Susanna Camusso |
A distanza di 64 anni dal piano del Lavoro firmato da Giuseppe Di Vittorio, la Cgil rilancia un “secondo” Piano del Lavoro. Ci sono infatti analogie nelle condizioni di partenza: l'Italia usciva da una devastante guerra; oggi, dopo un altrettanto devastante crisi economica, c'è ancora bisogno di “ricostruzione” e innovazione. La proposta di un Piano del Lavoro, infatti, come si legge nell'incipit del testo, “nasce dalla ferma convinzione che non si aprirà una nuova stagione di crescita e sviluppo se non si riparte dal lavoro e dalla creazione di lavoro”. Un lavoro che invece negli anni è stato “svilito e messo da parte” mentre, parallelamente, la crisi del sistema diventava strutturale. “Quindici anni di non aumento della produttività - scrive la Cgil nel Piano -, vent'anni di profitto spostati a rendite finanziarie e immobiliari, un miliardo di ore di cassa integrazione negli ultimi anni, circa quattro milioni di lavoratori precari sono il quadro del declino del nostro Paese, di un processo di deindustrializzazione che ha visto una forte accelerazione nei cinque anni della crisi”.
“Serve una grande rivoluzione culturale che affronti innanzitutto il
tema del Paese”, si legge nel Piano del Lavoro. Da qui l'individuazione degli
obiettivi che partono dalla creazione di nuovi posti di lavoro legati: “Ad
attività di risanamento, bonifica, messa in sicurezza del territorio e
valorizazione dei beni culturali; allo sviluppo dell'innovazione tecnologica
nella tutela dei beni artistici; alla riforma e al rinnovamento della Pa e del
welfare; all'economia della conoscenza; all'innovazione e alla sostenibilità
delle reti infrastrutturali”.
L’Italia è tecnicamente in recessione dal 2008 e non è previsto che ne esca nel 2013. Finora gli interventi dettati dalle autorità europee hanno agito solo sul versante del rigore: il taglio della spesa pubblica per ridurre i debiti sovrani e riequilibrare i bilanci pubblici nella speranza di ottenere fiducia dai mercati. Ciò – rileva la Cgil - ha prodotto ulteriore impoverimento dei paesi più deboli, aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze, compressione del reddito da lavoro e dei diritti, soprattutto a scapito delle nuove generazioni. Aumentare la distanza fra paesi e fra le persone non fa ripartire l’economia europea e mondiale.
Per la Cgil la fase che abbiamo di fronte, quindi, non può esaurirsi esclusivamente nel rigore, come è stato negli ultimi mesi, va cambiato il baricentro delle politiche. Creare lavoro significa creare sviluppo e, in Italia, vuol dire difendere e qualificare l’attuale occupazione, rilanciando e rinnovando profondamente la base industriale e la specializzazione produttiva del paese, oltre che l’equità distribuitiva. Bisogna ritrovare l’obiettivo della piena, buona e sicura occupazione. E per rispondere a tale obiettivo occorrono nuovi lineamenti di politica economica che indirizzino le risorse, pubbliche e private, verso l’innovazione e i beni comuni. Per questo la Cgil propone, al futuro governo, alle forze sociali, alla politica, alle istituzioni, ai cittadini, un Piano del lavoro che abbia come presupposto che la prima grande ricchezza dell’Italia è se stessa, il suo territorio, la sua cultura, il suo patrimonio storico e artistico, la sua tradizione di saper fare, il progettare e produrre di cui il migliore made in Italy è una traduzione.
