Costo da 750 milioni l'anno: riforma
incompiuta e tagli ai finanziamenti ma solo otto milioni di risparmi. E i
servizi garantiti sono in crisi: dall'assistenza ai disabili alla manutenzione delle
strade e delle scuole
di SARA
SCARAFIA
AD AGRIGENTO 268 bambini ciechi e sordi non hanno più un insegnante che nel
pomeriggio li aiuta a fare i compiti a casa. A Nicosia, Enna, l'istituto
tecnico "Volta" non riesce a pagare le bollette. A Ragusa il servizio
di trasporto disabili non è mai partito e le mamme degli studenti si sono accampate
negli uffici per protesta. A Palermo per la manutenzione ordinaria dei 134
istituti superiori, un'ottantina quelli in città, la somma stanziata è pari a
zero.
Così Antonio, studente costretto sulla sedia a rotelle, segue le lezioni
in un'aula sovraffollata al piano terra perché nessuno ripara l'ascensore
dell'istituto per geometri "Parlatore" di piazza Montevergini. Ma
perché succede tutto questo? Erano le Province, fino a qualche tempo fa, a
garantire questi servizi. Le stesse Province che la Regione ha cancellato a
marzo scorso precedendo, sulla strada dei tagli e del contenimento della spesa
pubblica, il resto del Paese. Otto mesi dopo, però, l'effetto della riforma è
un paradosso: le Province non sono state affatto abolite, semplicemente al
posto di giunta e consiglio provinciale ci sono i commissari nominati dal
presidente della Regione Rosario Crocetta. Gli enti sono ancora in piedi e
dovrebbero continuare a gestire gli stessi servizi. Solo che non hanno i soldi
per farlo.Lo Stato ha decurtato i contributi di quasi 100 milioni di euro e anche la Regione ha tagliato le risorse. Il risultato? Manutenzioni stradali ridotte al lumicino, manutenzioni scolastiche ferme, assistenza ai disabili dimezzata. E ancora lunghe code di fornitori che aspettano di essere pagati e, infine, una grande incognita: quella degli stipendi degli oltre 6 mila dipendenti che dal primo gennaio saranno a rischio. La riforma annunciata è ancora nel limbo, ma il tempo stringe. L'iter legislativo, che dovrebbe portare alla nascita dei consorzi di Comuni, doveva essere completato entro il 31 dicembre. Ma il disegno di legge che dovrebbe rivoluzionare la geografia degli enti non ha ancora iniziato il suo cammino all'Ars. Un cammino che si prevede pieno di ostacoli: ci saranno le città metropolitane? Le adesioni dei comuni saranno volontarie? E soprattutto che fine faranno gli oltre seimila dipendenti provinciali? Se con un primo disegno di legge il governatore Crocetta aveva puntato sulle città metropolitane trasformando Palermo,Catania e Messina in mini-Regioni e sciogliendo contestualmente una cinquantina di piccoli comuni, dopo le proteste dei sindaci la giunta ha varato una nuova proposta che prevede invece che i comuni aderiscano alla città metropolitana su base volontaria. Una scelta che potrebbe rivelarsi un boomerang.
I CONTI DEL DISASTRO
Una domanda su tutte urge a otto mesi di distanza dall'approvazione di una delle leggi che Crocetta considera "qualificanti" per il suo governo: quanto ha fatto risparmiare finora la riforma? Cerchiamo di capirlo conti alla mano. I nove enti costano circa 750 milioni all'anno e si occupano principalmente di manutenzione scolastica e stradale, ma garantiscono anche servizi sociali. Dalle entrate proprie, per esempio le Rc auto, incassano circa 350 milioni. Il resto delle spese viene coperto da Stato e Regione. Nel 2012 da Roma sono arrivati circa 290 milioni, da Palazzo d'Orleans circa 120. Fondi che nel 2013 sono stati pesantemente decurtati: il contributo statale è sceso da 290 a 200 milioni, quello regionale da 120 a 100 milioni.
