mafioso», hanno
scritto i legali della “Calcestruzzi”. «Non si comprende, dunque, secondo
quale passaggio logico il primo avrebbe sul secondo un’influenza così profonda
ed estesa, da fare ritenere probabile l’intromissione nella gestione della
società, di cui peraltro il secondo non è socio né amministratore». Le
dichiarazioni degli avvocati produssero comunque l’effetto di tranquillizzare
il Dipartimento della Difesa, il Comando USA di Sigonella, l’Ambasciata degli
Stati Uniti a Roma e il Consorzio Team MUOS Niscemi: nessuno
intervenne, infatti, per imporre il rispetto della legislazione antimafia e di
quanto previsto in tema di fornitura di beni e servizi dall’Accordo bilaterale
Italia-USA del 2005. Il 23 maggio 2013 i diplomatici di via Veneto
pubblicarono invece una nota auto-assolutoria.«Gli Stati Uniti sono un grande alleato
delle forze dell’ordine italiane nella lotta alla criminalità organizzata in
tutto il mondo. Ci siamo assicurati che tutti gli appaltatori e sub-appaltatori
coinvolti nella costruzione del MUOS avessero le appropriate certificazioni
“anti-mafia” e che non fossero legati al crimine organizzato. Queste
certificazioni sono state convalidate dalla Regione Sicilia prima che il
Ministero della Difesa italiano ricevesse i necessari permessi per costruire».
Il 7 novembre 2012, il TAR di Palermo esaminò il ricorso contro il
provvedimento della Prefettura che aveva privato della certificazione antimafia
l’azienda dei Piazza. «Atteso che nell’informativa prefettizia – misura
cautelare preventiva, che prescinde dagli accertamenti penali – è stata
espressa una valutazione in linea con i riscontri istruttori, riferibili al
contesto familiare di riferimento, agli intrecci aziendali tra gli stessi
componenti il nucleo familiare, e alle frequentazioni e cointeressenze
economiche con soggetti controindicati», il TAR respinse la domanda di
sospensione presentata dai legali degli imprenditori.
Tra politica, affari e
militarizzazione
Le illegalità
all’interno dei cantieri del MUOS e l’arroganza dei potentati criminali hanno
sensibilmente ridotto l’agibilità democratica nella città di Niscemi: il clima
politico e sociale è tornato a farsi pesante come al tempo delle guerre di
mafia, quando i boss criminali condizionavano pesantemente le istituzioni
locali. Presenze talmente ingombranti da soffocare la vita amministrativa e
costringere il Governo a decretare lo scioglimento del Comune di Niscemi due
volte in meno di dodici anni, la prima il 18 luglio 1992, il giorno prima
dell’assassinio del giudice Borsellino e della sua scorta, la seconda il 27
aprile 2004. «La situazione amministrativa risulta caratterizzata da
rilevanti fenomeni di instabilità politica, determinati dalla grave situazione
dell’ordine pubblico, che hanno determinato il susseguirsi di tre giunte
comunali, la prima delle quali è stata presieduta dal sindaco dott. Rizzo
Paolo, legato da vincoli di parentela con esponenti della criminalità locale»,
riportò il primo decreto di scioglimento a firma dell’allora ministro
dell’Interno Nicola Mancino. Uno stato di soggezione, intimidazione e
connivenza degli amministratori locali registrato soprattutto nel settore degli
appalti di opere pubbliche e servizi.
Dello stesso tenore le motivazioni del secondo scioglimento per
infiltrazione mafiosa. «Le indagini svolte hanno palesato la capacità di
influenzare l’attività del Comune di Niscemi e nonostante l’antecedente
scioglimento, la permanenza di soggetti riconducibili in via diretta o
indiretta ad ambienti malavitosi, che già al tempo avevano orientato le scelte
dell’ente», si legge nel decreto firmato nel 2004 dal ministro Giuseppe Pisanu. «Nel
quadro complessivo, caratterizzato da un atteggiamento silente ed inattivo
manifestato dagli amministratori, riconducibile alla rinuncia a contrastare il
pericolo di tentativi di infiltrazione, rileva la figura dell’ex sindaco di
Niscemi, cui viene ricondotta la direzione ed organizzazione del sodalizio
criminoso, nonché il pieno controllo dell’attività amministrativa comunale, con
l’intento di privare dei poteri l’attuale sindaco». L’influente politico
accusato di tenere le fila del crimine era ancora il medico Paolo Rizzo,
dirigente Dc di corrente andreottiana (dal 2004 all’Udc), ma soprattutto
cognato del boss Giancarlo Giugno e di Salvatore Paternò, figlio del
“patriarca” Angelo Paternò, denunciato il 18 dicembre 1984 alla Procura di
Caltagirone per associazione mafiosa. Matrimoni celebrati alla presenza di
ospiti “eccellenti”. Come attestato in un’udienza del processo “Iblis” su mafia
e politica nell’area del calatino, alle nozze di Salvatore Paternò e Renata
Rizzo parteciparono nel 1983 come testimoni il rappresentante di Cosa Nostra
nissena don Giuseppe “Piddu” Madonia e il futuro governatore “autonomista”
della Sicilia, Raffaele Lombardo.
