Stefano Rodotà |
di ELEONORA MARTINI
Intervista a Stefano Rodotà: «Sto pensando a un modo di unire le forze di quei soggetti civili, politici e sociali tornati da tempo protagonisti e che ora non possono più essere trascurati». La grazia a Berlusconi? «Inaccettabile»
Intervista a Stefano Rodotà: «Sto pensando a un modo di unire le forze di quei soggetti civili, politici e sociali tornati da tempo protagonisti e che ora non possono più essere trascurati». La grazia a Berlusconi? «Inaccettabile»
La grazia a
Berlusconi? «Inaccettabile. Anche perché sarebbe come istituire una
super-Cassazione». Il giurista Stefano Rodotà parla di «rischio istituzionale
che non va corso». È un momento delicato questo, dice, che richiederebbe un po'
di «coraggio e lungimiranza politica» da parte dei partiti. «Subito la riforma
della legge elettorale, e poi il voto», auspica. E nel frattempo, «insieme ad
altri», sta pensando a un modo di «unire le forze dei soggetti civili, politici
e sociali» tornati da tempo protagonisti e che «non possono più essere
trascurati».
Mentre per
il Financial Times «cala il sipario sul buffone di Roma»,
Sandro Bondi usa toni apocalittici minacciando la «guerra civile». Frasi che il
Quirinale giudica come «irresponsabili». C'è da preoccuparsi o è solo un'altra
farsa?
Ciò che sta
avvenendo non è solo una reazione simbolica, rivolta a impressionare l'opinione
pubblica. I comportamenti tenuti sono qualificabili come eversivi, nel senso
che negano i fondamenti della democrazia costituzionale... La richiesta
ufficiale del Pdl che, dicono, formalizzeranno nell'incontro con Napolitano, è
di «eliminare un'alterazione della democrazia». Sono parole e comportamenti da
valutare come rifiuto dell'ordine costituzionale. Al di là delle conseguenze,
non si può cedere ancora all'abitudine di derubricare e sottovalutare quelle
che vengono considerate «intemperanze verbali». Sono molto colpito dalla parola
«irresponsabile» attribuita al presidente Napolitano, che di solito è molto
cauto. Ma è evidente che la situazione configurata da Berlusconi e dal Pdl -
considerare «un'alterazione della democrazia» una sentenza passata in giudicato
- è eversiva. È un fatto di assoluta gravità che non possiamo sottovalutare.
Dunque i
toni apocalittici vanno presi sul serio?
Assolutamente
sì.
Ma non era
tutto prevedibile?
Certo, il
governo delle larghe intese è stato un grandissimo azzardo perché tutti
sapevano che in pista c'era la vicenda giudiziaria di Berlusconi e che il Pdl
non avrebbe certo mostrato responsabilità. Si è scelta questa strada nella
speranza che non sarebbe accaduto, ma la storia di Berlusconi, fin da quando
rovesciò il tavolo della bicamerale di D'Alema per sottrarsi al giudizio,
testimonia esattamente che tutto era prevedibile. E allora oggi confidare in un
ravvedimento operoso è pericoloso. Perché Berlusconi può continuare a
condizionare pesantemente non solo il governo ma l'intero sistema
costituzionale. Presidente della Repubblica, parlamento, magistratura: l'intero
sistema costituzionale è in questo momento sotto ricatto.
Un ricatto
che rischia di immobilizzare in ogni caso Napolitano. Secondo lei, il capo
dello Stato dovrebbe concedere la grazia a Berlusconi?
No.
Indipendentemente dai toni, penso che Napolitano non debba concedere la grazia.
E sembra che il Quirinale vada prudentemente in questa direzione. Napolitano
dovrebbe dire e dirà che una richiesta proveniente da Schifani e Brunetta è
irricevibile dal punto di vista formale, anche perché per concedere la grazia
vanno prese in considerazione una serie di condizioni, non ultima la condotta
del condannato. Su Berlusconi invece pendono altri procedimenti e una condanna
di primo grado nel processo Ruby. Rispetto a una persona che ha questo profilo,
si può intervenire con un provvedimento di clemenza? Ma c'è di più: una grazia
all'indomani della condanna assumerebbe la funzione di un quarto grado di
giudizio, cioè una sconfessione della magistratura, facendo di Napolitano una
sorta di super-Cassazione che elimina tutti gli effetti della condanna. È un
rischio istituzionale che non va corso.
Ieri sul
manifesto il presidente della Giunta per le autorizzazioni Dario Stefano ha
ricordato l'iter istituzionale che seguirà la decadenza di Berlusconi da
senatore. Non è un atto dovuto, dunque?
Ricordiamoci
che Alfano ritirò la fiducia al governo Monti dopo l'approvazione della norma
sulla decadenza e sull'ineliggibilità. Naturalmente la decadenza dovrebbe
essere un atto dovuto e questo passaggio previsto in Parlamento può apparire
una singolarità. Ma la legge è molto chiara sul punto: il passaggio in
Parlamento è una presa d'atto di un provvedimento operativo nei confronti di
uno dei suoi membri. La procedura può essere anche macchinosa ma l'esito non
può essere discrezionale.
