Marcello Dell'Utri |
Dieci gli imputati da domani nell'aula bunker del
carcere Pagliarelli di Palermo: tra gli altri Riina, Dell'Utri, Mancino,
Mori e Ciancimino. Anche Napolitano e Grasso tra i 178 testimoni
chiamati dalla Procura
PALERMO - Prenderà il via domani
nell'aula bunker del carcere palermitano Pagliarelli, davanti ai giudici
della Corte d'assise, il processo sulla trattativa tra lo Stato e la
mafia. Dieci gli imputati: i capimafia Totò Riina, Leoluca Bagarella,
Antonino Cinà, ex politici come Marcello Dell'Utri e Nicola Mancino, gli
ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno,
il pentito Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino.
Tranne Ciancimino, che veste i panni del testimone e dell'imputato, ed è accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, per gli altri le accuse sono di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Inizialmente il processo venne chiesto anche per il boss Bernardo Provenzano e per l'ex ministro Calogero Mannino. La posizione del padrino di Corleone, però, è stata stralciata e pende ancora davanti al gup perché, per i periti, il capomafia non è in grado di partecipare coscientemente al processo. Mannino, invece, ha scelto l'abbreviato.
Il rinvio a giudizio fu disposto il 7 marzo dal gup Piergiorgio Morosini. La storia della trattativa, come il giudice la raccontò nel suo provvedimento, parte dalle aspettative deluse sul maxiprocesso, con la conferma degli ergastoli ai vertici dei clan. Da qui il tentativo di Cosa nostra di chiudere i conti con chi riteneva responsabile di quella debacle giudiziaria e la ricerca di nuovi referenti politici. La mafia avrebbe cercato di condizionare le istituzioni con le stragi e stringere alleanze con massoneria deviata, frange della destra eversiva, gruppi indipendentisti, per dare vita a un piano eversivo condotto a colpi di attentati rivendicati dalla Falange Armata.
Il primo atto del progetto sarebbe stato l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima. Poi arrivò l'allarme attentati a una serie di politici. E qui sarebbe entrato in gioco l'ex ministro Calogero Mannino che, per salvarsi la vita, attraverso il capo del Ros Antonio Subranni, avrebbe stimolato l'inizio di una trattativa.
La storia sarebbe proseguita con i contatti tra gli ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, il papello con le richieste del boss Totò Riina per fare cessare le stragi, l'ingresso nella trattativa del capomafia Bernardo Provenzano. Il dialogo avrebbe dato i suoi frutti con la decisione dello Stato, nel 1993, di revocare oltre 334 41-bis.
Ma l'ammorbidimento della linea sul regime carcerario non sarebbe bastato ai boss e la trattativa sarebbe proseguita con altri protagonisti, come Dell'Utri "portatore" della minaccia mafiosa a Silvio Berlusconi che di lì a poco sarebbe diventato premier. Nella storia entra anche l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino: avrebbe detto il falso negando di avere saputo dall'allora guardasigilli Claudio Martelli dei contatti tra il Ros e Ciancimino. "Mai fatta falsa testimonianza", ha sempre replicato l'ex politico Dc.
A sostenere l'accusa in giudizio saranno il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. La Procura ha citato 178 testimoni tra i quali il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Piero Grasso.
Tranne Ciancimino, che veste i panni del testimone e dell'imputato, ed è accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, per gli altri le accuse sono di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Inizialmente il processo venne chiesto anche per il boss Bernardo Provenzano e per l'ex ministro Calogero Mannino. La posizione del padrino di Corleone, però, è stata stralciata e pende ancora davanti al gup perché, per i periti, il capomafia non è in grado di partecipare coscientemente al processo. Mannino, invece, ha scelto l'abbreviato.
Il rinvio a giudizio fu disposto il 7 marzo dal gup Piergiorgio Morosini. La storia della trattativa, come il giudice la raccontò nel suo provvedimento, parte dalle aspettative deluse sul maxiprocesso, con la conferma degli ergastoli ai vertici dei clan. Da qui il tentativo di Cosa nostra di chiudere i conti con chi riteneva responsabile di quella debacle giudiziaria e la ricerca di nuovi referenti politici. La mafia avrebbe cercato di condizionare le istituzioni con le stragi e stringere alleanze con massoneria deviata, frange della destra eversiva, gruppi indipendentisti, per dare vita a un piano eversivo condotto a colpi di attentati rivendicati dalla Falange Armata.
Il primo atto del progetto sarebbe stato l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima. Poi arrivò l'allarme attentati a una serie di politici. E qui sarebbe entrato in gioco l'ex ministro Calogero Mannino che, per salvarsi la vita, attraverso il capo del Ros Antonio Subranni, avrebbe stimolato l'inizio di una trattativa.
La storia sarebbe proseguita con i contatti tra gli ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, il papello con le richieste del boss Totò Riina per fare cessare le stragi, l'ingresso nella trattativa del capomafia Bernardo Provenzano. Il dialogo avrebbe dato i suoi frutti con la decisione dello Stato, nel 1993, di revocare oltre 334 41-bis.
Ma l'ammorbidimento della linea sul regime carcerario non sarebbe bastato ai boss e la trattativa sarebbe proseguita con altri protagonisti, come Dell'Utri "portatore" della minaccia mafiosa a Silvio Berlusconi che di lì a poco sarebbe diventato premier. Nella storia entra anche l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino: avrebbe detto il falso negando di avere saputo dall'allora guardasigilli Claudio Martelli dei contatti tra il Ros e Ciancimino. "Mai fatta falsa testimonianza", ha sempre replicato l'ex politico Dc.
A sostenere l'accusa in giudizio saranno il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. La Procura ha citato 178 testimoni tra i quali il capo dello Stato Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Piero Grasso.
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