Nino Rocca |
di NINO ROCCA*
C’è una città della disperazione popolata da uomini, donne, bambini, emigrati che non hanno più una casa, un lavoro, e si aggirano per la città come fantasmi. Accanto a loro ci sono gli angeli della notte e del giorno, anch’essi invisibili, che non salgono sui palchi d’onore in occasione delle grandi celebrazioni, sono loro la flebile speranza di chi si aggrappa ad un debole e fragile salvagente in un mare in burrasca.
C’è Salvatore, un venditore ambulante di libri usati che, dopo avere vissuto 9 mesi in macchina, trova rifugio in una scuola abbandonata e lì si consuma, nella disperazione, il dramma di un rapporto con il suo compagno, anch’egli senza casa e votato al vagabondaggio.
C’è una città della disperazione popolata da uomini, donne, bambini, emigrati che non hanno più una casa, un lavoro, e si aggirano per la città come fantasmi. Accanto a loro ci sono gli angeli della notte e del giorno, anch’essi invisibili, che non salgono sui palchi d’onore in occasione delle grandi celebrazioni, sono loro la flebile speranza di chi si aggrappa ad un debole e fragile salvagente in un mare in burrasca.
C’è Salvatore, un venditore ambulante di libri usati che, dopo avere vissuto 9 mesi in macchina, trova rifugio in una scuola abbandonata e lì si consuma, nella disperazione, il dramma di un rapporto con il suo compagno, anch’egli senza casa e votato al vagabondaggio.
C’è Fabio il tunisino che spesso mi telefona e mi parla di suo figlio, a cui non può dare da mangiare perché non ha un soldo e le provviste fornite dalla caritas sono terminate.
Ci sono le famiglie composte di giovani coppie che si aggirano, con i loro bambini, per la città, in cerca di un edificio abbandonato da occupare per avere un tetto sopra la testa.
C’è Marcella, una donna sola, separata dal marito che non sa dove sbattere la testa per trovare un piccolo rifugio per sopravvivere.
Ci sono due ragazze madri nigeriane che vivono, con i loro bambini in età prescolare, in una piccolissima stanza dove c’è di tutto, il grande letto, la cucina e il gabinetto, e non sanno come sfamare i loro piccoli e temono di rivolgersi agli assistenti sociali per timore che tolgano loro i bambini….
Ci sono tanti ancora, le cui storie parlano di disperazione, e ci sono tante piccole ancore di salvezza che tengono accesi i piccoli lumicini della speranza in tanti cuori disperati e stanchi!
C’era Massimo che la scorsa estate, in preda alla ennesima depressione, non sapendo più dove sbattere la testa, l’ha fatta finita impiccandosi in una stanza di albergo, dove si era rifugiato con la sua famiglia.
E l’esercito degli angeli invisibili del giorno e della notte che non parla soltanto di legalità, ma soprattutto di diritto al lavoro e alla casa.
Noi che operiamo nella città della disperazione ci sentiamo spesso invisibili come lo erano don Pino Puglisi o don Gallo, preti di strada, interlocutori degli ultimi, dei disperati, nella loro oppressiva povertà ed emarginazione.
Siamo noi, a cui spesso si nega anche una sala per riunirsi con le famiglie dei senza casa, perché non siamo né Laura Boldrini, a cui va il nostro affetto e la nostra stima, né Piero Grasso in visita al Comune di Palermo, ma gli operatori in prima linea che dialogano con gli esclusi di questa città e tengono viva la fiammella della speranza.
Caro sindaco, questa città ha bisogno di un forte segnale di speranza, una speranza fatta di concrete realizzazioni che, al di là dell’emergenza, indichi un percorso di riscatto, che faccia intravedere la luce in fondo al tunnel della disperazione!
Questa speranza significa lavoro, cantieri edili che riescano a recuperare il grande centro storico di Palermo, ancora, in buona parte abbandonato, lavoro per rilanciare il turismo nella città con tutto l’indotto che ne deriva, piccolo commercio, e cultura, fatta di programmazione, di spettacoli, teatro, cinema, musica e arti visive, piccole imprese nate dalla creatività e innovazione dei tanti giovani laureati che non vogliono emigrare perché credono ancora nella loro città e nelle tante opportunità che il territorio e le risorse umane ci possono riservare.
Questa speranza significa dare a tutti i disperati una chance, dare un tetto per potere, in modo più sereno, dedicarsi a costruire la propria vita, un proprio lavoro.
Quanti edifici pubblici abbandonati, confiscati alla mafia, o di proprietà dello Stato o della Regione, restano a marcire in città, e quando le famiglie senza casa tentano di operare un auto-recupero, subito scatta, secondo il principio della legalità, lo sgombero forzato delle forze dell’ordine.
L’edificio abbandonato da anni, resterà a marcire ma a nessuno dei senza casa, si permetterà di auto-recuperarlo per renderlo utile alla comunità.
La risposta al problema della casa non può essere soltanto l‘emergenza né la repressione, occorre riaccendere la speranza ricostruendo un percorso assieme alle famiglie e con loro restituire un futuro ai loro bambini.
E’ questo il segnale di speranza che chiediamo a questa Amministrazione comunale con la quale abbiamo cominciato a collaborare sin dal primo giorno del suo insediamento e con la quale vorremmo esercitare il nostro ruolo di cittadinanza attiva e di democrazia partecipativa dal basso, in cui gli emarginati diventino soggetti attivi del loro riscatto.
Diamo loro questa chance, questa fiducia, questa opportunità e la speranza, in questa città, risorgerà!!!
Nino rocca
* del Comitato di lotta per casa 12 luglio
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