di ANTONINO G.
MARCHESE
San Tommaso d’Aquino era convinto che
oltre agli uomini (e agli animali) anche le piante avessero un’anima. Che
l’uomo e la vegetazione condividano le stesse radici è confermato, del resto,
dal popolare film di fantascienza Avatar
(2009) di James Cameron, ma già Omero nel mito del talamo di Ulisse, scolpito
dall’eroe nel tronco di un grande albero d’ulivo (il cui segreto sarà dirimente
nel farsi riconoscere dalla moglie Penelope, al suo ritorno in patria), aveva
creato il prototipo (ancor meglio, forse, che l’albero della Conoscenza
dell’Eden biblico) di una civiltà nata dallo stretto connubio tra l’uomo e
l’albero, le cui mitiche implicazioni hanno attraversato la storia del mondo,
sino a produrre il celebre Dialogo
dell’albero (1925) di Paul Valéry, a parte Il ramo d’oro (1890) dell’etnologo inglese James G. Frazer e il più
recente Albero degli zoccoli (1978)
del cineasta italiano Ermanno Olmi. Appena sei anni dopo la pubblicazione
del volume del famoso poeta francese, tradotto in italiano da Vittorio Sereni,
nel 1931, l’Italia fascista veniva colpita da un grave lutto, quale la morte
per incidente aereo del giornalista Arnaldo Mussolini, fratello minore del Duce,
il quale dispose in sua memoria la piantumazione di un albero di palma
dattifera in ogni provincia d’Italia, quasi come in un grande parco “nazionale”
della rimembranza, sullo schema dei parchi in onore dei caduti della Grande
Guerra, alla quale peraltro Arnaldo aveva partecipato.
Ciascuna provincia doveva scegliere, a sua volta, per sorteggio, il rispettivo comune. Per la provincia di Palermo il “destino” volle che ad accogliere la “palma di Arnaldo” fosse Giuliana, ove la pianticella venne messa a dimora in una piazzetta del centro storico, tra la via Chiesa Madre e la via San Nicolò di Bari. Fermo restando che il parallelismo tra l’ulivo di Ulisse e la palma di Arnaldo è tutt’altro che peregrino, ove si ricordi che la Domenica precedente alla festa cristiana della Pasqua di Resurrezione (cioè la Domenica delle Palme) vengono benedetti rami di palma e d’ulivo, in ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, sulla scia di un passo dei Salmi (“il giusto fiorisce come palma”, 92, 13), è da dire in proposito che la palma dattifera, a giudizio di Hans Biedermann, illustre esperto di simbologia, «per il suo fusto slanciato e diritto e per la chioma rigogliosa, sembra suggerire l’ascesa, la vittoria e la rinascita».
La piazzetta di Giuliana che accolse la
palma di Arnaldo, durante l’amministrazione del sindaco-fabbro Mariano
Cicchirillo, di ideologia marxista-gramsciana, assunse il nome di “Piazza della
Libertà” (così come lo slargo dinanzi al Municipio vecchio, in Salita Castello
venne chiamato “Piazza del Popolo”). Cicchirillo, per la comunità locale “don
Mario”, che fu sindaco socialcomunista per tre volte consecutive, dal 1956 al
1968, dalla piazzuola del circolo dei
mastri (“Artistico-agricolo”), in Piazza della Repubblica (già Gioeni,
meglio nota come ‘u chianu du Gulizzanti),
che dista un tiro di schioppo dalla piazzetta della Libertà, soleva fare
discorsi politici retoricamente elaborati (siamo del resto nella terra di
Gorgia), facendo credere agli sprovveduti ascoltatori di essere capace con la sua
dialettica di trasformare «quella palma [indicandola col dito] in quercia», parole veramente “profetiche” ove si
pensi che a distanza di qualche decennio, nel 1991, l’allora segretario del
Partito Comunista Italiano, Achille Occhetto, avrebbe apposto sull’emblema del
suo partito, sopra il simbolo della falce e martello, proprio una bella
quercia! (Erano gli anni, quelli, in cui i partiti della cosiddetta Prima
Repubblica, a corto di idee, ricorrevano ai negozi di piante e fiori per i loro
emblemi: il garofano per Craxi, la rosa per Pannella e via politicando).
Tuttavia, un collega-fabbro di Cicchirillo,
Francesco Marcianti (alias Ciccinu ‘u longu), d’ispirazione democristiana,
non era per nulla disposto a credere a quelle alchimie politiche, se, durante
una libera conversazione di piazza, in mia presenza, affermò candidamente: «Ma se quella è una palma, poiché io l’ho vista piantare, com’è che don
Mario può trasformarla in quercia?». Al che io, prontamente, ho chiesto
riferimenti specifici su quella circostanza storica, apprendendo la notizia
della palma in onore di Arnaldo Mussolini che ho riportato, sinteticamente,
nella guida di Giuliana delle edizioni Kalòs (2002, p. 8). Aggiungo, inoltre,
che la messa a dimora della palma commemorativa vide la partecipazione della
cittadinanza tutta e della banda musicale (della quale faceva parte lo stesso
Marcianti), oltre naturalmente degli esponenti locali del regime che hanno
voluto, nell’occasione, intestare il fascio di Giuliana ad Arnaldo Mussolini.
