A
loro la “malapasqua” non la può regalare nessuno: sono superpagati alla
faccia della crisi, della cinghia stretta, dei risparmi, dei costi
della politica e tutto il resto. Del resto non devono dare conto a
nessuno, ad eccezione del budget di casa loro. Sono i presidenti e amministratori delegati di società a maggiore capitalizzazione, grandi banche e assicurazioni,
imparentate queste ultime a doppio filo con gli istituti di credito in
un melting pot inestricabile e di difficile comprensione. Enrico Cucchiani, amministratore delegato di Intesa San Paolo,
si è portato a casa lo scorso anno, 2012, tre milioni di euro tondi.
Sei miliardi delle vecchie lire. Renato Pagliaro, presidente di Medio
Banca, si è accontentato di 2.596.000 euro, e l’amministratore delegato
dello stesso istituto di credito, gli è stato dietro di poco, con un
compenso di 2.469 mila euro.
Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo,
ha superato di poco il milione, al pari del presidente del consiglio di
gestione della stessa banca. Victor Messiah, consigliere delegato di
Ubi Banca, è riuscito a toccare la soglia del milione e mezzo di euro, e
non è affatto scontento di essere arrivato a tanto, supponiamo.
Quanto ai “parenti”, gli assicuratori, non se ne stanno certo a guardare:
Giovanni Perissinotto, ex amministratore delegato di Generali, ha
totalizzato il record, con undici milioni e mezzo di euro ottenuto nel
2012. L’ex amministratore delegato di generali, Sergio Balbinot, non
piange miseria: lo stesso hanno, ha incassato 4.267.000 euro, che è una
bella cifra.
Potremmo andare avanti così a lungo, ma il parterre ci sembra abbastanza rappresentativo,
riesce a farci capire come stiano effettivamente le cose e per quale
ragione, le priorità degli “sportelli” a cui imprenditori e famiglie si
rivolgo o per sbarcare il lunario, tengono a portata di mano il cartello
del “tutto esaurito”. Non c’è liquidità, per gli altri, perché il
denaro va investito al meglio, prelevandolo dalla Bce all’uno per cento e
passandolo nel conto corrente di una banca amica, denaro di scambio,
per farlo pesare di più e arrivare a tassi di interesse attivo del
quattro per cento da mettere nel budget di fine esercizio e percepire il
premio delle plus-valenze.
La metodologia sopra descritta, per grandi linee, non è legata ai nomi sopra indicati,
ognuno dei quali ha una storia personale e professionale, ma
costituisce il quadro di riferimento utile alla comprensione degli
eventi. La finanza detta l’agenda politica, economica e sociale del
Paese. Le banche fanno quel che vogliono, indisturbate, e decidono,
secondo parametri e protocolli accessibili solo agli addetti ai lavori,
della vita e della morte d’imprese e persone senza che da Bruxelles,
Roma o Palermo arrivi una parola, una sola, che si faccia sentire.
Il cappio è sempre pronto per chiunque: grazie a ciò si realizza un clima omertoso quasi perfetto,
un silenzio di tomba anche nei luoghi da cui dovrebbero arrivare
iniziative, denunce, sorveglianza assidua. Ci riferiamo, per esempio,
alle forze sociali, le rappresentanze degli imprenditori e lo stesso
sindacato, la cui impotenza nei confronti della finanza è ormai
proverbiale.
Non è necessario ricattare, basta mantenere un clima di estrema difficoltà
che non permetta ad alcuno di alzare la testa. Qualcuno può spiegarci
per quale ragione la controparte dei capitani d’industria, tanto per
fare un esempio, è il governo, il sindacato, i partiti e solo loro? Il
cuneo fiscale, le tasse che si mangiano tutto, l’efficienza dell’Agenzia
delle Entrate, la burocrazia, la lentezza della giustizia
amministrativa: tutto giusto, ma i cordoni della borsa ce l’hanno loro,
le banche, e sono tesorieri della pubblica amministrazione.
Sono le banche a fare il bello e il cattivo tempo,
anche quando dispongono di denaro a costo zero, come nel caso del
mitico progetto Jeremie che avrebbe dovuto fare partire una nuova
stagione delle innovazioni nelle imprese siciliane ed invece ha fatto un
flop totale. E che ci sia lo zampino, anzi la zampata, delle banche nel
flop è provato dalla circostanza, incontrovertibile che laddove la
regione ha affidato l’utilizzo dei fondi europei ai confidi, si è
sviluppato un ciclo virtuoso, come in Puglia, e laddove invece ci si è
affidati agli istituti di credito, come nell’Isola, non si è in vestito
quasi nulla a causa dei protocolli, le procedure e le priorità dei board
delle banche.
Dando uno sguardo ai compensi, ci si può fare un’idea delle priorità.
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