Il Piano del lavoro è un piano di legislatura per una nuova politica industriale, sociale e ambientale, fondate su una nuova politica fiscale. Per questo il Piano può rappresentare innanzitutto una scelta di cittadinanza, di legalità, di partecipazione, di redistribuzione della ricchezza. Il Piano del lavoro proposto dalla Cgil ha in sé obiettivi di breve e medio periodo, con lo scopo di creare lavoro e l’ambizione di ridare senso al ruolo economico dello Stato e, perciò, centralità all’intervento pubblico come motore dell’economia: da un lato, un piano straordinario di creazione diretta dell’occupazione, in particolare nel Mezzogiorno, attraverso una grande iniezione di investimenti pubblici in beni comuni (ambiente, energia, infrastrutture, conoscenza, welfare ecc.); dall’altro, una nuova regolazione pubblica, soprattutto locale, definita da progetti operativi di politica industriale attiva e “orizzontale”, che permettano di generare, liberare, attrarre investimenti all’insegna dell’innovazione, partendo dalla domanda legata a un’intera o più filiere produttive (valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, produzioni verdi e blu, edilizia antisiimica, reti digitali, Tpl ecc.) e ai servizi pubblici (tutela del territorio, ciclo dei rifiuti, riassetto idrogeologico ecc.). In altre parole, investimenti pubblici e nuova occupazione pubblica per attivare moltiplicatori di investimenti, reddito e occupazione nei settori privati dell’economia italiana.
Se si vuole costruire un nuovo modello di sviluppo, o più brutalmente se intendiamo fermare davvero il declino, contrastare la deindustrializzazione e riavviare una crescita del paese, l’intervento pubblico è non solo necessario, ma essenziale. Welfare è fattore di sviluppo di un’economia, ma è anche misurarsi sulla nuova “questione sociale” e sull’evoluzione dello sviluppo, che non può non affrontare il tema della produzione dei beni collettivi. Non c’è solo da mettere fine alla politica dei tagli della spesa pubblica e dei servizi, c’è da guardare all’andamento demografico, da definire il nuovo paradigma del compromesso sociale che sta a garanzia della qualità delle vita delle persone. Il territorio deve ritornare al centro dello sviluppo.
Il lavoro si lega necessariamente al welfare, ai sistemi territoriali, per questo la contrattazione sociale nel territorio e il confronto sindacale con Regioni e Comuni può diventare il momento di attivazione, di adattamento e di verifica dei progetti operativi per la crescita, sostegno delle piccole e medie imprese e per l’attivazione del Piano del lavoro. Quest’ultimo parte dai bisogni, dalle arretratezze, dalle grandi potenzialità del paese per introdurre innovazione dal lato dell’offerta (tecnologica, organizzativa, amministrativa, societaria, istituzionale, di sistema) all’insegna della coesione sociale e territoriale. Il Piano propone nuove modalità di realizzazione delle politiche economiche e industriali, nazionali e territoriali, articolate per: esigenze del paese, linee pluriennali di indirizzo, programmi prioritari, progetti operativi, momenti di verifica e bilancio.
Il Piano del lavoro, poiché si attiva dal lato della domanda, necessita di una governance partecipata dai territori (istituzioni, forze sociali, luoghi del sapere e della ricerca) e dai soggetti dell’economia reale che vi operano. Proprio perché non si realizza in breve tempo, ha bisogno di un metodo, anche per l’individuazione delle risorse necessarie, di “programmazione” assieme a scelte straordinarie, come, appunto, la proposta di un programma straordinario di occupazione per i giovani e per le donne. Il Piano del lavoro, per la sua qualità innovativa e di trasformazione strutturale dell’economia del nostro paese, ha l’ambizione di caratterizzare un periodo che va dai tre ai cinque anni, proprio attraverso la definizione dei progetti operativi che caratterizzano gli obiettivi indicati. La credibilità di un obiettivo di medio periodo si costruisce dando risposta e affrontando prima le emergenze in coerenza all’idea che il lavoro genera anche processi di riduzione della disuguaglianza e di inclusione sociale.
L’Italia è tecnicamente in recessione dal 2008 e non è previsto che ne esca nel 2013. Finora gli interventi dettati dalle autorità europee hanno agito solo sul versante del rigore: il taglio della spesa pubblica per ridurre i debiti sovrani e riequilibrare i bilanci pubblici nella speranza di ottenere fiducia dai mercati. Ciò – rileva la Cgil - ha prodotto ulteriore impoverimento dei paesi più deboli, aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze, compressione del reddito da lavoro e dei diritti, soprattutto a scapito delle nuove generazioni. Aumentare la distanza fra paesi e fra le persone non fa ripartire l’economia europea e mondiale.
