Impianto biogas |
di Margherita Ingoglia
Un impianto a biomassa nel comune diMontevago.
E’ questa l’iniziativa presentata agli amministratori e ai consiglieri comunali
dal sindaco del comune, Calogero Impastato. Il progetto, visibile
sul sito del comune di Montevago, avrebbe un bacino d’utenza pari a 120.000
abitanti includendo nove paesi dell’hinterland, tra cui Montevago, Sambuca,
Sciacca, Santa Margherita, Menfi, Castelvetrano, Salaparuta, Poggioreale,
Partanna, per la realizzazione di un impianto a biomassa e la produzione di
energia elettrica nel territorio del comune agrigentino. Prima del via libera
però, il primo cittadino Calogero impastato, ha comunicato che saranno
organizzate assemblee per il coinvolgimento della cittadinanza, Tra comitati favorevoli e opinioni
contrarie, abbiamo cercato di capire meglio cos’è un impianto a biomasse,
intervistando il dottor Gaetano Bongiovì, ingegnere nucleare
dell’Università di ingegneria energetica e nucleare di Palermo.
Cos’è un impianto a biomasse?
“Con il termine “biomassa” si intende la frazione biodegradabile dei
rifiuti e degli scarti di origine biologica provenienti dall’industria
agro-alimentare (compresa la pesca, gli allevamenti, la macellazione e le
attività forestali) e la frazione biodegradabile dei rifiuti industriali e
urbani, compresi i prodotti di scarto della depurazione delle acque reflue
urbane ed industriali. Dalla biomassa viene ottenuto, attraverso un processo
chimico detto “compostaggio” oppure tramite un altro processo chimico detto
“digestione anaerobica”, il cosiddetto “biogas” che non è altro che una miscela
di gas (composta all’incirca per il 60 % da metano e per il 40 % da anidride
carbonica) che viene utilizzata come combustibile in un impianto per la
produzione di energia elettrica e di calore. L’impianto a biomasse è dunque
quell’impianto industriale nel quale le biomasse vengono accumulate,
trasformate in biogas e nel quale avviene la produzione di energia elettrica e
termica attraverso la combustione del biogas”.
Quali caratteristiche deve avere un
territorio per poter ospitare una centrale?
“In linea di massima il territorio che ospita un impianto a biomasse non
deve avere alcuna peculiarità specifica oltre a quelle che normalmente sono
richieste per una comune installazione industriale per la produzione
dell’energia elettrica”.
Perché in Sicilia non ne abbiamo ancora
una?
“Non c’è un motivo tecnico o tecnologico particolare per cui in Sicilia,
fino ad oggi, non è stato costruito alcun impianto a biomasse. Probabilmente si
è preferito puntare su altre fonti di energia, come ad esempio il fotovoltaico,
il solare termico e l’eolico, in virtù della maggiore convenienza economica,
facilità di installazione e di esercizio degli impianti che utilizzano tali
fonti. Inoltre, dal punto di vista della percezione dell’opinione
pubblica, l’impianto a biomasse (che concettualmente non differisce molto da un
termovalorizzatore) è meno appetibile rispetto ad un impianto eolico o
fotovoltaico. Secondo me è stato questo il reale motivo che ha frenato lo
sviluppo degli impianti a biomasse, quantomeno in Sicilia”.
Quali sono i vantaggi, ecologici e per
l’economia locale, di avere un impianto di questo tipo?
“I vantaggi per l’economia locale potrebbero essere molteplici, se non
altro quelli legati alla disponibilità di posti di lavoro, diretti e legati
all’indotto industriale che si verrebbe a creare, che si renderebbero
disponibili durante tutte le fasi della costruzione e dell’esercizio
dell’impianto. Un altro vantaggio considerevole potrebbe essere quello di avere
a disposizione una via alternativa a quelle usuali per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani (in particolar modo della loro frazione organica), che di
fatto verrebbero trasformati in “combustibile” per l’impianto a biomasse invece
che essere ammassati nelle discariche. Questo di riflesso porterebbe ad una
messa in pratica della raccolta differenziata dei rifiuti in maniera ancora più
intensiva. Infatti se un impianto a biomasse venisse costruito nel nostro
territorio dubito fortemente che si possa assistere ad una conversione dei
terreni dalle colture tradizionali a quelle cosiddette “energetiche”, cioè
quelle colture che hanno come prodotto finale una certa classe di vegetali che
ha un’elevata resa in biogas. Dunque la grande parte delle biomasse impiegate
per la produzione del biogas sarebbe costituita dalla cosiddetta FORSU
(Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano)”.
Esistono svantaggi?
“Gli svantaggi connessi ad un tale tipo di impianto sono, come è facile
immaginarsi, quelli connessi alle scorie (cioè gli scarti della lavorazione
delle biomasse quando queste vengono trasformate in biogas) e alle emissioni.
