Se ne è parlato spesso in questi anni, soprattutto per
segnalare la differenza con il passato quando alle mafie veniva permesso di
rimanere sempre in possesso dei propri mezzi. Le nuove leggi hanno permesso non
solo di sequestrare, ma anche di ridare a cooperative e a privati, i beni
confiscati alle mafie. Dopo quasi 30 anni di sequestri, è possibile fare una
statistica di quanto è stato restituito effettivamente allo Stato ed ai suoi
cittadini. E le cifre, purtroppo, sono implacabili.
Solo 35 aziende (!) sul totale delle aziende sottratte
a camorra, mafia e ‘ndrangheta risultano in attivo dopo la sottrazione della
loro gestione alle famiglie malavitose. Uno dei casi più eclatanti, quale il
sequestro del Cafè de Parisa a Roma, immortalato anche nella Dolce Vita di
Fellini, dopo essere stato sottratto all’influenza degli Alvaro di Sinopoli,
rischia la chiusura.
Il dato statistico parla di 1635 attività sottratte
dallo Stato alle mafie e solo di queste, solo il 2% genera fatturati. Un totale
fallimento di cui nessuno, in veste ufficiale, intende affibbiarsi la
responsabilità o intende spiegare come poter reagire.
Le motivazioni? La burocrazia impiega tra i cinque
fino ai nove anni per consegnare i beni a società sane ed in caso di aziende
agricole, i tempi non sono compatibili con le esigenze di mercato. Stranamente,
le banche e le assicurazioni, pretendono la restituzione dei fidi e dei
prestiti con estremo rigore rispetto alla “passata gestione”.
La regione dove i sequestri sono più costanti è la
Sicilia, dove le forze dell’ordine sono state in grado in 30 anni di sottrarre
ristoranti, fabbriche, impianti minerari, fattorie, allevamenti di polli,
supermercati, agriturismi, distributori di benzina, cantine, serre, trattorie,
discoteche, residence, ottiche, gelaterie, società immobiliari, centri
sportivi, pescherecci, stabilimenti balneari e anche castelli. Quasi tutti
falliti.
Franco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare
comunista assassinato dalla mafia nel 1982, ha dichiarato come in realtà il
problema è delle istituzioni che non hanno idee molto chiare su dove operare
per ribaltare la situazione. La Torre, intende rendere i sequestri dei beni
mafiosi efficaci in tre mosse:
-
La prima, la
presenza di amministratori giudiziari competenti che siano in grado di fare il
loro mestiere fino in fondo e di programmare piani a medio e a lungo termine
per le aziende confiscate.
-
La seconda, sostenere
la legge d’iniziativa popolare- quella che ha lanciato la Cgil – per la tutela
di tutti i dipendenti delle aziende sotto confisca e per garantire loro gli
stessi diritti di tutti gli altri lavoratori dei settori in crisi.
-
La terza, utilizzare
il contante sequestrato e reinvestirlo nelle attività dove si registrano le
sofferenze
A parte le difficoltà di carattere finanziario, con i
lavoratori da mettere in regola, si deve provvedere a pagare i contributi
arretrati ai dipendenti che i boss facevano lavorare a nero, rendendo l’azienda
emersa dalla gestione mafiosa un’azienda particolare da rimettere in
carreggiata. Chi sopravvive? Solo le aziende che vengono lasciate nelle
condizioni di rientrare nel mercato possono tornare a fatturare, ma finché si
tratteranno le aziende di proprietà delle mafie come aziende normali, il
meccanismo messo in moto dallo Stato non funzionerà mai.
06 gennaio 2013
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