sabato, luglio 06, 2013

IMPIANTI A BIOMASSA IN SICILIA, IL PRIMO PROGETTO È A MONTEVAGO

Impianto biogas
di Margherita Ingoglia
Un impianto a biomassa nel comune diMontevago. E’ questa l’iniziativa presentata agli amministratori e ai consiglieri comunali dal sindaco del comune, Calogero Impastato. Il progetto, visibile sul sito del comune di Montevago, avrebbe un bacino d’utenza pari a 120.000 abitanti includendo nove paesi dell’hinterland, tra cui Montevago, Sambuca, Sciacca, Santa Margherita, Menfi, Castelvetrano, Salaparuta, Poggioreale, Partanna, per la realizzazione di un impianto a biomassa e la produzione di energia elettrica nel territorio del comune agrigentino. Prima del via libera però, il primo cittadino Calogero impastato, ha comunicato che saranno organizzate assemblee per il coinvolgimento della cittadinanza, Tra comitati favorevoli e opinioni contrarie, abbiamo cercato di capire meglio cos’è un impianto a biomasse, intervistando il dottor Gaetano Bongiovì, ingegnere nucleare dell’Università di ingegneria energetica e nucleare di Palermo.
Cos’è un impianto a biomasse?

“Con il termine “biomassa” si intende la frazione biodegradabile dei rifiuti e degli scarti di origine biologica provenienti dall’industria agro-alimentare (compresa la pesca, gli allevamenti, la macellazione e le attività forestali) e la frazione biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani, compresi i prodotti di scarto della depurazione delle acque reflue urbane ed industriali. Dalla biomassa viene ottenuto, attraverso un processo chimico detto “compostaggio” oppure tramite un altro processo chimico detto “digestione anaerobica”, il cosiddetto “biogas” che non è altro che una miscela di gas (composta all’incirca per il 60 % da metano e per il 40 % da anidride carbonica) che viene utilizzata come combustibile in un impianto per la produzione di energia elettrica e di calore. L’impianto a biomasse è dunque quell’impianto industriale nel quale le biomasse vengono accumulate, trasformate in biogas e nel quale avviene la produzione di energia elettrica e termica attraverso la combustione del biogas”.
Quali caratteristiche deve avere un territorio per poter ospitare una centrale?
“In linea di massima il territorio che ospita un impianto a biomasse non deve avere alcuna peculiarità specifica oltre a quelle che normalmente sono richieste per una comune installazione industriale per la produzione dell’energia elettrica”.
Perché in Sicilia non ne abbiamo ancora una?
“Non c’è un motivo tecnico o tecnologico particolare per cui in Sicilia, fino ad oggi, non è stato costruito alcun impianto a biomasse. Probabilmente si è preferito puntare su altre fonti di energia, come ad esempio il fotovoltaico, il solare termico e l’eolico, in virtù della maggiore convenienza economica, facilità di installazione e di esercizio degli impianti che utilizzano tali fonti. Inoltre, dal punto di vista della percezione dell’opinione pubblica, l’impianto a biomasse (che concettualmente non differisce molto da un termovalorizzatore) è meno appetibile rispetto ad un impianto eolico o fotovoltaico. Secondo me è stato questo il reale motivo che ha frenato lo sviluppo degli impianti a biomasse, quantomeno in Sicilia”.
Quali sono i vantaggi, ecologici e per l’economia locale, di avere un impianto di questo tipo?
“I vantaggi per l’economia locale potrebbero essere molteplici, se non altro quelli legati alla disponibilità di posti di lavoro, diretti e legati all’indotto industriale che si verrebbe a creare, che si renderebbero disponibili durante tutte le fasi della costruzione e dell’esercizio dell’impianto. Un altro vantaggio considerevole potrebbe essere quello di avere a disposizione una via alternativa a quelle usuali per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (in particolar modo della loro frazione organica), che di fatto verrebbero trasformati in “combustibile” per l’impianto a biomasse invece che essere ammassati nelle discariche. Questo di riflesso porterebbe ad una messa in pratica della raccolta differenziata dei rifiuti in maniera ancora più intensiva. Infatti se un impianto a biomasse venisse costruito nel nostro territorio dubito fortemente che si possa assistere ad una conversione dei terreni dalle colture tradizionali a quelle cosiddette “energetiche”, cioè quelle colture che hanno come prodotto finale una certa classe di vegetali che ha un’elevata resa in biogas. Dunque la grande parte delle biomasse impiegate per la produzione del biogas sarebbe costituita dalla cosiddetta FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano)”.
Esistono svantaggi?
“Gli svantaggi connessi ad un tale tipo di impianto sono, come è facile immaginarsi, quelli connessi alle scorie (cioè gli scarti della lavorazione delle biomasse quando queste vengono trasformate in biogas) e alle emissioni. Il problema è sempre il solito, come la cronaca nazionale ci ha mostrato, ad esempio, nel caso dell’ILVA di Taranto o del petrolchimico di Gela: se l’impianto viene esercito rispettando rigorosamente le normative in maniera di emissioni (sia di sostanze gassose che di particolato e metalli pesanti) e di smaltimento delle scorie allora l’impatto ambientale risultante sul territorio si riduce al minimo possibile. Un altro possibile svantaggio è quello del possibile sviluppo di cattivi odori, derivanti dalle sostanze gassose che si liberano durante i processi chimici di trasformazione delle biomasse in biogas. Anche per questo comunque, esistono soluzione tecnologiche facilmente applicabili che, se messe in pratica, minimizzano anche questo aspetto”.
È vero che per far funzionare un impianto a biomasse serve una quantità considerevole di legna, pari, possiamo dire, ad un vero e proprio atto di disboscamento? Sarebbe un controsenso tagliare gli alberi per produrre energia pulita.
“Non è vero che per far funzionare un impianto a biomasse serve una quantità considerevole di legna. Infatti la legna è solo una delle tantissime componenti delle biomasse che, nella maggior parte dei casi, sono costituite da FORSU o da cereali coltivati ad hoc per essere trasformati in biogas. Sotto quest’ottica si inquadra anche l’affermazione che l’energia elettrica e termica prodotta utilizzando come fonte le biomasse è “pulita”, dal momento che l’anidride carbonica generata durante la combustione del biogas è la stessa che i composti organici hanno assorbito durante la loro vita e che, quindi, rilascerebbero ugualmente nell’atmosfera durante la loro decomposizione post mortem. Personalmente giudico quest’ultima affermazione decisamente fuorviante e messa in circolo solamente per consentire di poter annoverare gli impianti a biomasse nell’ambito delle “energie pulite” consentendo a questi (e ai loro proprietari) l’accesso ad una serie di benefici economici di cui altrimenti non potrebbero godere e una maggiore considerazione da parte dell’opinione pubblica. Fermo restando che a mio parere gli impianti a biomasse sono convenienti per molteplici aspetti, legati essenzialmente alla possibilità di una migliore gestione dei rifiuti solidi urbani. Tuttavia non concordo con l’affermazione di cui sopra perchè un impianto industriale che emette anidride carbonica, la rilascia nell’ambiente in maniera concentrata (cioè l’emissione avviene dalle ciminiere) e dunque sottopone il territorio in cui è installato ad un notevole “stress” legato al fatto che c’è una grossa quantità di inquinante che viene rilasciata in un’area relativamente circoscritta. Se invece la stessa quantità fosse rilasciata su un’area infinitamente più grande, come avverrebbe se le sostanze organiche componenti la biomassa subissero svariati destini invece che essere concentrati nell’impianto,, allora la concentrazione sarebbe molto più bassa e l’impatto ambientale trascurabile. Per rendere meglio l’idea (e alleggerire un attimo la discussione) è come fare la pipì in un vaso o farla nell’oceano atlantico: la quantità di pipì è la stessa, ma se viene fatta a mare chi se ne accorge?”.
Secondo lei potrebbe trattarsi dell’ennesimo affare politico, prioritario alla salute dei cittadini?
“Per quanto riguarda la salute dei cittadini il discorso l’ho già affrontato prima: se tutto viene esercito seguendo scrupolosamente la legge allora l’impatto ambientale (e dunque i rischi per la salute dei cittadini) vengono ridotti al minimo possibile. Altrimenti, se l’impianto non è costruito ed esercito a norma di legge o se chi controlla fa “finta di non vedere” alcune mancanze è chiaro che si mettere a repentaglio l’incolumità pubblica”.
Quali sono i costi di un impianto?
“I costi di un tale tipo di impianto dipendono da molteplici fattori, legati sia alla sezione dell’impianto relativa alla lavorazione delle biomasse sia alla taglia, cioè alla potenza elettrica e termica che si prevede di produrre. Diciamo che grossomodo l’investimento dovrebbe aggirarsi, come ordine di grandezza, su qualche centinaio di migliaia di euro. Questi impianti sono buoni perché consentono di utilizzare i rifiuti che quindi si trasformano da problema a risorsa, però i rendimenti (cioè il rapporto tra energia prodotta ed energia consumata) sono bassi, dunque dal punto di vista strettamente energetico non sono molto validi. Tuttavia sono economicamente remunerativi poiché rientrano nel campo delle energie rinnovabili e quindi godono di tutti i vantaggi economici previsti dalla legge”.
SiciliaInformazioni.com, 05 luglio 2013

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