Per la Cgil la fase che abbiamo di fronte, quindi, non può esaurirsi esclusivamente nel rigore, come è stato negli ultimi mesi, va cambiato il baricentro delle politiche. Creare lavoro significa creare sviluppo e, in Italia, vuol dire difendere e qualificare l’attuale occupazione, rilanciando e rinnovando profondamente la base industriale e la specializzazione produttiva del paese, oltre che l’equità distribuitiva. Bisogna ritrovare l’obiettivo della piena, buona e sicura occupazione. E per rispondere a tale obiettivo occorrono nuovi lineamenti di politica economica che indirizzino le risorse, pubbliche e private, verso l’innovazione e i beni comuni. Per questo la Cgil propone, al futuro governo, alle forze sociali, alla politica, alle istituzioni, ai cittadini, un Piano del lavoro che abbia come presupposto che la prima grande ricchezza dell’Italia è se stessa, il suo territorio, la sua cultura, il suo patrimonio storico e artistico, la sua tradizione di saper fare, il progettare e produrre di cui il migliore made in Italy è una traduzione.
Il Piano del lavoro è un piano di legislatura per una nuova politica industriale, sociale e ambientale, fondate su una nuova politica fiscale. Per questo il Piano può rappresentare innanzitutto una scelta di cittadinanza, di legalità, di partecipazione, di redistribuzione della ricchezza. Il Piano del lavoro proposto dalla Cgil ha in sé obiettivi di breve e medio periodo, con lo scopo di creare lavoro e l’ambizione di ridare senso al ruolo economico dello Stato e, perciò, centralità all’intervento pubblico come motore dell’economia: da un lato, un piano straordinario di creazione diretta dell’occupazione, in particolare nel Mezzogiorno, attraverso una grande iniezione di investimenti pubblici in beni comuni (ambiente, energia, infrastrutture, conoscenza, welfare ecc.); dall’altro, una nuova regolazione pubblica, soprattutto locale, definita da progetti operativi di politica industriale attiva e “orizzontale”, che permettano di generare, liberare, attrarre investimenti all’insegna dell’innovazione, partendo dalla domanda legata a un’intera o più filiere produttive (valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, produzioni verdi e blu, edilizia antisiimica, reti digitali, Tpl ecc.) e ai servizi pubblici (tutela del territorio, ciclo dei rifiuti, riassetto idrogeologico ecc.). In altre parole, investimenti pubblici e nuova occupazione pubblica per attivare moltiplicatori di investimenti, reddito e occupazione nei settori privati dell’economia italiana.
Se si vuole costruire un nuovo modello di sviluppo, o più brutalmente se intendiamo fermare davvero il declino, contrastare la deindustrializzazione e riavviare una crescita del paese, l’intervento pubblico è non solo necessario, ma essenziale. Welfare è fattore di sviluppo di un’economia, ma è anche misurarsi sulla nuova “questione sociale” e sull’evoluzione dello sviluppo, che non può non affrontare il tema della produzione dei beni collettivi. Non c’è solo da mettere fine alla politica dei tagli della spesa pubblica e dei servizi, c’è da guardare all’andamento demografico, da definire il nuovo paradigma del compromesso sociale che sta a garanzia della qualità delle vita delle persone. Il territorio deve ritornare al centro dello sviluppo.
Il lavoro si lega necessariamente al welfare, ai sistemi territoriali, per questo la contrattazione sociale nel territorio e il confronto sindacale con Regioni e Comuni può diventare il momento di attivazione, di adattamento e di verifica dei progetti operativi per la crescita, sostegno delle piccole e medie imprese e per l’attivazione del Piano del lavoro. Quest’ultimo parte dai bisogni, dalle arretratezze, dalle grandi potenzialità del paese per introdurre innovazione dal lato dell’offerta (tecnologica, organizzativa, amministrativa, societaria, istituzionale, di sistema) all’insegna della coesione sociale e territoriale. Il Piano propone nuove modalità di realizzazione delle politiche economiche e industriali, nazionali e territoriali, articolate per: esigenze del paese, linee pluriennali di indirizzo, programmi prioritari, progetti operativi, momenti di verifica e bilancio.