Il problema è sempre il solito, come la cronaca nazionale ci ha mostrato, ad
esempio, nel caso dell’ILVA di Taranto o del petrolchimico di Gela: se
l’impianto viene esercito rispettando rigorosamente le normative in maniera di
emissioni (sia di sostanze gassose che di particolato e metalli pesanti) e di
smaltimento delle scorie allora l’impatto ambientale risultante sul territorio
si riduce al minimo possibile. Un altro possibile svantaggio è quello del
possibile sviluppo di cattivi odori, derivanti dalle sostanze gassose che si
liberano durante i processi chimici di trasformazione delle biomasse in biogas.
Anche per questo comunque, esistono soluzione tecnologiche facilmente
applicabili che, se messe in pratica, minimizzano anche questo aspetto”.
È vero che per far funzionare un impianto
a biomasse serve una quantità considerevole di legna, pari, possiamo dire, ad
un vero e proprio atto di disboscamento? Sarebbe un controsenso tagliare gli
alberi per produrre energia pulita.
“Non è vero che per far funzionare un impianto a biomasse serve una
quantità considerevole di legna. Infatti la legna è solo una delle tantissime
componenti delle biomasse che, nella maggior parte dei casi, sono costituite da
FORSU o da cereali coltivati ad hoc per essere trasformati in biogas. Sotto
quest’ottica si inquadra anche l’affermazione che l’energia elettrica e termica
prodotta utilizzando come fonte le biomasse è “pulita”, dal momento che
l’anidride carbonica generata durante la combustione del biogas è la stessa che
i composti organici hanno assorbito durante la loro vita e che, quindi,
rilascerebbero ugualmente nell’atmosfera durante la loro decomposizione post
mortem. Personalmente giudico quest’ultima affermazione decisamente fuorviante
e messa in circolo solamente per consentire di poter annoverare gli impianti a
biomasse nell’ambito delle “energie pulite” consentendo a questi (e ai loro
proprietari) l’accesso ad una serie di benefici economici di cui altrimenti non
potrebbero godere e una maggiore considerazione da parte dell’opinione
pubblica. Fermo restando che a mio parere gli impianti a biomasse sono
convenienti per molteplici aspetti, legati essenzialmente alla possibilità di
una migliore gestione dei rifiuti solidi urbani. Tuttavia non concordo con
l’affermazione di cui sopra perchè un impianto industriale che emette anidride
carbonica, la rilascia nell’ambiente in maniera concentrata (cioè l’emissione
avviene dalle ciminiere) e dunque sottopone il territorio in cui è installato
ad un notevole “stress” legato al fatto che c’è una grossa quantità di
inquinante che viene rilasciata in un’area relativamente circoscritta. Se
invece la stessa quantità fosse rilasciata su un’area infinitamente più grande,
come avverrebbe se le sostanze organiche componenti la biomassa subissero
svariati destini invece che essere concentrati nell’impianto,, allora la
concentrazione sarebbe molto più bassa e l’impatto ambientale trascurabile. Per
rendere meglio l’idea (e alleggerire un attimo la discussione) è come fare la
pipì in un vaso o farla nell’oceano atlantico: la quantità di pipì è la stessa,
ma se viene fatta a mare chi se ne accorge?”.
Secondo lei potrebbe trattarsi
dell’ennesimo affare politico, prioritario alla salute dei cittadini?
“Per quanto riguarda la salute dei cittadini il discorso l’ho già
affrontato prima: se tutto viene esercito seguendo scrupolosamente la legge
allora l’impatto ambientale (e dunque i rischi per la salute dei cittadini)
vengono ridotti al minimo possibile. Altrimenti, se l’impianto non è costruito
ed esercito a norma di legge o se chi controlla fa “finta di non vedere” alcune
mancanze è chiaro che si mettere a repentaglio l’incolumità pubblica”.
Quali sono i costi di un impianto?
“I costi di un tale tipo di impianto
dipendono da molteplici fattori, legati sia alla sezione dell’impianto relativa
alla lavorazione delle biomasse sia alla taglia, cioè alla potenza elettrica e
termica che si prevede di produrre. Diciamo che grossomodo l’investimento
dovrebbe aggirarsi, come ordine di grandezza, su qualche centinaio di migliaia
di euro. Questi impianti sono buoni perché consentono di utilizzare i rifiuti
che quindi si trasformano da problema a risorsa, però i rendimenti (cioè il
rapporto tra energia prodotta ed energia consumata) sono bassi, dunque dal
punto di vista strettamente energetico non sono molto validi. Tuttavia sono
economicamente remunerativi poiché rientrano nel campo delle energie
rinnovabili e quindi godono di tutti i vantaggi economici previsti dalla
legge”.
SiciliaInformazioni.com, 05 luglio 2013
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