di ANTONIO MAZZEO
Blindati di seconda mano; divise, slip e spazzolini nuovi ma demodé. Sono i doni che l’Italia ha inviato ai nuovi governanti libici per consolidare la partnership politico-militare tra i due paesi. La consegna è avvenuta durante la recente visita a Tripoli del ministro-ammiraglio Giampaolo Di Paola che ha pure avuto modo d’incontrare il primo ministro Ali Zeidanil e il ministro della guerra gen. Mohamed Al Barghati. La cessione delle rimanenze di magazzino è stata autorizzata dal Parlamento italiano con la legge di conversione del ddl di fine 2012 che ha prorogato le missioni militari italiane all’estero.
Sono stati consegni ai libici “a titolo gratuito” innanzitutto 20 veicoli blindati da trasporto truppe e combattimento “Puma” prodotti dal consorzio Fiat Iveco-Oto Melara e nella disponibilità dell’esercito italiano. Dalle basi della marina militare di Taranto, Augusta, La Spezia, Ancona e Cagliari è stata prelevata invece una certa quantità di “effetti di vestiario in disuso”. Si tratta complessivamente di quasi 70.000 capi, tra cui 30.000 slip, 10.000 camicie kaki in manica lunga e corta, 28.000 tra pantaloni estivi e invernali, magliette intime, pigiami e cinture. Il vestiario è stato trasportato in Libia a bordo di velivoli cargo messi a disposizione dall’aeronautica militare. Tra i container hanno pure trovato posto 6.000 astucci porta-saponetta, 30.000 tubetti di crema da barba, 80.000 dentifrici, 2 milioni di rasoi, 150.000 saponi, 68.000 spazzole per scarpe e abiti e 40.000 spazzolini da denti. Solo 200 invece le “spazzole per capelli” destinate ai combattenti della nuova repubblica libica.
Nel corso degli incontri tenuti a Tripoli dal ministro Di Paola sono stati trattati i temi riguardanti la “formazione di forze armate e di polizia, la cooperazione - anche tecnologica - nelle attività di controllo dell’immigrazione clandestina, il supporto nazionale alla ricostruzione della componente navale, la sorveglianza e il controllo integrato delle frontiere”, come recita il comunicato emesso dal dicastero della difesa. Si spera inoltre di aver convinto le autorità libiche a confermare gli ordini di armi di produzione italiana fatti da Muammar Gheddafi alla vigilia del conflitto che ha lacerato il paese nel 2011. Tra i più importanti, quello relativo al sistema di sorveglianza radar delle coste libiche e delle frontiere con Niger, Ciad e Sudan del costo di 300 milioni di euro prodotto da Selex Sistemi Integrati (oggi Selex SE), gruppo Finmeccanica. Il contratto fu firmato il 7 ottobre 2009, ma solo una prima tranche di 150 milioni è stato portato a termine. L’azienda italiana dovrebbe provvedere alla progettazione, all’installazione e all’integrazione del sistema e alla formazione degli operatori e dei manutentori libici.
In lista d’attesa ci sono inoltre pezzi di artiglieria Howitzer di Oto Melara, componenti di ricambio per aerei addestratori Aermacchi ed elicotteri Agusta e altro materiale bellico non specificato che una delegazione governativa libica richiese alla Difesa italiana nel febbraio 2011 proprio quando stava maturando internazionalmente la decisione di intervenire contro il colonnello Gheddafi. Un mese prima era stato reso pubblico l’acquisto del 2,01% del pacchetto azionario di Finmeccanica da parte della Libyan Investment Authority, il fondo sovrano creato per la gestione del valore delle entrate prodotte dall’attività petrolifera.
L’ingresso dei fondi libici nella holding armiera coronava anni di pressing e corteggiamenti del governo Berlusconi e del management di Finmeccanica. “Puntiamo a fare della Libia il partner ideale per la futura crescita del nostro gruppo in Africa e Medio Oriente”, dichiarava nel luglio 2009 l’allora amministratore delegato Pier Francesco Guarguaglini.
Dopo la revoca dell’embargo Onu nel settembre 2003, la Libia è divenuta uno dei maggiori clienti delle industrie belliche italiane. Secondo il Sipri (l’istituto svedese di ricerche sui temi della pace e il disarmo), nel solo biennio 2008-09 le licenze autorizzate dal governo sono state pari al 34,5% di tutte quelle rilasciate verso la Libia in ambito Ue, per un ammontare di 205 milioni di euro circa. Solo Agusta Westland (Finmeccanica) ha esportato a Tripoli 10 elicotteri AW-109E “Power” per il controllo di coste e frontiere e 20 elicotteri nella versione AW-119K “Koala” e AW-139 per missioni mediche di emergenza e il combattimento.
Nel gennaio 2008 le forze armate libiche comprarono da Alenia Aeronautica 9 pattugliatori marittimi Atr-42Mp “Surveyor”. Il contratto di 31 milioni di euro ha incluso l’addestramento dei piloti e l’installazione del sistema di controllo “Atos”, di un radar di ricerca “Gabbiano” e di sensori elettro-ottici. Ad Alenia Aermacchi è stata assegnata invece la revisione di 12 velivoli addestratori SF-260. Nell’ambito dell’accordo di cooperazione per il contrasto all’immigrazione firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007, l’Italia ha poi consegnato 6 motovedette della Guardia di finanza dotate di sofisticati sistemi di scoperta e telecomunicazioni. Sino al 2010 l’Itas Srl di La Spezia ha invece curato il controllo e la manutenzione dei missili a lunga gittata anti-nave “Otomat”, acquistati dai libici a fine anni ‘70 dal consorzio italo francese Oto Melara-Matra, poi confluito nel gruppo MBDA.
Dulcis in fundo l’export di armi leggere su cui le aziende mantengono il massimo riserbo. La Rete Disarmo ha denunciato che nel 2009 giunse a Tripoli una partita di fucili e pistole di piccolo calibro di produzione Beretta, destinati ufficialmente a Malta. I passaggi di questa triangolazione sono stati descritti dal ricercatore Francesco Vignarca in Altreconomia. L’ordine per un valore di 79.689.691 euro ha riguardato 7.500 pistole semi-automatiche PX4, 1.900 carabine CX4 “Storm” e 1.800 fucili a canna liscia calibro 12 “Benelli”. “Le licenze all’esportazione furono concesse dalle autorità governative italiane il 3 novembre del 2009 e già il 9 novembre la Beretta aveva emesso le relative fatture”, scrive Vignarca. “Il trasporto internazionale della merce si è originato da La Spezia il 29 novembre 2009 e la nave container ha raggiunto la Libia dopo uno scalo a Malta”. Per il pagamento fu utilizzata la Gumhouria Bank, corrispondente italiana di UBAE, istituto in buona parte controllato dalla Libyan Foreign Bank ma con partecipazioni di Unicredit (il 10% circa), ENI (5%) e Monte dei Paschi di Siena (3,5%).
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