Titolo che dava il privilegio al comune di Giuliana di potere aprire i cortei
nelle sfilate periodiche che si facevano in Palermo in onore del duce, non
senza qualche tafferuglio con altri comuni dell’isola, i quali avanzavano
privilegi di altra natura per potere sfilare in testa (secondo la testimonianza
di mia madre che partecipò, in età scolare, ad alcune di tali sfilate come
giovane fascista).
Totò Colletti mi ricorda che nei primi
tempi le capre (che giravano la mattina il paese guidate dai loro pastori per
la vendita del latte porta a porta) l’avevano presa di mira, per cui il
podestà, Giuseppe Musso Planeta (alias
don Nonò), pensò bene di farla proteggere con una ringhiera in ferro, che
esisteva ancora negli anni Cinquanta, all’epoca della mia infanzia, allorché i
ragazzi che frequentavamo la piazza eravamo soliti giocare attorno alla palma,
ma con un rispetto veramente straordinario (quasi “sacrale”, come ricordano
ancora oggi Giulio e Santino), in un’epoca in cui si celebrava nelle scuole
primarie la “festa degli alberi” (ignoro se tale tradizione persiste ancora).
Intanto la palma di Arnaldo si faceva
adulta (raggiungendo i cinque metri di altezza), mentre il recinto in ferro
veniva rimosso lasciando la sua impronta alla base del tronco, e la piazzetta
continuava a mantenere il toponimo per antonomasia, ‘a Parma, a dispetto dei buoni propositi del sindaco Cicchirillo
(che aveva creato un curioso ossimoro tra la piazza della Libertà ed il personaggio del vecchio regime).
Che la palma monumentale di Arnaldo sia
un bene culturale per Giuliana (come i platani di Villa Borghese e i cipressi
di Bolgheri, quest’ultimi cantati dal Carducci) è fuor di dubbio. Purtroppo,
come tutti gli esseri viventi essa è destinata a morire. Anzi è in fin di vita,
non però per “morte naturale”, bensì per avere contratto (sin dallo scorso
autunno) l’infezione del ben tristemente noto Punteruolo rosso (Ryncholorus ferrugineus). Se è vero però
che il Punteruolo fa il suo “mestiere” di coleottero, è pur vero che esso ha
trovato libero campo in un paese, come Giuliana, ove l’amministrazione
comunale, immobilista e sonnolente (oltreché incolta), non si è minimamente
preoccupata di fare opera di prevenzione (come è stato fatto in altri centri
del Corleonese: Contessa Entellina, Marineo e Corleone), col trattamento antiparassitario
mensile, secondo i suggerimenti del professore Salvatore Raimondi, docente
della Facoltà di Agraria dell’Ateneo palermitano, che ha avuto l’idea di creare
un osservatorio sovraccomunale per la formazione di un gruppo di pronto
intervento, a seguito di un Convegno di studi, organizzato il 24 aprile 2009,
dal Rotary Club di Corleone, dal “profetico” titolo: “Rete per la cattura massale
del punteruolo rosso delle palme, per prevenire l’infestazione nelle aree
interne del Palermitano”.
Ma l’amministrazione comunale di
Giuliana era attenta e solerte a celebrare, con piglio istrionico, la memoria del
cosiddetto eroe dei Due Mondi, con l’intitolazione della “Piazzetta Garibaldi”
(nello slargo San Giuliano, dinanzi l’edificio delle Scuole Elementari), nel
150° anniversario dell’Unità d’Italia (1861-2011). Iniziativa tanto più
grottesca ove si pensi che la stessa non ha provveduto a ripristinare le targhe
(scomparse) delle vie dedicate alle glorie locali (Ferraro e Santoro) e della
piazza dedicata alla mascotte della storia locale, l’Infanta Eleonora; comunque
irrispettosa nei confronti della scelta politica dei nostri antenati
giulianesi, i quali durante l’impresa garibaldina (maggio 1860) si mantennero
fermamente filoborbonici, scacciando la colonna Orsini inviata da Garibaldi
verso Corleone e Giuliana onde “distrarre” il grosso dell’esercito borbonico
del generale Von Meckel da Palermo e potere, quindi, occupare più facilmente la
città capitale. La colonna Orsini, che voleva insediarsi nel nostro castello,
con i pochi sgangherati cannoni, fu dispersa dai giulianesi e i suoi 150
componenti, “come pecore sparse” (secondo la testimonianza del capitano
garibaldino Oddo), proseguirono verso Sambuca. Lo stesso episodio storico è
stato, peraltro, ricordato da Leonardo Sciascia ne La corda pazza (1970).