A fronte di un buco di oltre 100 milioni, i risparmi seguiti alla scelta del commissariamento non superano gli 8 milioni: si tratta dei soldi risparmiati non pagando più gli emolumenti a consiglieri e assessori provinciali. Risparmi che aumentano se si considera anche la mancata spesa legata allo stop alle elezioni che erano previste a maggio scorso. Ma le Province non ce la fanno: i tagli ai trasferimenti hanno di fatto paralizzato i servizi. L'Ars, nei giorni scorsi, è corsa ai ripari: con una variazione di bilancio ha garantito ai nove enti circa 15 milioni. Che comunque non basteranno.
LA CAPORETTO DEI SERVIZI
La Provincia di Palermo ha ridotto i servizi al minimo. A cominciare dalla manutenzione ordinaria di tutti gli istituti superiori: se nel 2010 per le spese correnti c'erano 480 mila euro, nel 2013 non c'è nemmeno un euro. E crollano anche le spese per investimenti: da 3,1 milioni nel 2010 ai 348 mila euro di quest'anno. Tradotto significa che le scuole sono costrette ad arrangiarsi. Se al tecnico "Parlatore" di piazzetta Montevergini nessuno ripara l'ascensore guasto, al liceo scientifico "Galileo Galilei" la preside Rosa Maria Rizzo ha aguzzato l'ingegno: "Dovevamo sistemare urgentemente gli intonaci, ma gli uffici provinciali ci hanno detto che non avevano soldi. Così abbiamo comprato il materiale con le risorse della scuola e abbiamo chiesto alla Provincia di garantirci solo la manodopera". Di necessità virtù.
Non sono solo le scuole a soffrire. Sono stati praticamente azzerati pure gli interventi sulla viabilità: in bilancio per l'area metropolitana - i circa 430 chilometri che vanno da Balestrate a Termini Imerese - ci sono meno di 100 mila euro, mentre gli appalti per l'area non metropolitana, che comprende tutte le altre strade per un totale di circa 1800 chilometri, sono appena 12 contro i 65 del 2010.
Non va meglio nelle altre province: Catania sta spendendo tutto il suo tesoretto, circa 100 milioni di euro di avanzo, per tentare di non tagliare i servizi. La Provincia di Ragusa ha 10 milioni in meno rispetto all'anno scorso: il commissario straordinario Giovanni Scarso è stato costretto a tagli radicali nei servizi. Il trasporto degli studenti disabili e l'assistenza specialistica non sono partiti scatenando la rivolta delle mamme che hanno occupano gli uffici. Se per i servizi sociali ci sono solo 620 euro, contro 1,6 milioni dello scorso anno, per la viabilità la cifra è di appena 200 euro.
L'INCOGNITA DIPENDENTI
Uno dei passaggi più delicati della riforma, riguarda i circa 6 mila dipendenti che costano più o meno 300 milioni all'anno. Che fine faranno? Nella prima ipotesi del governatore Crocetta il personale veniva diviso tra città metropolitane, liberi consorzi e Regione. Palazzo d'Orleans, per esempio, avrebbe avocato a sé la gestione dei beni culturali: musei e beni delle Province sarebbero stati trasferiti all'assessorato regionale competente con tutti i dipendenti. Lo stesso doveva accadere per riserve naturali, formazione e strade.
Nella seconda proposta, invece, prevale il decentramento con la Regione che si scrolla di dosso una serie di incombenze, dal turismo all'istruzione. Il passaggio sul personale è il più delicato e il ddl che la giunta Crocetta propone all'Ars non entra nel dettaglio lasciando all'aula il compito di stabilire che fine faranno i circa 6500 dipendenti che comunque saranno tutti salvati e divisi, non si sa ancora come, tra città metropolitane, consorzi e Regione. I lavoratori sono in fibrillazione: "Che ne sarà di noi che abbiamo vinto un concorso pubblico? ", dice Rossella Inveninato che lavora a Enna. La paura è che la riforma finisca con un buco nell'acqua o che comunque abbia tempi lunghi. E che nel frattempo dopo i servizi, i tagli statali mettano a repentagli pure gli stipendi.
