di SALVO PALAZZOLO
Dal carcere era stato nominato un
capomafia per riorganizzare i clan: in cinque mesi ha formato una supercosca in
provincia. I carabinieri l’hanno smantellata questa notte. Arrestato il sindaco
di Montelepre, la città diventata famosa per il bandito Giuliano: è accusato di
essersi accordato con un boss. Il capomafia di Giardinello lasciava invece il
telefonino acceso per farsi bello con l'amante: così i carabinieri hanno
ascoltato in diretta i suoi colloqui riservati con alcuni politici
Il mandato era arrivato direttamente dai gironi del 41 bis: i
rappresentanti storici del governo di Cosa nostra siciliana avevano nominato un
super saggio per riformare l’organizzazione mafiosa. Il prescelto ha lavorato
cinque mesi, ha ridisegnato la struttura delle cosche nella provincia di
Palermo, accorpando mandamenti e spostando famiglie. Come fosse un manager alle
prese con la riorganizzazione di un’azienda che deve tagliare costi inutili e
ridare efficienza alla macchina, in questi ultimi anni fiaccata da arresti e
sequestri. Quel “saggio” si chiama Antonino Sciortino, ha 51 anni,
ufficialmente è un allevatore di Camporeale: era tornato in libertà nel 2011,
dopo dodici anni trascorsi al carcere duro senza mai rispondere a una sola
domanda dei magistrati. I carabinieri del nucleo Investigativo del Gruppo di
Monreale e i magistrati di Palermo l’hanno seguito per un anno e mezzo, così
sono riusciti ad entrare dentro gli ultimi segreti dell'organizzazione mafiosa.
Sciortino è stato arrestato questa mattina, insieme ad altre 36 persone, il
nuovo gotha criminale della provincia palermitana. Facevano affari, alcuni di
loro avrebbero anche realizzato un omicidio, per far tacere una voce che si
ribellava al piano di risanamento criminale del super saggio. Le microspie
hanno ascoltato uno dei presunti assassini di Giuseppe Billitteri mentre si
prepara: "Pigliami due, tre lacci... Due tre lacci puliti prendimi".
Solo qualche ora dopo si è capito a cosa servivano quelle corde. A strangolare
un uomo.
Il sindaco di Montelepre
I pubblici ministeri Francesco del Bene, Sergio Demontis e Daniele Paci hanno chiesto e ottenuto l’arresto non solo per i boss, ma anche per un insospettabile. E' il sindaco di Montelepre, il paese divenuto celebre per le gesta del bandito Salvatore Giuliano: Giacomo Tinervia è finito in carcere con l'accusa di estorsione e concussione. Sono state le intercettazioni ad incastrarlo. Ma i carabinieri non seguivano lui, piuttosto il capomafia del paese, Giuseppe Lombardo, fra gli arrestati del blitz. Lombardo non aveva segreti per i suoi uomini: raccontava tutto, e non immaginava di farlo davanti a una microspia. Un giorno raccontò pure di quando aveva scoperto la mazzetta intascata dal sindaco. La vittima era l’imprenditore che si era aggiudicato l’appalto per ristrutturare la palestra del paese. Il capomafia rimproverò aspramente il primo cittadino, Giacomo, "Giacomino", Tinervia. Perchè la prima mazzetta spettava a Cosa nostra.
Ecco come il capomafia ricordava quel giorno: “Che è Giacomino? Quanto ti sei fottuto? Minchia ma io… Quanto ti sei fottuto tu? Dice, ma che c’entra. Giacomino, allora non lo hai capito, quanto ti sei fottuto tu? Giusè, dice, che in tutto il lavoro mi può dare sei, settemila euro? Ah, lo hai messo a posto tu? Ma che c’entra, io poi te li facevo avere. Giacomino, me li facevi avere che? Gli ho detto, duemila euro? Dice, quelli che restavano. Quelli che restavano? Gli ho detto, ventimila euro voglio”.
Così, dopo il rimprovero del boss, il sindaco avrebbe fatto da intermediario con l’imprenditore, per non scontentare Cosa nostra. E l’imprenditore pagò anche il pizzo, 20 mila euro. Il sindaco aveva già intascato 7 mila euro. Tinervia ha un passato di militanza nel movimento di Gianfranco Miccichè, alle ultime elezioni regionali è stato candidato con Fli.
I nomi dei 37 arrestati
"Abbiamo bloccato in tempo il tentativo di riorganizzazione di Cosa nostra - dice il tenente colonnello Pierluigi Solazzo, il comandante del Gruppo di Monreale - una perfetta sinergia fra carabinieri e magistratura ha consentito di cogliere tutti i segnali che arrivavano dal territorio".
Mafia e politica
I boss della provincia di Palermo erano corteggiatissimi dai politici. Emblematico quanto è accaduto a Giardinello: due candidati su tre alla poltrona di sindaco si sono rivolti al capomafia locale, Giuseppe Abbate, per avere il suo sostegno. Naturalmente, il boss si schierò con il più forte, Giovanni Geloso. Il giorno della sua elezione, il padrino telefonò soddisfatto all'amante: "Vedi che noialtri abbiamo fatto un figurone. Il botto noialtri lo abbiamo fatto, no loro".