Quindi, con questa scelta insensata di
dedicare al Garibaldi una piazza in Giuliana, l’amministrazione comunale
odierna non ha fatto altro che confermare un antico proverbio locale, che
recita: «Quando la moda arriva a Giuliana, vuol dire che è già tramontata».
Infatti, la moda delle vie “risorgimentali” è arrivata a Giuliana ben 150 anni
dopo, quando cioè in altri comuni dell’isola, come Castelvetrano e Capo
d’Orlando, i sindaci aboliscono dalla toponomastica il nome di Giuseppe
Garibaldi, detronizzandolo da quell’aura mitica costruita ad arte da una
storiografia a servizio di quella borghesia trasformista (forse più del virus
antinfluenzale) che ha voluto l’Unità d’Italia e che tiene ancora oggi le leve
del potere. Va ricordata, in proposito, la celebre frase di un esponente
dell’aristocrazia isolana che si legge nel romanzo I viceré di Federico de Roberto: «Dopo aver fatto l’Italia dobbiamo
fare gli affari nostri». Per di più, il primo cittadino del centro messinese,
dopo aver divelto la targa dedicata all’eroe dei Due Mondi, ha voluto portare
fino alle estreme conseguenze la querelle
antigaribaldina, aggiungendo alla targa di “via Nino Bixio” (cioè il braccio
destro di Garibaldi nella spedizione dei Mille) la dicitura esplicativa «autore
del massacro di Bronte (agosto 1860)» (vedi “Giornale di Sicilia” del 26
ottobre 2012, p. 16).
I nostri antenati giulianesi avevano
capito bene che l’Unità d’Italia voluta dai mille “patrioti” del Nord, in gran
parte lombardi, venuti a “liberare”, a loro dire, la Sicilia dai Borboni (di
uno stato cioè il più florido, economicamente e culturalmente, di tutti quelli
preunitari!), era una bella impostura, come confermato a distanza di 150 anni
dai loro eredi e successori, trasformatisi in “patrioti” della Padania, che
aspirano piuttosto alla dis-Unità d’Italia, con le loro pretese federalistiche.
In tal senso, la “piazzetta Garibaldi” suona come una menzogna ai danni
soprattutto di quei ragazzi che frequentano la scuola primaria, proprio nel
momento in cui i testi scolastici sono ben più propensi nei confronti di un
revisionismo storico del nostro Risorgimento (basti ricordare il pensiero di
Alberto M. Banti, per il quale l’Unità
d’Italia non era una “necessità storica”, o di Eugenio Di Rienzo, laddove ci
ricorda che «l’unione politica del Sud all’Italia avvenne senza il consenso ma
anzi contro la volontà della maggioranza delle popolazioni meridionali»; vedi Il Regno delle Due Sicilie e le potenze
europee, 1830-1861, Rubbettino editore, 2011, p. 12). Ed è così che, con la
perdita della palma di Arnaldo, Giuliana perde anche quel primato nazionale di
essere stato sino ad oggi uno fra i pochissimi comuni d’Italia a non possedere
vie o piazze intestate a personaggi del Risorgimento, unendosi al coro
dell’omologazione socio-politico-culturale di stampo nazionalpopolare, ma
cantando, al tempo stesso, con la morte di “Nonna Palma”, il Requiem Giulianese (che il maestro Saro
Colletti ritengo sia propenso a comporre).
Antonino G. Marchese
Le foto sono di Provvidenza Carlino e Pasquale Verchiani.
3 commenti:
Uno storiografo come il dottor Marchese,non poteva esporre meglio, e con dovizia di particolari storici, intrecciati ad ironici "fatti" locali, una pagina di storia interessante e pregna... come sempre grazie. Antonella Guzzardo della Biblioteca di Contessa Entellina
Carissimo Marchese, la Sua informatissima carrellata sulla storia di ieri, e la luce, che Lei proietta su ciò che accadde realmente, rivelano la personalità di uno storico, che ama la verità. Antonio Gramsci sul frontespizio del suo giornale appose la seguente frase: "La verità è rivoluzionaria". Un affettuoso saluto da Francesco Paolo Magno.
Grazie al nostro storico Antonino Giuseppe Marchese per aver pubblicato questo articolo rendendoci partecipi di un tratto di storia di Giuliana che a tanti poteva mancare. Personalmente mi ha fatto piacere leggerlo perchè anch'io come tutti i giulianesi sono legata a quell'albero e adesso quando passo da lì provo un senso di malessere simile al dolore che si prova al capezzale di un parente in agonia. Purtroppo penso che ormai sia troppo tardi per salvarla, se davvero ci sono i mezzi per farlo. Devo constatare che il punteruolo rosso ha fatto una strage di questi bellissimi alberi un po' dappertutto. Sono convinta che per tanti di noi quella piazzetta resterà sempre "a parma" e che quella pianta continuerà a vivere a lungo nei cuori di ognuno anche grazie agli scritti di Giuseppe Marchese che permetteranno ai posteri di conoscere la nostra storia.
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