Domenico Mogavero e Mariano Agate |
Il vescovo di Mazara risponde alla vedova
di Mariano Agate sui funerali negati al boss: "Il pentimento intimo non
basta"
Il problema sollevato dalla moglie di Mariano Agate non chiama in causa il
Vescovo di Mazara del Vallo, ma la comunità cristiana in quanto tale. E la prassi, ormai
diffusa e consolidata di negare le esequie ecclesiastiche ai condannati per
delitti di mafia (gli organi di informazione ne hanno dato vasta eco negli
ultimi mesi), è il punto di arrivo di un percorso di maturazione religiosa e
pastorale, considerata l’assoluta
incompatibilità di tali delitti con i
principi evangelici e il magistero della Chiesa. Nel caso in questione,
il rifiuto delle esequie al marito della signora, più volte condannato con
sentenza definitiva per delitti di mafia, non ha avuto alcuna forma di
esposizione mediatica, come comprova il fatto che di esso non è stata data
alcuna forma di pubblicità. Esso è stato comunicato direttamente alla
famiglia per il tramite di un sacerdote. Tale provvedimento è giustificato
dalla natura dei peccati (delitti) di cui il defunto si era reso colpevole;
peccati che non sono stati annullati dall’unzione degli infermi a lui
conferita. Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Molti
peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad
esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato
calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige» (n. 1459), la
giustizia di Dio, non solo la giustizia degli uomini. In più, la riparazione
del danno non è un semplice atto di pentimento, ma un vero e proprio cammino di
conversione che impone il rifiuto dei comportamenti peccaminosi, nella stessa
forma pubblica con la quale tali atti sono stati compiuti. Il pentimento intimo
non basta. «La penitenza che il confessore impone deve tener conto della
situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve
corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati
commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di
misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in
sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo
portare» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1460). E tutto questo non
trasforma il peccatore in un collaboratore di giustizia, ma lo rende uomo
purificato e riconciliato, che ha espiato adeguatamente i suoi peccati. In ogni
caso, non si accosti il Beato Puglisi, che ha dato la propria vita per
sconfiggere la mafia e il disprezzo di essa per la vita, a un uomo condannato
per omicidi e strage.
* L'autore è vescovo di Mazara del Vallo
LiveSicilia.it, Martedì 09 Luglio 2013
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