La scopertura di un monumento dedicato ai caduti |
Pubblichiamo la relazione svolta da Mario Ridulfo, segretario generale della Fillea Cgil di Palermo, per la commemorazione dei caduti dell'otto luglio 1960 e dei morti per il lavoro.
Care compagne e cari compagni, gentili ospiti,
E’
una tradizione ormai, l’iniziativa che ogni anno la Fillea Cgil di Palermo mette in cantiere per commemorare i fatti
che nella giornata dell’otto luglio 1960, coinvolsero tra gli altri due
compagni, due edili Palermitani: Francesco
Vella di 49 anni e Andrea Gancitano di 19 anni, uccisi
entrambi da colpi di arma da fuoco. Quella
mattina, per risposta ai fatti di Reggio Emilia e a seguito della proclamazione
dello sciopero generale della CGIL,
il centro di Palermo venne presidiato fin dalle prime ore dai reparti celere della polizia, al fine di
disturbare la manifestazione .
Il
corteo fu caricato brutalmente dalla celere con le jeep spinte a velocità
contro la folla. I lavoratori si difesero
con , sassi, bastoni, come poterono.
Le ragioni che portarono allo sciopero generale e agli
scontri di piazza, erano quelle della difesa di un’ancora giovane democrazia,
offesa dall’apertura del Governo Tambroni
ai post- fascisti e nella
decisione di questi ultimi di celebrare il congresso a Genova, città martire,
medaglia d’oro nella lotta di liberazione al regime fascista e all’occupazione
nazista.
Con
lo sciopero generale dell’otto luglio la protesta contro il governo Tambroni
assunse una dimensione realmente nazionale
e la Cgil si pose alla guida del malcontento e della mobilitazione
popolare, contro la deriva autoritaria
del governo.
Il clima che portò alla tragedia era quello di un
grande fermento sociale, frutto di una condizione generale di arretramento che
a Palermo , in Sicilia era rappresentato dal perdurare del capolarato, dai
ritardi nella ricostruzione degli scempi della guerra, dall’arretramento dei
lavoratori nelle campagne e nelle realtà
industriali Palermitane, dove una intera generazione di sindacalisti si forgiò.
La
realtà di quegli anni è fatta di diritti negati, di non lavoro,
di lavoro precario, di gabbie salariali
( gli operai Palermitani guadagnavano il 60% di quanto guadagnava un operaio
Genovese), anni duri, di repressione e di sconfitte.
Le
tante ricorrenze, che il nostro martoriato calendario ci ricorda, dalla strage di Portella,agli omicidi di 38 sindacalisti
della Cgil tra il 1947 e il 1950, a volte, possono apparire solo eventi sbiaditi nel tempo e nei
ricordi degli ultimi testimoni.
Da
parte nostra c’è la volontà, nel ricordo
di non arrendersi, di tentare
giorno per giorno, di difendere valori ed
interessi dei lavoratori, gli
stessi di Vella e Gancitano.
Ho
voluto attardarmi seppur superficialmente,
nell’inquadrare la situazione di quegli anni, perché in un arduo
parallelismo vogliamo legare, seppur in condizioni diverse e in tempi diversi, le condizioni di quei lavoratori, con quelli
di oggi.
Nel
manifesto abbiamo scritto, come incipit dell’iniziativa di oggi che “nel 1960, operai edili come Andrea
Gancitano e Francesco Vella, operaio e sindacalista della Fillea cgil, cadevano
sotto i colpi della crisi e della repressione. Nel 2013 operai edili come Peppe
Burgarella, operaio e sindacalista della Fillea Cgil, cadono sotto i colpi
della crisi e delle politiche economiche neo liberiste” , forse ci siamo
troppo attardati in questi anni in
analisi economiche sulla nascita della crisi e sugli effetti di essa, forse
abbiamo perso di vista il vero motivo della crisi, cioè lo scontro finale tra
idee e prospettive diverse di società.
L’Europa dell’austerity ripiomba nel pre- marxismo: rancore,
guerra tra poveri e zero coscienza di classe, ci si azzanna per uno
“smartphone”!.
La lotta di classe? Direte voi! una risposta, l'ha data il
miliardario americano Warren Buffett, il quale ha dichiarato, non molto tempo
fa: «c'è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che
sta facendo la guerra, e stiamo vincendo».
