La riforma
della normativa sulla confisca dei patrimoni mafiosi è quanto mai necessaria se
si vuole evitare che il lavoro sinora svolto venga vanificato. In un paese in crisi
come l’Italia, minacciato perennemente dall’instabilità politica, non poteva
mancare il capomafia ergastolano che a sua volta minaccia di morte i pm che lo
accusano di essere stato parte attiva nella trattativa con infedeli uomini
dello Stato negli anni delle stragi del 1992/93. Il messaggio è indirizzato solo
ai magistrati, ai quali va la nostra piena solidarietà, o anche a quegli uomini
infedeli dello Stato del 1992 e ai loro mandanti perché rispettino patti e
promesse fatte? Intanto lo stesso Paese nell’ultimo trentennio, sull’onda di un
sempre più esteso movimento antimafia, istituzionale e sociale, si è dato una
delle più avanzate legislazione antimafia del mondo, ammirata da più parti e,
oggi, proposta dall’Ue ai paesi membri come modello da imitare.
Eppure non c’è
settimana durante la quale non si manifestino nuove difficoltà burocratiche,
attacchi politici alla sua applicazione sia nei processi penali in corso, sia
nei sequestri sia nella gestione e destinazione dei beni confiscati, nonostante
l’Agenzia unica dei beni confiscati abbia superato alcune difficoltà operative,
tipo l’insufficiente assegnazione di personale. Nelle ultime settimane in
concomitanza dell’avvio dell’iter parlamentare del ddl di iniziativa popolare
promosso dalla CGIL e da un comitato di cui ha fatto parte il Centro Studi Pio La
Torre, firmato da 120mila cittadini, per la tutela dei diritti dei lavoratori
delle aziende confiscate alle mafie, è stata strumentalizzata una giusta
rivendicazione sindacale di tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e
confiscate per attaccare il prezioso lavoro di tanti magistrati delle misure di
prevenzione patrimoniali e degli amministratori giudiziari.
Da tempo il movimento antimafia ha
evidenziato alcune criticità applicative delle misure di prevenzione patrimoniali
non risolte, o generate, dal cd Codice antimafia. È stata rilevata da più parti
la necessità di superare la sovrapposizione tra competenza del giudice delle
misure di prevenzione e quelle dell’Agenzia sinora risolta sulla base della
volontaria disponibilità dei soggetti. Altra criticità riguarda la destinazione
al Fondo unico della Giustizia e al Tesoro di tutti i beni mobili sequestrati
(titoli, conti bancari, depositi, ecc) prima di aver accertato le esigenze di
liquidità delle aziende sequestrate per continuare la loro attività produttiva.
Inoltre ancora non c’è certezza alcuna sui comportamenti degli istituti di
credito i quali non mostrano la stessa generosità verso le aziende sequestrate
che avevano verso le aziende mafiose. Attribuire un rating positivo alle aziende
sequestrate, accordare loro la fideiussione del Fondo unico della Giustizia,
creare una White list le rafforzerebbe nel mercato legale e dimostrerebbe che
lo Stato tutela quelle imprese che rinunciano alla protezione politico-mafiosa.
Il problema sollevato della tutela dei lavoratori dipendenti non può essere
usato per attaccare il lavoro svolto in generale dagli amministratori
giudiziari e dai giudici delle misure di prevenzione, ai quali abbiamo espresso
il nostro sodale impegno antimafia. È urgente indurre tutti i soggetti
istituzionali, prima di tutto il Governo e l’Agenzia nazionale dei beni
sequestrati e confiscati, a considerare il sequestro e la confisca del bene
mafioso non solo come atto repressivo, ma il terreno sul quale lo Stato mostra
tutta la sua forza e volontà per sconfiggere il sistema politico mafioso nell’economia
criminale, facendo funzionare meglio e produrre di più l’azienda nel rispetto dell’ordinamento
democratico e del mercato libero da ogni protezione illegale sia politica che
mafiosa. Gli esempi numerosi di aziende agricole confiscate alle mafie e
gestite dalle cooperative di giovani lavoratori - la Calcestruzzi Ericina
gestita dai dipendenti o la clinica Villa S. Teresa di Bagheria ora polo di
eccellenza sanitario - dimostrano come una visione attiva di mercato, quindi
non solo repressiva e conservativa del bene, possono essere vincenti. A questi
risultati positivi dovrebbero anche essere ancorati riconoscimenti ed
emolumenti degli amministratori giudiziari. Anche per questi motivi contestiamo
una visione burocratica della vendita dei beni confiscati per fare cassa senza
percorrere con convinzione tutta la strada dell’animazione produttiva virtuosa,
salvaguardando occupazione e produzione di ricchezza sociale. Una gestione
attiva delle aziende sequestrate e confiscate alle mafie è la migliore risposta
a quella parte dell’economia politico-criminale che opera nel mercato protetto
dalla corruzione e dalla cattiva politica. Gli amministratori giudiziari e l’Agenzia
nazionale dispongono di tutte le competenze composite necessarie per assicurare
lo sviluppo delle aziende guidandole nel sistema legale? Le misure di
prevenzione introdotte dalla Rognoni-La Torre sono state pensate come il
moderno ariete per sfondare e distruggere il sistema dell’economia politico
criminale. A questo punto si potrà continuare a fare a meno di un tavolo di
concertazione con le associazioni d’impresa, gli enti locali, i sindacati, le
associazioni antimafia più rappresentative del territorio per prevenire il
fallimento delle aziende e dei beni sequestrati e confiscati? Non occorrono
solo buone leggi, ma tanta buona volontà politica. Alla fine la più grande
liberalizzazione del sistema Italia vedrete che l’avremo quando diventerà
concreta la consapevolezza della soppressione della corruzione e dell’economia
criminale.
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