Il blocco motore della Fiat 126 |
Un teso
controesame della nipote del procuratore
aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, Cecilia Fiore, l’ ’apparizione’
del blocco motore della Fiat 126 in immagini girate il giorno della strage e
cercato invano nel corso dei vari processi sull’eccidio di via D’Amelio e la
visione delle immagini con l’allora capitano Giovanni Arcangioli con in mano la
borsa di pelle di Borsellino, hanno caratterizzato la terza udienza del
processo ‘Borsellino quater’. In apertura
di udienza la Corte d’assise ha dato atto della questione di legittimità
costituzionale dell’art.41-bis dell’ordinamento giudiziario sollevata
dall’imputato Salvatore Madonia, che ritiene violati tre articoli della
costituzione e le parti si sono riservate di interloquire.
Quindi è stata la
volta di Cecilia Fiore, la figlia di Rita Borsellino e nipote di Paolo,
chiamata dal procuratore Sergio Lari a deporre per ricordare alla Corte
d’assise presieduta da Antonio Balsamo, cosa accadde nei giorni precedenti la
strage del 19 luglio 1992. La teste ha riferito di aver notato per strada dei
fusti pieni di materiale per edilizia (che secondo l’accusa sarebbero stati
piazzati dagli attentatori per occupare il posto nel quale sarebbe stata poi
parcheggiata la Fiat 126 utilizzata come autobomba ndr.), ha spiegato i suoi
rapporti con la moglie di Salvatore Vitale (ora defunto, che i pm sospettano
possa aver avuto il ruolo di informatore) che faceva l’estetista e abitava
nello stesso stabile di via D’Amelio 19, e ha parlato della presenza di
operatori telefonici. Cecilia Fiore ha quindi ricordato l’ultima volta che vide
lo zio vivo: “L’ho incontrato il 18 luglio sotto casa e – ha detto – mi ha
preso in giro. Mi era venuta a prendere il mio fidanzato di allora e lui mi
disse scherzando: ‘chi è questo che ti viene a prendere con questa macchina
così vecchia?’”.
In sede di
controesame, alla teste l’avvocato Giuseppe Scozzola, patrono di parte civile
per conto di Gaetano Scotto, ha chiesto notizie sulle modalità del
riconoscimento effettuato dalla stessa, in questura a Palermo, di Pietro Scotto nell’ambito delle indagini del
primo processo Borsellino. In particolare l’avvocato Scozzola ha chiesto
notizie sulla presenza o meno del consulente Gioacchino Genchi. Cecilia Fiore,
infatti, nel corso delle indagini aveva affermato di aver visto Pietro Scotto
(fratello di Gaetano ndr) sul pianerottolo di casa mentre lavorava sui fili del
telefono. Nel primo processo Scotto venne condannato all’ergastolo, ma in
appello venne assolto dall’accusa di aver avuto un ruolo nella strage. Nel corso
del controesame, più volte la pubblica accusa si è opposta alle domande del
legale. La teste comunque ha riferito di non aver incontrato in Questura Scotto
prima del riconoscimento.
Poi sul
pretorio è salita Marta Fiore. Anche lei ha raccontato dei rapporti con
la moglie di Vitale, “era la mia estetista”, e poi di una notte in cui aveva
notato una persona dormire in auto in via D’Amelio e preoccupata aveva chiamato
lo zio. Lui per non far preoccupare i congiunti, risolse la questione
personalmente: “lui scese dall’auto, bussò sul finestrino dell’auto, l’uomo si
svegliò e andò via”.
Poi la
procura ha chiamato a deporre i propri consulenti, gli ispettori Michele
Mininni e Stefano Romano. I due, utilizzando le immagini registrate il
giorno della strage sono riusciti ad individuare il blocco motore che,
finora, non era stato ‘trovato’, smontando, di fatto, l’alone di mistero che
avvolgeva questa mancanza. Il blocco motore, infatti, era stato
repertato solo il giorno successivo e qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che
fosse stato ‘messo’ in via D’Amelio dopo la strage. L’analisi dei filmati,
inoltre, ha consentito di ricostruire i movimenti dell’allora capitano dei
carabinieri Giovanni Arcangioli (assolto dall’accusa di aver rubato l’agenda
rossa del magistrato ndr.). Nelle immagini si vede Arcangioli con la borsa del
magistrato in mano allontanarsi in direzione di via Autonomia Siciliana e poi
mentre è senza la borsa. L’ufficiale ha sempre detto di aver prelevato la borsa
sostenendo di averla consegnata ad alcuni magistrati che si trovavano in via
D’Amelio ed ha escluso di aver prelevato l’agenda. La Cassazione ha poi messo
la parola conclusiva sulla faccenda evidenziando che non c’era la prova che
l’agenda rossa si trovasse all’interno della borsa citando, fra l’altro, le
dichiarazioni dell’agente Antonio Vullo che ricordò di aver visto Borsellino
“con qualcosa sotto l’ascella” poco prima dell’esplosione.
Siciliainformazioni.com, 10 aprile
2013
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