Nei
primi 70 anni del Novecento la “lotta di classe” ha portato a una
ridistribuzione verso il basso delle risorse: la costruzione dei sistemi di welfare
ha protetto milioni di persone dalla povertà e dalle incertezze, la pressione
dei sindacati ha ridotto la quantità di lavoro e ne ha migliorato la qualità,
l’istruzione di massa ha permesso mobilità sociale.
La classe dei lavoratori aveva vinto la battaglia.
Ma
la guerra è continuata, è iniziato un “contromovimento” come lo chiamava Karl
Polanyi.
Nel
suo recente libro, Luciano Gallino, scrive che “tra il 1976 e il 2006 crolla la percentuale dei redditi da lavoro sul
Pil, misura di quanta parte della ricchezza nazionale finisce nelle tasche dei
lavoratori. Tra il 1976 e il 2006, nei 15 Paesi più ricchi dell’area Ocse, si
passa dal 68 al 58 per cento. In Italia i redditi da lavoro scendono
addirittura al 53 per cento. Questo significa, ricorda Gallino, che i
lavoratori dipendenti hanno perso 240 miliardi di euro all’anno”.
Ci
voleva tanto a capire che la tecnica non basta a governare un Paese?
L’avevano
capito i lavoratori del 1960, scesi in piazza a difesa della democrazia e della
costituzione, la stessa che oggi una delle più importanti banche d’affari del
mondo ci dice di dovere cambiare.
Di recente lo studio della banca Americana Jp Morgan,
così scrive:
“The political systems in the periphery
were established in the aftermath of
dictatorship, and were defined by that
experience. Constitutions tend to show a
strong socialist influence, reflecting the
political strength that left wing parties gained
after the defeat of fascism. Political
systems around the periphery typically display
several of the following features: weak
executives; weak central states relative to
regions; constitutional protection of
labor rights; consensus building systems which
foster political clientalism; and the
right to protest if unwelcome changes are made to
the political status quo. The shortcomings
of this political legacy have been revealed
by the crisis. Countries around the
periphery have only been partially successful in
producing fiscal and economic reform
agendas, with governments constrained by
constitutions (Portugal), powerful regions
(Spain), and the rise of populist parties
(Italy and Greece)”,
ovvero: “ i sistemi politici della periferia
meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature e sono rimasti
segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle
idee socialiste,………………….e presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi
centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti
dei lavoratori;…licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello
status quo….”, quindi , non solo colpa di politiche
economiche neo liberiste , ma colpa di
quello che alcuni definiscono autoritarismo liberista.
Per
questo caparbiamente abbiamo riportato nel nostro manifesto e nelle nostre
ultime iniziative l’articolo uno della costituzione , lo stesso che il nostro compagno Burgarella
ha riportato nell’ultimo ed estremo atto politico di protesta prima di togliersi
la vita, come Jan Palach, l’eroe cecoslovacco che si diede fuoco a Praga
per protestare contro l’invasione sovietica, ha voluto ricordarci
con il richiamo all’art.1 della costituzione che il lavoro è dignità.
Forse
Peppe non lo sapeva o forse si, stava citando Piero Calamandrei, uno dei padri
della costituente che così scriveva:
“…..fino a che non c’è questa
possibilità per ogni uomo di lavorare e
di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo
la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà
chiamare neanche democratica …..è
compito della repubblica (richiamo all’art.34 della costituzione) rimuovere gli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare
lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti,
dare a tutti gli uomini dignità di uomo”, era il 26/01/1955!
Le
parole usate da Peppe: Lavoro, dignità,
costituzione, sono le stesse di Calamandrei e richiamano la necessità che la
politica sia impegno, volontà di mantenere queste promesse, responsabilità,
pena quello che Calamandrei chiama l’indifferentismo
politico che produce : astensionismo, violenza, rifugio in forme di
protesta elementari e pre-politiche.
E’
di pochi giorni fa la lettera di un sindaco di un importante città della nostra
provincia, che sulle pagine del giornale
la repubblica, dice senza troppi giri di parole che: “ in una situazione come questa, senza lavoro e senza sviluppo economico….se
lo stato abbandona una comunità …essa diventa preda dell’ingordigia mafiosa”.
Noi siamo questa storia, la storia dei Vella dei Gancitano dei
Burgarella e dei tanti compagni, lavoratori che impegnano a cambiare lo status quo nonostante, come dice
Zagrebelsky, “intorno a noi il vuoto
della politica, allora la domanda,
è siamo ancora in tempo?”