Il Piano del lavoro, poiché si attiva dal lato della domanda, necessita di una governance partecipata dai territori (istituzioni, forze sociali, luoghi del sapere e della ricerca) e dai soggetti dell’economia reale che vi operano. Proprio perché non si realizza in breve tempo, ha bisogno di un metodo, anche per l’individuazione delle risorse necessarie, di “programmazione” assieme a scelte straordinarie, come, appunto, la proposta di un programma straordinario di occupazione per i giovani e per le donne. Il Piano del lavoro, per la sua qualità innovativa e di trasformazione strutturale dell’economia del nostro paese, ha l’ambizione di caratterizzare un periodo che va dai tre ai cinque anni, proprio attraverso la definizione dei progetti operativi che caratterizzano gli obiettivi indicati. La credibilità di un obiettivo di medio periodo si costruisce dando risposta e affrontando prima le emergenze in coerenza all’idea che il lavoro genera anche processi di riduzione della disuguaglianza e di inclusione sociale.
Il Piano del lavoro, poiché si
attiva dal lato della domanda, necessita di una governance partecipata
dai territori (istituzioni, forze sociali, luoghi del sapere e della ricerca) e
dai soggetti dell’economia reale che vi operano. Proprio perché non si realizza
in breve tempo, ha bisogno di un metodo, anche per l’individuazione delle
risorse necessarie, di “programmazione” assieme a scelte straordinarie, come,
appunto, la proposta di un programma straordinario di occupazione per i giovani
e per le donne. Il Piano del lavoro, per la sua qualità innovativa e di trasformazione
strutturale dell’economia del nostro paese, ha l’ambizione di caratterizzare un
periodo che va dai tre ai cinque anni, proprio attraverso la definizione dei
progetti operativi che caratterizzano gli obiettivi indicati. La credibilità di
un obiettivo di medio periodo si costruisce dando risposta e affrontando
prima le emergenze in coerenza all’idea che il lavoro genera anche processi di
riduzione della disuguaglianza e di inclusione sociale.
Il Piano del lavoro,
poiché si attiva dal lato della domanda,
necessita di una governance partecipata dai territori (istituzioni, forze sociali,
luoghi del sapere e della ricerca) e dai soggetti dell’economia reale che vi
operano. Proprio perché non si realizza in breve tempo, ha bisogno di un
metodo, anche per l’individuazione delle risorse necessarie, di
“programmazione” assieme a scelte straordinarie, come, appunto, la proposta di
un programma straordinario di occupazione per i giovani e per le donne. Il
Piano del lavoro, per la sua qualità innovativa e di trasformazione strutturale
dell’economia del nostro paese, ha l’ambizione di caratterizzare un periodo che
va dai tre ai cinque anni, proprio attraverso la definizione dei progetti
operativi che caratterizzano gli obiettivi indicati. La credibilità di un obiettivo di medio periodo
si costruisce dando risposta e affrontando prima le emergenze in coerenza
all’idea che il lavoro genera anche processi di riduzione della disuguaglianza
e di inclusione sociale.
Per il medio periodo,
i progetti operativi richiedono alcune riforme all’insegna dell’equità sociale,
dell’inclusione sociale e della promozione sociale. Nello specifico, il Piano
prevede: una profonda riforma del sistema di istruzione; una riforma coordinata
degli assetti istituzionali; una riorganizzazione dei servizi pubblici locali
per aggregazione e bacini di utenza; il ripristino della legalità nel ciclo
economico. La Cgil pone con il suo impegno una prospettiva di innovazione anche
nella contrattazione, per una nuova qualità, un nuovo modello di contrattazione
e, di conseguenza, un ruolo rinnovato delle parti sociali. In tal senso,
occorre partire dall’applicazione dell’accordo interconfederale del 28 giugno
2011 sul sistema contrattuale a due livelli: il ccnl livello di definizione
generale delle tutele, dei diritti, del potere d’acquisto e di inclusione
regolata di tutti i rapporti di lavoro; il secondo livello di attuazione delle
materie demandate dal ccnl in materia di organizzazione del lavoro,
professionalità, crescita delle retribuzioni.