IL REBUS CITTA' METROPOLITANE
La materia che l'Ars dovrà trattare è tutt'altro che semplice. Ma cosa prevede il secondo disegno di legge approvato dalla giunta? Cosa sostituisce le Province in base ai 30 articoli che adesso il governatore Crocetta spedisce in assemblea? Innanzitutto vengono istituiti i liberi consorzi di comuni e, in linea con quello che sta facendo il governo nazionale nel resto d'Italia, le città metropolitane che in Sicilia sono quelle di Catania, Messina e Palermo. Le tre città nelle intenzioni prendono il posto "degli esistenti comuni e delle province regionali". Ma come? Il primo fondamentale punto riguarda l'estensione di queste città metropolitane: con il secondo ddl la giunta ha radicalmente modificato la prima riforma che prevedeva lo scioglimento automatico di una cinquantina di comuni che finivano inglobati nei confini delle città metropolitane. Il nuovo testo sancisce invece il principio "della libera intesa". Nel caso di Palermo, per esempio, dovranno essere i venti comuni dell'hinterland - da Bagheria a Monreale, da Isola delle Femmine a Ustica - a decidere se aderire. "Nessuno aderirà rischiando di perdere peso decisionale", sussurra un tecnico dell'assessorato Autonomie locali.
La volontarietà, dunque, rischia di rivelarsi un boomerang. Ma i sindaci delle tre grandi città insistono, a cominciare da Leoluca Orlando. "Il tema della città metropolitana - dice il primo cittadino di Palermo - non è la territorialità ma la competenza. La Regione istituisca le città metropolitane assegnando compiti ben precisi e saranno poi i piccoli comuni a voler aderire perché per loro sarà conveniente. Inizialmente Palermo può restare anche dentro i suoi stessi confini perché è già nei fatti una città metropolitana: un esempio? Ospita tutti i gradi di istruzione, dall'asilo all'università. Luoghi di studio che accolgono pure i ragazzi dei comuni limitrofi ". Secondo la bozza di riforma, i sindaci delle tre città diventerebbero dei "supersindaci " affiancati da una giunta metropolitana, composta da non più di nove persone, e da una conferenza metropolitana della quale dovrebbero far parte tutti i sindaci dei comuni che aderiscono. La conferenza si sostituirebbe al vecchio Consiglio provinciale e in una prima fase avrebbe il compito di stilare lo Statuto della città metropolitana.
Ma di cosa dovranno occuparsi questi nuovi enti? Secondo l'articolo 10 del ddl si occuperanno di "pianificazione territoriale, di mobilità e viabilità, di sostenibilità ambientale, ecologica ed energetica, di gestione e organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale, di programmazione e sviluppo economico e sociale". Un mare magnum che permetterà loro di assorbire diversi compiti finora accentrati nelle mani della Regione, dalle attività produttive all'istruzione, dal commercio all'agricoltura, dalle politiche sociali alla protezione civile. E ancora turismo e lavori pubblici, pianificazione urbana e gestione integrata dei rifiuti.
L'Ars naturalmente potrà rivoluzionare il testo che a breve dovrebbe arrivare in commissione Affari istituzionali per un primo esame. Ma è difficile che Sala d'Ercole approvi la riforma entro il 31 dicembre. Dunque che succederà dal primo gennaio? "Assolutamente niente - dice il presidente della prima commissione Antonello Cracolici - si prorogheranno i commissariamenti. C'è una gran confusione e qualcuno pensa che se la riforma non verrà esitata entro fine anno si tornerà al voto con le vecchie moda-lità: ma non è affatto così. L'unica certezza è che non si tornerà a votare. La riforma non ha abolito le Province come molti pensano ma ha abolito le elezioni e sciolto gli organi elettivi". L'Ars secondo Cracolici adesso ha la possibilità di varare una riforma rivoluzionaria: "Il vero obiettivo è decentrare la Regione attraverso le città metropolitane creando un meccanismo di convenienza, in termini di servizi, che renda appetibile l'adesione per un piccolo comune. Le nuove province secondo me devono essere organi amministrativi. Il personale provinciale? Bisogna procedere seguendo il modello adottato dalle banche che vende gli sportelli con tutti i dipendenti".
La Repubblica, 17.11.2013
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