È appena
uscita in libreria, per le «Edizioni di storia e studi sociali», nella collana
«Questioni storiche» diretta dal saggista Carlo Ruta, una nuova edizione
dell’opera principale di Leopoldo Franchetti, l’inchiesta in Sicilia del 1876,
con un approccio particolare, che sollecita a rileggere il lavoro dello
studioso toscano. Lo storico francese Jacques de Saint Victor, nell’introdurre
l’opera, propone infatti una tesi inedita, argomentando che l’analisi di
Franchetti sulla mafia, elaborata con le più raffinate metodologie sociologiche
dell’epoca, risulta, a conti fatti, strutturalmente omologa a quella della
democrazia di Alexis de Tocqueville. Si tratterebbe in sostanza di due facce
della stessa medaglia, o addirittura dello stesso oggetto di studio passato al
vaglio da prospettive differenti. Scrive Saint Victor: «Tocqueville analizza, a
partire dagli Stati Uniti, la nascita e lo sviluppo di un fenomeno che andava
consolidandosi in maniera ineluttabile. Franchetti, al contrario, studia, a
partire dalla Sicilia, un’altra forma di democratizzazione, molto più
inquietante, quella che egli chiama “la democratizzazione della violenza”, che
alcuni avrebbero potuto credere limitata alla società meridionale arretrata, e
che purtroppo presenta oggi una scottante attualità perché queste derive
mafiose tendono a diffondersi nell’economia mondializzata». Lo storico francese
conclude: «In fondo si potrebbe dire che si tratti di due intellettuali della
democrazia: uno, Tocqueville, analizza come questa si conquista, mentre
l’altro, Franchetti, studia come si perde o perché costituisce solo un
involucro».
Alla sua
uscita, nel 1877, l’inchiesta di Leopoldo Franchetti, Condizioni politiche e
amministrative della Sicilia, puntata soprattutto sulle situazioni storiche
e sociali che avevano generato la mafia e i ritardi dell’isola, non suscitò
molti entusiasmi nell’opinione pubblica. Giornali e notabili siciliani, in
particolare, accusarono l’autore di pregiudizi contro la loro terra. Ma
l’intellettuale toscano ricordava che aveva portato a termine quell’impegno
proprio perché i siciliani potessero usufruire un giorno della pace civile di
cui godevano altri italiani del continente. Dalla sua straordinaria inchiesta
egli non trasse vantaggi significativi. La sua carriera, sul piano politico, fu
in fondo modesta se comparata con quella del suo amico e collaboratore Sydney
Sonnino, che divenne presidente del Consiglio. Ma le sue riflessioni sono divenute
una pietra miliare negli studi sul fenomeno mafioso, e tanto più oggi rivelano
la loro lungimiranza.
In un’epoca
in cui le analisi di Tocqueville sulla democrazia americana appaiono indebolite
dalle derive oligarchiche di questa nazione, la lucida analisi dello studioso
italiano – osserva Saint Victor – non sembra più in sintonia con un mondo
soggetto a derive mafiose che appaiono inarrestabili? Da decenni si parla di
«meridionalizzazione» del Nord, per sottolineare l’importanza crescente assunta
dal «modello siciliano». In realtà, sembra proprio che ovunque valga la triste
legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia sempre quella buona. Se Tocqueville
fu allora il profeta del secolo americano, Franchetti non fu, per certi versi,
il profeta delle derive criminali del nostro tempo?
Questa
edizione è intesa a sottolineare allora l’attualità di quel lavoro di analisi,
che, malgrado l’indubbio interesse di cui gode da parte degli studiosi dei
fenomeni mafiosi, rimane ancora oggi confinato, in una certa misura, negli
archivi delle letterature ottocentesche sulle condizioni della Sicilia. E
proprio per rimarcare quest’attualità strategica e l’importanza di nuovi
approcci conoscitivi e analitici, il testo è corredato di un’ampia postfazione
del criminologo parigino Jean-François Gayraud, sulle condotte criminali del
capitalismo nel tempo della globalizzazione. Scrive Gayraud: «L’opera del
barone Leopoldo Franchetti è unica per la sua chiaroveggenza in un periodo in
cui la mafia appena baluginava nella conoscenza pubblica. La pertinenza delle
analisi di questo studioso sarà compresa in definitiva soltanto dopo un secolo,
dopo il 1980, con le inchieste del magistrato Giovanni Falcone». Sono
argomentati quindi i processi economici e sociali che, nel mondo odierno, fanno
assumere ai fenomeni criminali caratteri sistemici. «Il crimine organizzato –
esordisce il criminologo francese – è stato a lungo una questione un po’
marginale e periferica, tale da meritare solo un trattamento giornalistico,
attraverso notizie più o meno sensazionali, e l’intervento solo repressivo e
mirato dello Stato. Quest’epoca è passata, o almeno dovrebbe esserlo. Il
crimine organizzato si è introdotto infatti nel cuore stesso delle società
contemporanee, fino a diventare una questione di dimensione geopolitica e,
insieme, macroeconomica».
Antonella
Genuardi
Leopoldo
Franchetti, La Sicilia nel 1876. Le condizioni politiche e amministrative,
introduzione di Jacques de Saint Victor, postfazione di Jean-françois Gayraud,
Edizioni di storia e studi sociali, Palermo, 2013, pp. 328, euro 18,00.
Nessun commento:
Posta un commento