Non
c’è più tempo e non sempre le istituzioni sono
sensibili alle nostre richieste, solo di recente, per esempio lo scorso 31
maggio dopo una manifestazione partecipata da circa cinquemila persone,
lavoratori, ma anche imprenditori del settore, il presidente della Regione
Sicilia, non ha sentito il bisogno di ricevere una delegazione, (neanche
nei giorni successivi!) altro esempio, al Prefetto di Palermo abbiamo chiesto,
ripetutamente anche con una
manifestazione, l’attivazione
presso la Prefettura di un
comitato di coordinamento per la sorveglianza delle opere pubbliche che attraverso
il monitoraggio e la sottoscrizione di protocolli di intesa aiuti lo
sblocco dei tanti cantieri fermi a volte per lungaggini burocratiche e
definisca (come previsto, dalle linee
guida per i controlli antimafia L.166/09), “un percorso comune e condiviso tra tutti i soggetti istituzionali e
sociali ( imprenditoriali e rappresentativi
delle categorie dei lavoratori, in cui siano puntualizzate le misure da
adottare in funzione di prevenzione antimafia)”.
Per
questo soprattutto in questi mesi abbiamo messo in piedi un movimento di
lavoratori edili disoccupati che con la protesta
pacifica e la proposta ha l’obiettivo di dare visibilità alle condizioni del
settore per potere cambiare le cose, abbiamo rivolto la nostra attenzione alla
Regione, ai Comuni, alle istituzioni di prossimità, per questo stiamo proponendo e sottoscrivendo
accordi per lo sviluppo e l’occupazione edile.
Non
c’è più tempo.
Negli ultimi anni in Italia nel settore
delle costruzioni: si sono persi 550 mila posti di lavoro; si sono ridotti del
30% gli appalti pubblici; si è ridotto
del 20% il volume del fatturato, con
ripercussioni gravi anche sulle imprese più strutturate. A Palermo l’ultimo
dato della cassa edile parla di meno 16% di massa salari rispetto al solo anno
precedente (da 135.000.000 di euro a 111.000.000 di euro) 23 mln di euro in
meno in un anno. Mentre dall’inizio della crisi nel 2008 ad oggi si sono
registrati - 8.500 posti di lavoro censiti in cassa edile, si può parlare di un autentico crollo.
Per questo è
importante attivare tutte le iniziative per il
rilancio, la costruzione, il completamento delle opere e delle infrastrutture utili alla comunità.
Purtroppo l’emergenza fa “a pugni” con
i tempi di gestione degli appalti: in Sicilia per la aggiudicazione trascorrono
in media 1582 giorni contro i 583 della Lombardia, 900 della media nazionale!
In questo quadro non particolarmente
confortante, abbiamo posto attenzione al ruolo delle amministrazioni
regionali e locali. La loro quota sul totale degli investimenti pubblici
nazionali è infatti cresciuta, da questi dipendono i tre quarti della spesa:
Regioni, Comuni, Provincie, Asl, etc.., secondo la stessa Ance, una delle cause
che rallentano la spesa ed impediscono l’utilizzo anche dei fondi europei per
le opere pubbliche, dipende dal fatto che gli enti locali siciliani non dispongono,
di progetti definitivi da presentare per il finanziamento e non tanto per le
grandi opere pubbliche, quanto per i
piccoli e medi cantieri che sono poi quelli più interessanti per il
nostro sistema d’impresa edile. La
Sicilia ha un deficit infrastrutturale del 34,6%, rispetto per esempio al
nord-est, mentre la carenza di infrastrutture aumenta i costi dell’impresa del
20,6%.
E’ evidente che
tutto ciò, più della crisi economica globale, genera una pericolosa distorsione
strutturale nel settore delle costruzioni e segna con la presenza criminale e il ricorso al lavoro
nero l’esclusione delle aziende sane dal mercato e in assenza di un quadro
normativo certo assisteremo come ora ad una sempre maggiore parcellizzazione
delle imprese, alla riduzione del peso della manodopera, alla estensione delle
partite iva, alle microimprese individuali.
E’ certo che l’avvio dei cantieri per il raddoppio della ferrovia
e per il tram a Palermo non esauriscono il gap di infrastrutture che abbiamo ed
è del tutto vero che ad oggi in assenza di risorse e di progetti, al termine di questi lavori il quadro sembra,
destinato a peggiorare.