E sulla base di un
accordo-legge su democrazia e rappresentanza (di cui il 28 giugno definisce le
premesse), la Cgil propone di rinnovare le rappresentanze sindacali elettive
nei settori privati e avviare la certificazione della rappresentatività dei
soggetti sindacali, sviluppare la democrazia sindacale. Senza dimenticare la
necessità di sperimentare forme di partecipazione dei lavoratori alle scelte
delle imprese, alla definizione degli obiettivi, alla loro realizzazione. Alla
contrattazione collettiva spetterà anche il compito di promuovere nuova
occupazione stabile di qualità e di regolare precariato e forme atipiche di
impiego. Il percorso ideale di realizzazione dovrebbe vedere un quadro
strategico definito dal governo nazionale, confrontato con le parti sociali e
tradotto concordemente con la Conferenza Stato Regioni e autonomie locali in
linee pluriennali di indirizzo.
Le Regioni e le autonomie locali definiscono con parti sociali, università, centri di ricerca e altri soggetti progetti operativi che in coerenza con le linee pluriennali affrontano le specificità regionali e del territorio. Il Piano del lavoro si attua per linee di cofinanziamento pubblico-pubblico (nazionale, regionale, locale) e pubblico-privato sottoposte all’approvazione dei progetti operativi e a verifiche di realizzazione, alle condizioni di necessità, fattibilità, innovazione, coinvolgimento di volta in volta predefinite.
Il Piano del lavoro è aperto a contributi, integrazioni, miglioramenti sia sul versante del percorso sia dei suoi progetti. Il Piano ha l’ambizione di confrontarsi con il prossimo governo e tutte le amministrazioni, per produrre una politica di creazione di lavoro e crescita. La sua fase di avvio e il suo attuarsi concreto sono affidati alla concertazione e contrattazione territoriale unitaria, che, sulla base delle esperienze realizzate in questi anni, ha saputo costruire un patrimonio solido (seppure non omogeneo) di accordi e intese tra forze sociali e istituzioni territoriali. L’attività delle strutture sindacali regionali e territoriali, poiché svolge funzioni di rappresentanza diversa e più ampia di quella propria, dovrà sperimentare pratiche di fattiva partecipazione, di confronto, di collaborazione e di verifica con la società civile.
Sostenibilità del Piano
Per realizzare il nuovo Piano del lavoro occorrono risorse da dedicare principalmente a:
a) progetti operativi (4-10 miliardi di euro);
b) programmi del Piano straordinario di creazione diretta di lavoro (15-20 miliardi di euro);
c) sostegno all’occupazione, riforma mercato del lavoro e ammortizzatori sociali (5-10 miliardi di euro);
d) piano per un Nuovo welfare (10-15 miliardi di euro);
e) restituzione fiscale (15-20 miliardi di euro).
Le risorse totali necessarie ammontano circa a 50-60 miliardi in un triennio, in parte aggiuntive, in parte sostitutive, e possono essere recuperate attraverso:
a) la riforma organica del sistema fiscale fondata su un recupero strutturale del reddito evaso, un allargamento delle basi imponibili; una maggiore progressività dell’imposizione tributaria nel suo complesso può generare maggiori entrate per un ammontare di almeno 40 miliardi di euro annui;
b) la riduzione dei costi della politica e degli sprechi e la redistribuzione della spesa pubblica possono produrre almeno 20 miliardi di euro di risparmi strutturali;
c) il riordino di agevolazioni e trasferimenti alle imprese, per recuperare almeno 10 miliardi;
d) l’utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie (verso “valori collettivi e finalità di utilità generale”, così come previsto dall’ordinamento italiano, legge 218/1990), soprattutto per il piano per il Nuovo welfare;
e) l’utilizzo programmato dei Fondi europei;
f) lo scorporo degli investimenti dai criteri di applicazione del Patto di stabilità e crescita;
g) l’utilizzo dei Fondi pensione attraverso progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti previdenziali;
h) la Cassa depositi e prestiti, sull’esempio della Caisse des Dépots francese, deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, oltre l’orizzonte temporale degli operatori tradizionali, su progetti di sviluppo e infrastrutturali per investimenti strategici e di lungo periodo, sia per le pubbliche amministrazioni che per le società industriali, diventando così uno dei soggetti essenziali per l’innovazione e la riorganizzazione del Sistema paese.