Come per i due cognati, anche la fedina penale di Paolo Rizzo è macchiata
da pesanti procedimenti giudiziari. L’ex sindaco fu arrestato con l’accusa di
associazione mafiosa nell’ottobre del 2004 nell’ambito dell’operazione Apogeo con
altri quattro tra ex assessori e consiglieri comunali di Niscemi.In seguito
alle indagini, il Ministero dell’Internò firmò il secondo scioglimento del
Comune di Niscemi; il processo si concluse però con l’assoluzione degli
imputati per un vizio procedurale: i giudici ritennero inutilizzabili le
intercettazioni perché eseguite «in modo non conforme alla legge».
L’affaire Olmo S.p.A.
Paolo Rizzo guidò il Comune di Niscemi ininterrottamente dal 1985 al
settembre 1991 (prima come assessore e dal giugno 1988 come sindaco), periodo
in cui furono avviati in contrada Ulmo i lavori di realizzazione della stazione
NRTF della Marina USA. Ma in quegli anni altri importanti incarichi
nell’amministrazione comunale furono ricoperti dai congiunti di personaggi
ritenuti vicini a Cosa Nostra. «L’appropriazione della cosa pubblica è più
stretta ed organica», scrisse la Commissione Parlamentare Antimafia dopo
la sua visita a Niscemi nel 1994. «I boss più noti della zona, nomi come
Salvatore Arcerito e Angelo Paternò, con una sorta di nepotismo e grazie alla
loro forte influenza sulla vita politica ed amministrativa, hanno piazzato nei
posti chiave della burocrazia comunale loro parenti. I vertici dell’ufficio
tecnico e della ragioneria e lo stesso ex segretario comunale ed ex sindaco
avevano rapporti di parentela con personaggi legati alla mafia. Al controllo
del territorio si è aggiunto, quindi, anche il controllo dell’amministrazione».
Dalla lettura degli atti catastali risulta che i terreni destinati a
ospitare le antenne militari USA furono venduti nel settembre 1988 al Ministero
della Difesa dall’Olmo S.p.A. di Acireale (poi trasferita a Catania), società
con oggetto la trasformazione industriale di prodotti alimentari che fece però
da vera e propria agenzia di compravendita immobiliare. Indicativa l’origine
etimologica del nome della società per azioni. Niscemi deriva, infatti,
dall’arabo nasciam che significa “olmo”. Creata il 5 ottobre
1973 con un capitale deliberato e sottoscritto di 120 milioni di vecchie lire,
l’Olmo S.p.A. era amministrata dall’imprenditore Antonino Patti, originario di
Belpasso. L’anno seguente alla costituzione, la società acquisì 440 ettari di
terreni in buona parte boschivi, rilevandoli dal Consorzio nazionale per il
credito agrario di miglioramento con sede a Roma e dalla famiglia niscemese dei
Masaracchio, di antiche origini nobiliari (a vendere, nello specifico, fu
Gioacchino Masaracchio). Alcune particelle furono acquistate infine dalla
Società Industriale Zootecnica Agricola S.p.A. di Catania. Conclusa la vendita
delle proprietà immobiliari al Ministero della Difesa, l’Olmo S.p.A. fu messa
in liquidazione (liquidatore fu nominato tale Agatino Catania). La costruzione
delle prime infrastrutture all’interno della base NRTF risale al 1990: i lavori
furono affidati dall’US Navy alla CEAP dei Fratelli Costanzo di Catania,
azienda nella titolarità di uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse
mafiosa, come il giornalista Giuseppe Fava soleva indicare l’establishment
imprenditoriale-criminale che dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90
esercitò il controllo su buona parte dell’economia siciliana. Le opere
comportarono una modifica della morfologia del territorio attraverso il taglio
di tutte le specie vegetali, comprese le grandi querce plurisecolari della
“Sughereta”. Un processo di desertificazione e annientamento dei corridoi
ecologici che non incontrò ostacoli amministrativi-burocratici né fu oggetto di
denunce o proteste. Non poteva essere diversamente anche perché la
militarizzazione della vasta area destinata a riserva naturale si svolse sotto
la “protezione” dei potentati mafiosi locali. Da allora le élite
politico-criminali sono state un partner affidabile dei militari USA per
esercitare il pieno dominio di un territorio convertito in avamposto di guerra
e di morte. Perlomeno sino all’avvento del MUOS, quando centinaia di giovani e
donne di Niscemi hanno potuto riscoprire, attraverso la lotta ai nuovi piani di
egemonia globale degli Stati Uniti d’America, una propria identità comunitaria.
Articolo pubblicato in I
Siciliani giovani, n. 17, ottobre-novembre 2013.
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