L’unica condizione è passare dalla strategia degli annunci di
opere (e finanziamenti che non ci sono) che non si faranno, alla strategia si direbbe
oggi del “fare”, ma non di quel “fare” contenuto nel cd. Decreto
semplificazioni del Governo che mette mano e deregolamenta le norme in materia
di sicurezza, in un paese come il nostro dove continuano a morire in media tre
- quattro lavoratori ogni giorno ( allentamento dei vincoli della
responsabilità solidale dell’appaltatore, validità fino a sei mesi del durc in
assenza di una organica e strutturata azione di contrasto all’irregolarità e di
esigibilità delle sanzioni) , ma di quel fare che crea tutte le condizioni per avviare cantieri ed
opere utili alla comunità e ai lavoratori, a cominciare ad esempio dall’avvio
dei lavori dell’anello ferroviario.
Sono anni che si annunciano piani straordinari e progetti che
restano puntualmente nel cassetto dei sogni dei Palermitani.
Già nel 2003 (10 anni fa)
l’amministrazione comunale di Palermo prevedeva l’avvio e la rapida conclusione di importanti lavori,
mentre i cantieri del passante ferroviario e del tram seppur in ritardo sono ancora in attività, fermi sono i lavori per la chiusura del cd. anello ferroviario,
per la realizzazione del raddoppio del
ponte Corleone ; il sottopasso di via Perpignano e il lavori per il collettore
fognario.
Annunci sono rimasti: la metropolitana leggera
automatica per collegare Via Oreto con Mondello, i parcheggi in città, insomma
l’attuazione di quel piano integrato dei
trasporti che avrebbe dovuto dare
occupazione nei cantieri a 3.400 persone l’anno per 5 anni.
Il restauro (e la pedonalizzazione) delle piazze storiche, (piazze
importanti come S. Anna, Croce dei Vespri, S. Domenico, Rivoluzione); il recupero, la ripavimentazione e il
restauro degli assi monumentali come l’antico Cassero e via Maqueda; il recupero e la trasformazione in isole
ecologiche di ampie zone dei quattro mandamenti del centro storico, della
Vucciria e dei mercati storici; il
recupero e “l’urbanizzazione” delle periferie; la messa in sicurezza delle
scuole e degli edifici pubblici, etcc.
E poi ancora l’indispensabile
collegamento della circonvallazione di Palermo lato monte con quella
lato mare ( magari con un futuro ed auspicabile interramento del tratto
Cala-ForoItalico-S.Erasmo, che restituirebbe
definitivamente il mare alla città);
ma anche il proseguimento dei lavori ed il rafforzamento del sistema
Tram con la progettazione e la
costruzione di nuove tratte.
La decongestione del centro cittadino attraverso la costruzione di
parcheggi di interscambio per il traffico proveniente dalla provincia ad est di
Palermo in corrispondenza della stazione tram di Brancaccio ed uno in
corrispondenza di via Tommaso Natale per il traffico proveniente ad ovest della
Provincia, evitando così la percorrenza di centinaia di pullman fino al centro
città.
Inoltre il trasferimento e la costruzione di un moderno
mercato ortofrutticolo nell’ex area industriale di Brancaccio in connessione
con ferrovia ed autostrada, il trasferimento e la costruzione di un moderno
mercato ittico dalla attuale zona archeologica del Castello a Mare ( con la
trasformazione di questa ampia zona, collegata al vecchio porto e al foro
italico in un unico grande parco a mare) e la riqualificazione, per esempio del
porticciolo di S.Erasmo a tale scopo.
La trasformazione in
un unico parco urbano dell’area ex Fiera e del mercato ortofrutticolo e il
rilancio di quella che è stata una delle più importanti fiere campionarie del
sud Italia, attraverso il trasferimento
e la costruzione di spazi espositivi moderni nella ex zona industriale di
Brancaccio.
Ma potremmo
continuare all’infinito nell’elencazione di proposte per opere necessarie
anche a basso costo che potrebbero
cambiare il volto della città favorendo il rilancio della economia e
l’occupazione di tanti operai ed impiegati edili oggi disoccupati.
Le opere pubbliche , sono grandi se soddisfano
esigenze diffuse, se sono realizzate in tempi normali, se non stravolgono
l’ambiente, se si realizzano in piena legalità.
Ma non c’è più tempo!
Mario Ridulfo
Palermo, 8 Luglio 2013
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