Comprendo
profondamente quello che i giovani vivono, e sono costernato, addolorato per
l’assenza di futuro cui sembrano condannati. Come faccio ad avere la
pretesa di sradicare questa assenza di futuro? I responsabili delle grandi
agenzie, dei grandi poteri, delle istituzioni sembrano interessati solo a
giovani che “servono”, che rinunciano alla loro coscienza critica, alla loro
autonomia, alla loro autogestione: il potere vuole solo giovani
ubbidienti. Ricordo che ero ancora al Carmine, ero amico di un taxista che
con molti sacrifici faceva studiare il figlio. Siamo negli anni Settanta, il
figlio si laurea brillantemente e partecipa a un concorso all’Eni arrivando
primo assoluto. Assunto immediatamente, rinuncia. Suo padre viene da me
disperato, aveva lavorato una vita, era riuscito a comprare una licenza da
taxista, per il figlio aveva fatto tutto quello che poteva.
Niente, tutto in
fumo. Perché? Volevo capire. Così ho incontrato quel ragazzo, abbiamo parlato,
gli ho chiesto come mai aveva rifiutato. Il concorso era basato solo su test,
bastava una crocetta, un sì o un no. Nessun margine. Nessuna libertà, nessun
confronto. Il ragazzo si è sentito uno strumento in mano di un ingranaggio
molto più grande di lui. Mi disse che dove aveva risposto sì ed era risultato
giusto, lui in realtà avrebbe messo un no, e via così. Ci ha ripensato e ha
rifiutato il posto. Come dargli torto. Adesso fa il ricercatore. Con i giovani
bisogna partire da questo assunto: condividiamo con voi l’assenza
di futuro. Mario Monicelli lo aveva capito, e secondo me si è suicidato
perché non aveva visto segni di rivolta. Ora i segni
cominciano a vedersi, sono minoranze anche se consistenti, ma quante volte i
giovani sono stati schiacciati. È un omicidio lento, troppi giovani studiano e
poi non hanno sbocchi. Marco Revelli chiama i giovani “scoraggiati
inattivi“: molti, dopo essere passati attraverso la delusione, la
disperazione, l’alienazione, sono scoraggiati. Inattivi: in Italia i giovani
che non lavorano superano di tre volte quelli dell’Europa, e il lavoro neanche
lo cercano. Allora ci vuole una rottura e può essere necessario anche uscire
dalla legalità, quella del potere, per entrare nell’illegalità non violenta. È
certo che chi fa una scelta così deve essere pronto ad accettarne le conseguenze. Socrate
venne accusato di istigare i giovani alla illegalità. Anche
io l’ho fatto e per questo sono stato denunciato: avevo partecipato
all’occupazione di una vecchia scuola, un posto bellissimo. Che male c’era? Non
abbiamo abbattuto niente, abbiamo valorizzato un luogo abbandonato e lo abbiamo
utilizzato. Naturalmente con i giovani devi essere trasparente, devi proporre
esempi, non bastano le parole. C’è un teologo che continua a dire che la fede
viene prima dell’etica, ma è nel comportamento coerente con gli insegnamenti di
Gesù che si può sperimentare la fede. Ricordo che ero già in noviziato e una
delle parabole del mio insegnante diceva: “Timeo Jesum transeuntem”, temo il
passaggio di Gesù. Poi ci faceva guardare un quadro dove c’era una porta e ci
diceva: guardate bene la porta, cosa ne dite? Non aveva serratura, quindi uno
dal di fuori non poteva entrare, neanche se aveva le chiavi. “Significa che
Gesù passa, ma se tu non apri, è inutile!”. Ecco perché quel vescovo del
Brasile aveva scritto sulla facciata della sua chiesa: caro
cristiano, tu che stai per entrare, sappi che il mondo si divide in oppressori
e oppressi. Tu da che parte stai?
Bisogna
ricordare cosa scrisse Antonio Gramsci nel ’19, il suo richiamo contro
l’indifferenza e l’urgenza di scegliere da che parte stare. I giovani ci
provano, stanno lavorando, elaborando proposte concrete, coerenti e
costruttive, stanno arrivando alla scelta epocale della non violenza. E questo
sta accadendo in tutto il mondo. È “un fiume che avanza” e che ha cominciato il
suo lento cammino già dieci anni fa al G8 di Genova, quando i giovani hanno
posto una domanda importante: “Signori del G8 – hanno gridato
– non vi sembra che sia una cinica pretesa venirci a dire che l’unico mondo
possibile è il vostro?”. Oggi c’è una crisi che non è
politica, ma di sistema. I giovani sanno che è di lunga durata e che bisogna
costruire un tessuto nuovo. È faticoso, ma anche entusiasmante, e noi non
possiamo deluderli. La mia bussola è la Costituzione,
l’articolo 3 in cui si parla della differenza tra previdenza e assistenza,
della tutela della parità della donna lavoratrice, del lavoro minorile, della
sicurezza sul lavoro: questa è la legalità da difendere. Qualche mese fa ero a
Piombino per un incontro sul drammatico tema dei morti sul lavoro, e in
quell’occasione abbiamo riletto l’articolo: “Tutti i cittadini – recita – hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”. Be’, allora, chi è che non ha rispetto della legalità? Chi
disattende la Costituzione o chi protesta perché la Costituzione viene
disattesa? È ora che i partiti capiscano quale ruolo dà loro la Costituzione e
non mettano il cappello ai movimenti. La nostra è una Res publica, è
di tutti. A partire dai giovani che devono essere
coinvolti in prima persona nel processo di rinnovamento di questa democrazia e
di difesa della Costituzione. La Costituzione è stata fatta per i giovani, per
tutti i giovani che verranno.
Tratto dal libro di Don Gallo “Se non ora adesso”, la “Lettera ai giovani.
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