Abbate amava farsi bello con l'amante, e quando andava in giro per il paese lasciava il telefonino acceso. Così da farle sentire i suoi discorsi di rispettato capomafia. Per i carabinieri del Gruppo di Monreale è stata un'occasione unica, così sono state documentate le relazioni inconfessabili di Cosa nostra. Un giorno, il boss rimproverò il consigliere comunale Vito Donato perchè aveva discusso dello spostamento di un candidato da una lista all'altra senza interpellarlo: "Vedi che si muore Vitù - esordi al telefono, mentre l'amante ascoltava il colloquio (e pure i carabinieri ascoltavano) - la politica non si fa così, la politica noialtri la dobbiamo fare giusta, precisa".
Anche un altro candidato a sindaco, Marcello Bommarito, avrebbe chiesto l'aiuto del padrino per la nuova tornata elettorale. Così diceva il capomafia in un altro imperdibile dialogo con l'amante per le strade del paese. Il sindaco uscente di Giardinello, Salvatore Polizzi, chiese invece aiuto al capomafia per sostenere il figlio, candidato al consiglio comunale: la sua voce è stata intercettata dai carabinieri. La posizione degli esponenti politici di Giardinello è adesso al vaglio della magistratura. Intanto, i loro nomi sono finiti nel provvedimento firmato dal gip Petrucci, che ha portato in carcere i capimafia della provincia.
(La Repubblica, 08 aprile 2013)
Il sindaco di Montelepre
I pubblici ministeri Francesco del Bene, Sergio Demontis e Daniele Paci hanno chiesto e ottenuto l’arresto non solo per i boss, ma anche per un insospettabile. E' il sindaco di Montelepre, il paese divenuto celebre per le gesta del bandito Salvatore Giuliano: Giacomo Tinervia è finito in carcere con l'accusa di estorsione e concussione. Sono state le intercettazioni ad incastrarlo. Ma i carabinieri non seguivano lui, piuttosto il capomafia del paese, Giuseppe Lombardo, fra gli arrestati del blitz. Lombardo non aveva segreti per i suoi uomini: raccontava tutto, e non immaginava di farlo davanti a una microspia. Un giorno raccontò pure di quando aveva scoperto la mazzetta intascata dal sindaco. La vittima era l’imprenditore che si era aggiudicato l’appalto per ristrutturare la palestra del paese. Il capomafia rimproverò aspramente il primo cittadino, Giacomo, "Giacomino", Tinervia. Perchè la prima mazzetta spettava a Cosa nostra.
Ecco come il capomafia ricordava quel giorno: “Che è Giacomino? Quanto ti sei fottuto? Minchia ma io… Quanto ti sei fottuto tu? Dice, ma che c’entra. Giacomino, allora non lo hai capito, quanto ti sei fottuto tu? Giusè, dice, che in tutto il lavoro mi può dare sei, settemila euro? Ah, lo hai messo a posto tu? Ma che c’entra, io poi te li facevo avere. Giacomino, me li facevi avere che? Gli ho detto, duemila euro? Dice, quelli che restavano. Quelli che restavano? Gli ho detto, ventimila euro voglio”.
Così, dopo il rimprovero del boss, il sindaco avrebbe fatto da intermediario con l’imprenditore, per non scontentare Cosa nostra. E l’imprenditore pagò anche il pizzo, 20 mila euro. Il sindaco aveva già intascato 7 mila euro. Tinervia ha un passato di militanza nel movimento di Gianfranco Miccichè, alle ultime elezioni regionali è stato candidato con Fli.
I nomi dei 37 arrestati
"Abbiamo bloccato in tempo il tentativo di riorganizzazione di Cosa nostra - dice il tenente colonnello Pierluigi Solazzo, il comandante del Gruppo di Monreale - una perfetta sinergia fra carabinieri e magistratura ha consentito di cogliere tutti i segnali che arrivavano dal territorio".
Mafia e politica
I boss della provincia di Palermo erano corteggiatissimi dai politici. Emblematico quanto è accaduto a Giardinello: due candidati su tre alla poltrona di sindaco si sono rivolti al capomafia locale, Giuseppe Abbate, per avere il suo sostegno. Naturalmente, il boss si schierò con il più forte, Giovanni Geloso. Il giorno della sua elezione, il padrino telefonò soddisfatto all'amante: "Vedi che noialtri abbiamo fatto un figurone. Il botto noialtri lo abbiamo fatto, no loro".
Abbate amava farsi bello con l'amante, e quando andava in giro per il paese lasciava il telefonino acceso. Così da farle sentire i suoi discorsi di rispettato capomafia. Per i carabinieri del Gruppo di Monreale è stata un'occasione unica, così sono state documentate le relazioni inconfessabili di Cosa nostra. Un giorno, il boss rimproverò il consigliere comunale Vito Donato perchè aveva discusso dello spostamento di un candidato da una lista all'altra senza interpellarlo: "Vedi che si muore Vitù - esordi al telefono, mentre l'amante ascoltava il colloquio (e pure i carabinieri ascoltavano) - la politica non si fa così, la politica noialtri la dobbiamo fare giusta, precisa".
Anche un altro candidato a sindaco, Marcello Bommarito, avrebbe chiesto l'aiuto del padrino per la nuova tornata elettorale. Così diceva il capomafia in un altro imperdibile dialogo con l'amante per le strade del paese. Il sindaco uscente di Giardinello, Salvatore Polizzi, chiese invece aiuto al capomafia per sostenere il figlio, candidato al consiglio comunale: la sua voce è stata intercettata dai carabinieri. La posizione degli esponenti politici di Giardinello è adesso al vaglio della magistratura. Intanto, i loro nomi sono finiti nel provvedimento firmato dal gip Petrucci, che ha portato in carcere i capimafia della provincia.
(La Repubblica, 08 aprile 2013)
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