La tenuta di Suvignano |
Delusione e rabbia. È lo stato
d'animo comune a chi sperava di evitare la vendita all'asta della tenuta di
Suvignano, nel comune di Monteroni d'Arbia, a pochi chilometri da Siena,
sequestrata alla mafia ben diciannove anni fa e ancora in un limbo gestionale.
Del sindaco Jacopo Armini, del presidente della provincia Simone Bezzini, di
tutti coloro, Regione Toscana, Arci, Libera che hanno lavorato per arrivare ad
una soluzione che permettesse una gestione trasparente e sopratutto controllata
dalla comunità. La tenuta insiste su circa 713
ettari. Gli sforzi solidali degli enti locali e delle associazioni antimafia
non hanno dato il risultato sperato. Anche se la partita non sembra ancora
chiusa. «Con il percorso di vendita, Suvignano inserita in un'area
particolarmente pregiata sotto ogni punto di vista, agricolo, paesaggistico e
ambientale, rischia di tornare nelle mani della criminalità organizzata», lancia
l'allarme Armini. Anche perché - è noto - le mafie hanno soldi da spendere, da
riciclare, e la tenuta "all'asta" può andare venduta a un prezzo
impossibile per molti privati.
Il sindaco rivendica «la validità
del progetto presentato assieme ad Arci e Libera. In ogni caso noi non abbiamo
intenzione di arrenderci nel portare avanti la nostra battaglia a favore della
legalità». Non si sbaglia a pensare che nella decisione di vendere Suvignano al
migliore offerente, presa dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni
sequestrati alla criminalità organizzata, pesano molto i problemi finanziari
del bilancio statale, ignorando o sottovalutando il pericolo che la tenuta, che
costituisce una parte consistente del territorio del comune senese, possa di
nuovo entrare nell'area dell'economia mafiosa o in ogni caso contigua ad essa,
in cerca di affari vantaggiosi. Come è accaduto negli anni ottanta quando la
tenuta fu acquistata da Vincenzo Piazza, risultato poi affiliato alla mafia, e
arrestato nel 1994 proprio a Suvignano.
La provincia di Siena è un
territorio in apparenza tranquillo e per questo chi ha soldi a disposizione può
fare affari senza dare troppo nell'occhio. «Ritengo sia un errore la decisione
di vendere all'asta la tenuta perché mortifica un progetto di valore e di
impegno del nostro territorio per l'affermazione della cultura della legalità»
sostiene Simone Bezzini. Annuncia un'interrogazione urgente dal Ministro
dell'interno il deputato del Pd Federico Gelli, che si è a lungo occupato di
Suvignano, «fin da quando - sottolinea - ero vicepresidente della Regione
Toscana. Trovo incredibile che in oltre diciannove anni lo Stato non abbia
potuto riconsegnare ai cittadini e al territorio questa realtà. La decisione di
vendere all'asta la considero un vero colpo di mano».
Nelle carte del progetto su cui si è
lavorato fino oggi e (che si spera possa restare ancora in piedi e
concretizzarsi sventando il blitz di chi vuole vendere), si sottolinea che lo
sviluppo dell'azienda deve basarsi «su azioni innovative in materia di filiere
agricole locali di qualità, agricoltura sociale e fattorie didattiche sul tema
della legalità, turismo sociale e sostenibile, attività sperimentale
soprattutto agroforestale, energie rinnovabili». In quest'idea durante una
prima fase Suvignano dovrebbe essere gestita dall'azienda agricola regionale
dell'Alberese per poi passare al nuovo ente della Regione toscana chiamato
«Terre regionali toscane». La gestione di un patrimonio consistente (dove in
570 dei 713 ettari, si coltiva grano duro, orzo e avena, con 13 case coloniche,
un fabbricato in passato adibito a magazzino, un'officina aziendale, una villa
padronale, una chiesa con annessa canonica, allevamenti di maiali e pecore e
cinque ettari di uliveta di circa e una riserva di caccia) dovrebbe poi essere
definita da una convenzione tra governo e Regione su durata e modalità
garantendo la valorizzazione dell'azienda agricola e prevedendo la possibilità
di investimenti.
Nel gennaio scorso Armini, Bezzini e
il governatore della Toscana Enrico Rossi si erano incontrati con il ministro
dell'interno Cancellieri a cui avevano spiegato i dettagli del progetto che fa
sapere Armini «era stato valutato molto positivamente tanto che ci era stato
prospettato un percorso ben diverso da quello emerso in questi giorni e che,
inoltre, disattende il chiaro spirito della legge finalizzata al riutilizzo
pubblico dei beni confiscati».
www.unita.it, 24
Agosto 2013
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