Il voto non
riserverà sorprese?
Forse, visto
che la legalità per una certa parte politica è un optional. Ma al Senato c'è
una maggioranza che va ben al di là dei numeri del Pdl; sarebbe un fatto
davvero istituzionalmente inqualificabile.
Come mai ora
sarebbe «necessaria» quella riforma della giustizia fin qui ritenuta
«impensabile»?
Appunto.
Questa riforma assume il significato della rivincita politica di Berlusconi nei
confronti della magistratura. Riscrive - nella situazione drammatica che vive
l'Italia - le priorità dell'agenda come condizione per far vivere il governo.
Ma anche questa non è una novità. Faccio un solo esempio: quando si costituì la
Commissione bicamerale D'Alema Berlusconi chiese che al primo posto fosse
iscritta la questione giustizia. Non era compresa tra i compiti della
commissione ma ne divenne l'architrave, per accontentare Berlusconi. E infatti,
come ci ha rivelato alcuni giorni fa l'ex ministro Flick il suo pacchetto di
riforma della Giustizia venne allora bloccato; D'Alema stesso glielo chiese con
una lettera. Non si può continuare su questa strada.
Nemmeno con
il lavoro dei «saggi»?
Considero
quella commissione istituita solo per dare consigli, che non può diventare in
nessun modo politicamente rilevante né tantomeno vincolante. E in più ritengo
nel merito largamente inaccettabili le loro proposte.
Allora
elezioni subito? Con questa legge elettorale?
No, perché
rischiamo di nuovo l'ingovernabilità. E ormai sappiamo - ce lo ha detto la
Corte costituzionale e ricordato il suo presidente - che andremmo a votare con
una legge viziata di incostituzionalità. Sulla questione a dicembre ci sarà una
sentenza della Consulta, su richiesta della Cassazione. Ma al di là di questo,
c'è anche un problema politico: si può accettare di andare al voto con una
legge incostituzionale e politicamente devastante per gli effetti che ha
prodotto? Propongo di riconvocare subito le camere per affrontare la legge
elettorale. Non occorre sospendere le vacanze: possiamo utilizzare lo spazio
riservato alla riforma costituzionale calendarizzata all'inizio di settembre
per arrivare subito a una riforma elettorale. D'altronde non si può fare una
riforma costituzionale con chi mette in discussione l'ordine costituzionale, è
incosciente in questo clima. E invece occorre un'iniziativa immediata per
anticipare i tempi e modificare in brevissimo tempo la legge elettorale,
partendo a settembre dalla proposta più semplice, quella di Giachetti di
ritorno al mattarellum. È l'unica iniziativa politica possibile per mettere
minimamente in sicurezza il sistema.
Settembre è
un tempo breve e lungo insieme. E il M5S ha smentito di essere disponibile a un
governo, sia pur programmatico, con il Pd.
Indipendentemente
dalle dichiarazioni del M5S, il Pd dovrebbe porre il problema di sciogliere le
camere solo nel caso fosse accertata la mancanza di una maggioranza per
costituire un governo, anche di breve durata, che si faccia carico
immediatamente della riforma della legge elettorale. Ed è un problema che si
presenta solo al Senato. Ma è un passaggio politico che richiede iniziativa,
coraggio e lungimiranza politica da parte dei partiti; non ci si può solo
chiedere cosa farà il capo dello Stato. Lui deve essere lasciato nella
condizione di fare il suo lavoro ma non nel vuoto politico che si era
determinato quando i tre responsabili dei partiti che oggi costituiscono la
maggioranza, incapaci di eleggere un qualsiasi presidente della Repubblica, si
ripresentarono da Napolitano facendo una mossa politicamente gravissima,
dettata da debolezza politica.
Lei stesso
ne fu protagonista...
Venni
coinvolto ma oggi guardo alla vicenda con distacco. Piuttosto come allora in
questo periodo, non solo in questi giorni, si è sedimentato attorno al tema
della difesa della Costituzione - ma in senso alto: difesa dei valori e dei
principi - un'attenzione di forze sociali politiche e civili che non può essere
assolutamente trascurata. Ci sono state moltissime iniziative, tra le quali io
metto anche l'ostruzionismo parlamentare di Sel e del M5S che ha inseguito la
forzatura dell'approvazione ai primi di agosto della legge sulla revisione
costituzionale. Ma in questo momento sono necessario iniziative non solo per
sostenere la difesa di questi principi ma anche per porre le forze politiche
davanti alla loro responsabilità.
Quali
iniziative?
È ancora
presto per dirlo, con altri abbiamo appena cominciato a pensarci, ma qualcosa è
assolutamente necessario fare.
Potrebbe
tornare lei stesso protagonista?
I discorsi
da protagonista li ho sempre scartati. Dico solo che oltre alle responsabilità
dei partiti, c'è una responsabilità propria di soggetti politici sociali e
civili che in questo periodo si sono mobilitati - ne abbiamo visto un esempio a
Bologna il 2 giugno - e che devono trovare forme di espressione. Non è
questione di investitura, semmai l'investitura l'hanno ricevuta in molti e questo
è il momento di unire le forze...
Il Manifesto, 6 agosto 2013
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