A Barcellona
Pozzo di Gotto (Messina), sua città natale, due giorni di iniziative pubbliche
per ricordare il giornalista assassinato l’8 gennaio 1993 per le clamorose
inchieste in esclusiva su malaffare e corruzione. Aveva fiutato che il boss
super ricercato Nitto Santapaola si nascondeva in paese
OSSIGENO – Roma, 8 gennaio 2013 - Sono trascorsi venti anni da quel
terribile venerdì 8 gennaio del 1993, quando il giornalista Giuseppe Alfano,
detto Beppe, fu assassinato con tre colpi di pistola poco lontano dalla sua
casa di Barcellona Pozzo di Gotto, cittadina in provincia di Messina.
Due anni
dopo si accertò che a ucciderlo era stata la mafia, e sei anni dopo il killer,
il carpentiere Antonino Merlino, che aveva agito armato di una insolita calibro
22, fu condannato a 21 anni di carcere. Oggi la città in cui nacque e in cui fu
ucciso gli dedica una piazza.Beppe era un insegnante di educazione tecnica che
aveva fatto dell’impegno civile e della passione per il giornalismo d’inchiesta
la ragione della sua vita. Corrispondente della “Sicilia” di Catania, aveva
rivelato un grande scandalo che coinvolgeva nell’uso disinvolto di
finanziamenti regionali alcuni amministratori pubblici della sua città e
personaggi in odor di mafia. Si era fatto così molti nemici. Ma non si era
fatto intimidire. Il suo fiuto e le sue fonti gli avevano fatto capire che i
piccoli mafiosi di provincia di Barcellona e dintorni stavano facendo qualcosa
di grosso. Aveva intuito che proprio vicino a casa sua nascondevano il
capomafia super latitante Nitto Santapaola. Aveva cercato di segnalarlo alle
autorità senza ottenere l’attenzione che sperava. A marzo del 1991 gli avevano
bruciato l’automobile. A novembre del 1992 gli avevano offerto 39 milioni di
lire per chiudergli la bocca e lui aveva rifiutato. E aveva capito che con quel
“no” aveva deciso la sua condanna a morte.
Beppe lo aveva capito. Aveva capito che era scattata
una trappola mortale alla quale difficilmente sarebbe riuscito a scampare.
Pensava che non gli sarebbe bastato neppure lasciare la sua città. Aveva
guardato in faccia la morte annunciata e perciò cominciato a preparare i suoi
familiari, la moglie, il figlio Chicco e la figlia Sonia, a sopportare
quell’evento. Il corruttore gli aveva annunciato: “non arriverai al 20
gennaio”. E lui lo aveva datto a sua figlia, a sua moglie, che da quel giorno
vivevano in uno stato di angoscia e di oppressione permanente come racconta
Sonia Alfano, con una lucidità che non nasconde lo strazio, nel libro
autobiografico “La zona d’ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e
abbandonato dallo Stato”, Rizzoli 2011.
Sonia Alfano, che ha ereditato l’impegno del padre di
lottare la mafia e il malaffare, è oggi parlamentare europeo e presidente della
Commissione Antimafia del Parlamento Europeo. Scrive a pagina 48 del nel libro,
sull’attività di suo padre: “Ad ogni articolo che pubblicava, scoperchiava un
vaso di Pandora ed era ben conscio che così facendo dava fastidio a molti. Chi
parlava troppo in Sicilia rischiava la fine di Libero Grassi (ucciso dalla
mafia il 29 agosto 1991 per avere rifiutato platealmente di pagare il ‘pizzo’
alla mafia, ndr) e lui lo sapeva. Ma alle persone cui pestava i piedi mandava
un messaggio molto chiaro: io non mi fermo. In un suo pezzo di quel periodo
scrisse: ‘Barcellona ancora una volta è passata agli onori delle cronache
nazionali e purtroppo nel modo e per i motivi peggiori. E non certo per colpa
del cronista che ha certo il dovere di riferire e informare. Non è la stampa a
incoraggiare, facendo da cassa di risonanza all’industria del crimine. Solo
cervelli distorti o peggio ancora illanguiditi da puerili illusioni possono
pensare di credere a simili balordaggini’. Non ne parlava bene, della sua
città, Beppe Alfano. D’altronde, non poteva farlo: quello che raccontava era la
verità”.
Quest’anno l’anniversario della morte di Beppe Alfano,
soprattutto grazie all’impegno della figlia Sonia e dell’attenzione
internazionale che ha saputo suscitare in Europa per la necessità di lottare
più attivamente contro la criminalità organizzata, viene celebrato per la prima
volta a Barcellona Pozzo di Gotto con grande rilievo, con due giorni di
iniziative.
Lunedì 7 gennaio si svolge in città un vertice
internazionale tra le forze di polizia. La giornata, organizzata come occasione
di studio sul tema del contrasto alle mafie, prevede un momento dedicato alle
tecniche investigative, uno sulla cooperazione giudiziaria e un altro sul ruolo
dell’informazione e del giornalismo investigativo. L’incontro vede la
partecipazione ai massimi livelli degli organismi investigativi e di contrasto
al crimine organizzato italiani e internazionali. Tra questi l’Fbi e la Dea per
gli Stati Uniti, la Bka – Ufficio federale per la lotta al crimine organizzato
– per la Germania, Interpol, Europol, la Dia e lo Scico per l’Italia, oltre a
magistrati antimafia e giornalisti. Martedì 8 gennaio le iniziative sono
dedicate al ricordo del giornalista. Al Palazzetto dello Sport di Barcellona si
svolge il dibattito sul tema: ‘La mafia odia la cultura: legalità e scuola per
un futuro migliore’, alla presenza di centinaia di studenti provenienti da
tutta la Sicilia. Mentre nel pomeriggio, dopo la messa, celebrata da don Luigi
Ciotti al Duomo di Santa Maria Assunta, e l’intitolazione a Beppe Alfano della
piazza antistante la sua casa, si tiene un convegno sul delitto e sull’ormai
ventennale percorso per la ricerca della verità. Un percorso che dopo 13 anni
ha visto affermarsi una verità giudiziaria, prima con la condanna definitiva a
30 anni di reclusione, il 22 marzo 1999, del boss Giuseppe Gullotti e, sette
anni più tardi, il 27 aprile 2006, con quella di Antonino Merlino, l’esecutore
materiale del delitto, condannato a 21 anni e sei mesi di carcere. Sentenze che
però non risolvono tutti i sospetti, relativi alle trame dietro cui è maturato
l’omicidio del giornalista, che aveva avuto il merito di un lavoro di rigorosa
ricostruzione dell’organigramma delle cosche di quella zona, allora non ancora
considerata ‘terra di mafia’. Tre giorni prima di morire, Alfano aveva
consegnato alle autorità un dettagliato dossier, indicando il probabile rifugio
del super boss Nitto Santapaola, allora latitante e secondo Alfano nascosto
proprio a Barcellona Pozzo di Gotto.
Alla due giorni sono previste, nella giornata di
lunedì 7, anche la presenza del figlio della giornalista Anna Politkovskaja, un
contributo di Roberto Saviano e una esibizione dell’attore teatrale e
consigliere regionale di Sel in Lombardia Giulio Cavalli, con uno spettacolo di
denuncia sulla ‘ndrangheta.
www.ossigenoinformazione.it - martedì, gennaio 8
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