mercoledì, aprile 10, 2013

Depongono le nipoti di Borsellino, i video della strage

Il blocco motore della Fiat 126
di Gianpiero Casagni
Un teso controesame della nipote del procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino, Cecilia Fiore, l’ ’apparizione’ del blocco motore della Fiat 126 in immagini girate il giorno della strage e cercato invano nel corso dei vari processi sull’eccidio di via D’Amelio e la visione delle immagini con l’allora capitano Giovanni Arcangioli con in mano la borsa di pelle di Borsellino, hanno caratterizzato la terza udienza del processo ‘Borsellino quater’. In apertura di udienza la Corte d’assise ha dato atto della questione di legittimità costituzionale dell’art.41-bis dell’ordinamento giudiziario sollevata dall’imputato Salvatore Madonia, che ritiene violati tre articoli della costituzione e le parti si sono riservate di interloquire.
Quindi è stata la volta di Cecilia Fiore, la figlia di Rita Borsellino e nipote di Paolo, chiamata dal procuratore Sergio Lari a deporre per ricordare alla Corte d’assise presieduta da Antonio Balsamo, cosa accadde nei giorni precedenti la strage del 19 luglio 1992. La teste ha riferito di aver notato per strada dei fusti pieni di materiale per edilizia (che secondo l’accusa sarebbero stati piazzati dagli attentatori per occupare il posto nel quale sarebbe stata poi parcheggiata la Fiat 126 utilizzata come autobomba ndr.), ha spiegato i suoi rapporti con la moglie di Salvatore Vitale (ora defunto, che i pm sospettano possa aver avuto il ruolo di informatore) che faceva l’estetista e abitava nello stesso stabile di via D’Amelio 19, e ha parlato della presenza di operatori telefonici. Cecilia Fiore ha quindi ricordato l’ultima volta che vide lo zio vivo: “L’ho incontrato il 18 luglio sotto casa e – ha detto – mi ha preso in giro. Mi era venuta a prendere il mio fidanzato di allora e lui mi disse scherzando: ‘chi è questo che ti viene a prendere con questa macchina così vecchia?’”.
In sede di controesame, alla teste l’avvocato Giuseppe Scozzola, patrono di parte civile per conto di Gaetano Scotto, ha chiesto notizie sulle modalità del riconoscimento effettuato dalla stessa, in questura a Palermo, di Pietro Scotto nell’ambito delle indagini del primo processo Borsellino. In particolare l’avvocato Scozzola ha chiesto notizie sulla presenza o meno del consulente Gioacchino Genchi. Cecilia Fiore, infatti, nel corso delle indagini aveva affermato di aver visto Pietro Scotto (fratello di Gaetano ndr) sul pianerottolo di casa mentre lavorava sui fili del telefono. Nel primo processo Scotto venne condannato all’ergastolo, ma in appello venne assolto dall’accusa di aver avuto un ruolo nella strage. Nel corso del controesame, più volte la pubblica accusa si è opposta alle domande del legale. La teste comunque ha riferito di non aver incontrato in Questura Scotto prima del riconoscimento.
Poi sul pretorio è salita Marta Fiore. Anche lei ha raccontato dei rapporti con la moglie di Vitale, “era la mia estetista”, e poi di una notte in cui aveva notato una persona dormire in auto in via D’Amelio e preoccupata aveva chiamato lo zio. Lui per non far preoccupare i congiunti, risolse la questione personalmente: “lui scese dall’auto, bussò sul finestrino dell’auto, l’uomo si svegliò e andò via”.
Poi la procura ha chiamato a deporre i propri consulenti, gli ispettori Michele Mininni e Stefano Romano. I due, utilizzando le immagini registrate il giorno della strage sono riusciti ad individuare il blocco motore che, finora, non era stato ‘trovato’, smontando, di fatto, l’alone di mistero che avvolgeva questa mancanza. Il blocco motore, infatti, era stato repertato solo il giorno successivo e qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che fosse stato ‘messo’ in via D’Amelio dopo la strage. L’analisi dei filmati, inoltre, ha consentito di ricostruire i movimenti dell’allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli (assolto dall’accusa di aver rubato l’agenda rossa del magistrato ndr.). Nelle immagini si vede Arcangioli con la borsa del magistrato in mano allontanarsi in direzione di via Autonomia Siciliana e poi mentre è senza la borsa. L’ufficiale ha sempre detto di aver prelevato la borsa sostenendo di averla consegnata ad alcuni magistrati che si trovavano in via D’Amelio ed ha escluso di aver prelevato l’agenda. La Cassazione ha poi messo la parola conclusiva sulla faccenda evidenziando che non c’era la prova che l’agenda rossa si trovasse all’interno della borsa citando, fra l’altro, le dichiarazioni dell’agente Antonio Vullo che ricordò di aver visto Borsellino “con qualcosa sotto l’ascella” poco prima dell’esplosione.
Siciliainformazioni.com, 10 aprile 2013

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