Impatto del Piano
Una simulazione econometrica predisposta dal Cer ha calcolato l’impatto macroeconomico del Piano del lavoro Cgil. In sintesi, sulla base delle risorse recuperate attraverso le riforme proposte nel Piano (fisco, spesa pubblica, fondi europei ecc.), è stata realizzata una simulazione delle seguenti misure economiche dal 2013 al 2015:
• Progetti e programmi prioritari per 5 miliardi di euro;
• Piano straordinario per creazione diretta di lavoro per 15 miliardi di euro;
• Sostegno occupazione per 10 miliardi di euro;
• Restituzione fiscale per 15 miliardi di euro;
• Piano per Nuovo welfare (5 miliardi di euro, calcolati con il deflatore implicito dei consumi).
Rispetto allo scenario di base (realizzato sulle misure precedenti, in assenza di nuove politiche) l’attivazione del Piano del lavoro, in un triennio, potrebbe generare, in termini cumulati, una nuova crescita del Pil pari a +3,1 punti, +2,9 punti di nuova occupazione, sulla base di nuovi investimenti (+10,3 per cento), un aumento del reddito disponibile (+3,4 per cento) e dei consumi delle famiglie (+2,2 per cento) assieme a un ulteriore incremento delle esportazioni (+1,8), riducendo il tasso di disoccupazione nel 2015 al livello pre-crisi (7 per cento). Nella tabella che segue si riporta una simulazione di impatto del Piano del lavoro nel triennio in corso (2013-2015) a confronto con uno scenario base fondato sulle attuali politiche pubbliche e previsioni economiche.
Mutualizzazione del debito europeo e interventi - La crisi del debito sovrano che interessa l’Eurozona richiede un intervento decisivo e strutturale volto a rendere sostenibili i debiti dei differenti Stati membri al fine di riallineare la situazione economica, finanziaria e fiscale tra gli Stati più “forti” e gli Stati più “deboli”. L’intervento consiste nel graduale ritiro da parte della Bce - modificandone opportunamente lo statuto e i trattati istitutivi dei due fondi salva-stati, Esm e Efsf - di titoli di Stato per quasi 1.900 miliardi di euro (cifra pari alla somma del 20% del Pil di ciascun Paese).
Le Regioni e le autonomie locali definiscono con parti sociali, università, centri di ricerca e altri soggetti progetti operativi che in coerenza con le linee pluriennali affrontano le specificità regionali e del territorio. Il Piano del lavoro si attua per linee di cofinanziamento pubblico-pubblico (nazionale, regionale, locale) e pubblico-privato sottoposte all’approvazione dei progetti operativi e a verifiche di realizzazione, alle condizioni di necessità, fattibilità, innovazione, coinvolgimento di volta in volta predefinite.
Il Piano del lavoro è aperto a contributi, integrazioni, miglioramenti sia sul versante del percorso sia dei suoi progetti. Il Piano ha l’ambizione di confrontarsi con il prossimo governo e tutte le amministrazioni, per produrre una politica di creazione di lavoro e crescita. La sua fase di avvio e il suo attuarsi concreto sono affidati alla concertazione e contrattazione territoriale unitaria, che, sulla base delle esperienze realizzate in questi anni, ha saputo costruire un patrimonio solido (seppure non omogeneo) di accordi e intese tra forze sociali e istituzioni territoriali. L’attività delle strutture sindacali regionali e territoriali, poiché svolge funzioni di rappresentanza diversa e più ampia di quella propria, dovrà sperimentare pratiche di fattiva partecipazione, di confronto, di collaborazione e di verifica con la società civile.
