domenica, marzo 03, 2013

I RITARDI DELLA POLITICA E DELLA CHIESA NELLA LOTTA ALLA MAFIA

Cosimo Scordato (2° da sx) e Vito Lo Monaco (3° da sx)
AUGUSTO CAVADI
Esattamente trent’anni fa, il 26 febbraio del 1983, un giovane comunista (Vito Lo Monaco, oggi presidente del Centro studi “Pio La Torre”) e un giovane prete (Cosimo Scordato, oggi rettore della Chiesa “S. Francesco Saverio”), stanchi di vedere moltiplicarsi i cadaveri nel “triangolo della morte”, organizzarono una marcia popolare contro la mafia da Bagheria a Casteldaccia. Che non se ne perda memoria è necessario per molte ragioni, convergenti nell’intento di evitare che ogni generazione ricominci ogni volta daccapo, come se non fosse stata preceduta da esperienze, risultati positivi ed errori. Che ci insegna uno sguardo retrospettivo su quell’avvenimento, allora clamoroso?
Prima di tutto che il coinvolgimento popolare in manifestazioni affollate svolgono una funzione importante di denunzia, di risveglio delle coscienze. I cortei non sono delle sceneggiate inutili. Ma – e questo va aggiunto immediatamente – possono diventarlo quando, da momento eccezionale di mobilitazione, diventano  riti ciclici che si autointerpretano come sufficienti. Quando non sono l’avvio di una fase nuova d’impegno diuturno, di lungo periodo, le manifestazioni di piazza sono destinate a illudere e a deludere. Non è un caso che i promotori della marcia di allora, in questi tre decenni, hanno lavorato e continuano a lavorare sodo, spesso lontano dai riflettori, sia nel campo culturale dell’informazione e della formazione (Centro studi “Pio La Torre”) sia nel campo dell’evangelizzazione e della promozione sociale (Chiesa e Centro sociale “S. Francesco Saverio”).
Istruttivo, poi,  il fatto che i promotori di quella marcia storica appartenessero a  organizzazioni diverse come il PCI e la Chiesa cattolica. Significativo perché dimostra che la pregiudiziale antimafiosa, in linea di principio, non dovrebbe conoscere barriere ideologiche e che solo di caso in caso vanno operate le necessarie esclusioni. Significativo, inoltre, che quell’iniziativa suscitò qualche  emulazione sia fra i comunisti sia fra i cattolici, ma altrettanto significativo, infine, che da allora ad oggi né il PCI – PDS – DS – PD né la Chiesa cattolica hanno assunto come centrale il contrasto con il sistema di potere mafioso. Non lo ha fatto lo schieramento di centro-sinistra che, per non andare lontano, ha giocherellato con Raffaele Lombardo sul filo di lana della differenza fra responsabilità penale (ancora da dimostrare) e responsabilità politica (di evidenza oggettiva). Non lo ha fatto la Chiesa siciliana che, allora, tirò le orecchie  ai presbiteri così pericolosamente vicini a comunisti (tanto che, per protesta, don Francesco Michele Stabile si autosospese per più di un decennio dal ministero ecclesiastico) e che, in tempi più recenti, non si è preoccupata di sconfessare neppure uno dei tanti politici finiti in galera per collusioni mafiose dopo carriere vistosamente costruite sventolando l’appartenenza cattolica.
Fortuite coincidenze temporali (le dimissioni di Benedetto XVI e le elezioni politiche) hanno evidenziato in questi giorni le crisi parallele della Chiesa cattolica e del sistema parlamentare italiano.  La rinnovata consapevolezza di dover troncare legami con ambienti corrotti e criminali potrebbe costituire, per entrambe le Istituzioni, un’occasione di recupero di credibilità e di rilancio del loro ruolo.
Augusto Cavadi
“Repubblica- Palermo”, 27.2.2013
   

Nessun commento: