domenica, gennaio 06, 2013

Il sequestro dei beni confiscati alle mafie non funziona. Ecco le cifre del fallimento


Se ne è parlato spesso in questi anni, soprattutto per segnalare la differenza con il passato quando alle mafie veniva permesso di rimanere sempre in possesso dei propri mezzi. Le nuove leggi hanno permesso non solo di sequestrare, ma anche di ridare a cooperative e a privati, i beni confiscati alle mafie. Dopo quasi 30 anni di sequestri, è possibile fare una statistica di quanto è stato restituito effettivamente allo Stato ed ai suoi cittadini. E le cifre, purtroppo, sono implacabili.

Solo 35 aziende (!) sul totale delle aziende sottratte a camorra, mafia e ‘ndrangheta risultano in attivo dopo la sottrazione della loro gestione alle famiglie malavitose. Uno dei casi più eclatanti, quale il sequestro del Cafè de Parisa a Roma, immortalato anche nella Dolce Vita di Fellini, dopo essere stato sottratto all’influenza degli Alvaro di Sinopoli, rischia la chiusura.
Il dato statistico parla di 1635 attività sottratte dallo Stato alle mafie e solo di queste, solo il 2% genera fatturati. Un totale fallimento di cui nessuno, in veste ufficiale, intende affibbiarsi la responsabilità o intende spiegare come poter reagire.
Le motivazioni? La burocrazia impiega tra i cinque fino ai nove anni per consegnare i beni a società sane ed in caso di aziende agricole, i tempi non sono compatibili con le esigenze di mercato. Stranamente, le banche e le assicurazioni, pretendono la restituzione dei fidi e dei prestiti con estremo rigore rispetto alla “passata gestione”.
La regione dove i sequestri sono più costanti è la Sicilia, dove le forze dell’ordine sono state in grado in 30 anni di sottrarre ristoranti, fabbriche, impianti minerari, fattorie, allevamenti di polli, supermercati, agriturismi, distributori di benzina, cantine, serre, trattorie, discoteche, residence, ottiche, gelaterie, società immobiliari, centri sportivi, pescherecci, stabilimenti balneari e anche castelli. Quasi tutti falliti.
Franco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare comunista assassinato dalla mafia nel 1982, ha dichiarato come in realtà il problema è delle istituzioni che non hanno idee molto chiare su dove operare per ribaltare la situazione. La Torre, intende rendere i sequestri dei beni mafiosi efficaci in tre mosse:
-          La prima, la presenza di amministratori giudiziari competenti che siano in grado di fare il loro mestiere fino in fondo e di programmare piani a medio e a lungo termine per le aziende confiscate.
-          La seconda, sostenere la legge d’iniziativa popolare- quella che ha lanciato la Cgil – per la tutela di tutti i dipendenti delle aziende sotto confisca e per garantire loro gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori dei settori in crisi.
-          La terza, utilizzare il contante sequestrato e reinvestirlo nelle attività dove si registrano le sofferenze
A parte le difficoltà di carattere finanziario, con i lavoratori da mettere in regola, si deve provvedere a pagare i contributi arretrati ai dipendenti che i boss facevano lavorare a nero, rendendo l’azienda emersa dalla gestione mafiosa un’azienda particolare da rimettere in carreggiata. Chi sopravvive? Solo le aziende che vengono lasciate nelle condizioni di rientrare nel mercato possono tornare a fatturare, ma finché si tratteranno le aziende di proprietà delle mafie come aziende normali, il meccanismo messo in moto dallo Stato non funzionerà mai.
06 gennaio 2013

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