Sostenibilità del Piano
Per realizzare il nuovo Piano del lavoro occorrono risorse da dedicare principalmente a:
a) progetti operativi (4-10 miliardi di euro);
b) programmi del Piano straordinario di creazione diretta di lavoro (15-20 miliardi di euro);
c) sostegno all’occupazione, riforma mercato del lavoro e ammortizzatori sociali (5-10 miliardi di euro);
d) piano per un Nuovo welfare (10-15 miliardi di euro);
e) restituzione fiscale (15-20 miliardi di euro).
Le risorse totali necessarie ammontano circa a 50-60 miliardi in un triennio, in parte aggiuntive, in parte sostitutive, e possono essere recuperate attraverso:
a) la riforma organica del sistema fiscale fondata su un recupero strutturale del reddito evaso, un allargamento delle basi imponibili; una maggiore progressività dell’imposizione tributaria nel suo complesso può generare maggiori entrate per un ammontare di almeno 40 miliardi di euro annui;
b) la riduzione dei costi della politica e degli sprechi e la redistribuzione della spesa pubblica possono produrre almeno 20 miliardi di euro di risparmi strutturali;
c) il riordino di agevolazioni e trasferimenti alle imprese, per recuperare almeno 10 miliardi;
d) l’utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie (verso “valori collettivi e finalità di utilità generale”, così come previsto dall’ordinamento italiano, legge 218/1990), soprattutto per il piano per il Nuovo welfare;
e) l’utilizzo programmato dei Fondi europei;
f) lo scorporo degli investimenti dai criteri di applicazione del Patto di stabilità e crescita;
g) l’utilizzo dei Fondi pensione attraverso progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti previdenziali;
h) la Cassa depositi e prestiti, sull’esempio della Caisse des Dépots francese, deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, oltre l’orizzonte temporale degli operatori tradizionali, su progetti di sviluppo e infrastrutturali per investimenti strategici e di lungo periodo, sia per le pubbliche amministrazioni che per le società industriali, diventando così uno dei soggetti essenziali per l’innovazione e la riorganizzazione del Sistema paese.
Impatto del Piano
Una simulazione econometrica predisposta dal Cer ha calcolato l’impatto macroeconomico del Piano del lavoro Cgil. In sintesi, sulla base delle risorse recuperate attraverso le riforme proposte nel Piano (fisco, spesa pubblica, fondi europei ecc.), è stata realizzata una simulazione delle seguenti misure economiche dal 2013 al 2015:
• Progetti e programmi prioritari per 5 miliardi di euro;
• Piano straordinario per creazione diretta di lavoro per 15 miliardi di euro;
• Sostegno occupazione per 10 miliardi di euro;
• Restituzione fiscale per 15 miliardi di euro;
• Piano per Nuovo welfare (5 miliardi di euro, calcolati con il deflatore implicito dei consumi).
Rispetto allo scenario di base (realizzato sulle misure precedenti, in assenza di nuove politiche) l’attivazione del Piano del lavoro, in un triennio, potrebbe generare, in termini cumulati, una nuova crescita del Pil pari a +3,1 punti, +2,9 punti di nuova occupazione, sulla base di nuovi investimenti (+10,3 per cento), un aumento del reddito disponibile (+3,4 per cento) e dei consumi delle famiglie (+2,2 per cento) assieme a un ulteriore incremento delle esportazioni (+1,8), riducendo il tasso di disoccupazione nel 2015 al livello pre-crisi (7 per cento). Nella tabella che segue si riporta una simulazione di impatto del Piano del lavoro nel triennio in corso (2013-2015) a confronto con uno scenario base fondato sulle attuali politiche pubbliche e previsioni economiche.
Mutualizzazione del debito europeo e interventi - La crisi del debito sovrano che interessa l’Eurozona richiede un intervento decisivo e strutturale volto a rendere sostenibili i debiti dei differenti Stati membri al fine di riallineare la situazione economica, finanziaria e fiscale tra gli Stati più “forti” e gli Stati più “deboli”. L’intervento consiste nel graduale ritiro da parte della Bce - modificandone opportunamente lo statuto e i trattati istitutivi dei due fondi salva-stati, Esm e Efsf - di titoli di Stato per quasi 1.900 miliardi di euro (cifra pari alla somma del 20% del Pil di ciascun Paese).
Da Rassegna sindacale.it
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