mercoledì, gennaio 23, 2013

Giuliana, addio alla palma di Arnaldo…


di ANTONINO G. MARCHESE
 San Tommaso d’Aquino era convinto che oltre agli uomini (e agli animali) anche le piante avessero un’anima. Che l’uomo e la vegetazione condividano le stesse radici è confermato, del resto, dal popolare film di fantascienza Avatar (2009) di James Cameron, ma già Omero nel mito del talamo di Ulisse, scolpito dall’eroe nel tronco di un grande albero d’ulivo (il cui segreto sarà dirimente nel farsi riconoscere dalla moglie Penelope, al suo ritorno in patria), aveva creato il prototipo (ancor meglio, forse, che l’albero della Conoscenza dell’Eden biblico) di una civiltà nata dallo stretto connubio tra l’uomo e l’albero, le cui mitiche implicazioni hanno attraversato la storia del mondo, sino a produrre il celebre Dialogo dell’albero (1925) di Paul Valéry, a parte Il ramo d’oro (1890) dell’etnologo inglese James G. Frazer e il più recente Albero degli zoccoli (1978) del cineasta italiano Ermanno Olmi. Appena sei anni dopo la pubblicazione del volume del famoso poeta francese, tradotto in italiano da Vittorio Sereni, nel 1931, l’Italia fascista veniva colpita da un grave lutto, quale la morte per incidente aereo del giornalista Arnaldo Mussolini, fratello minore del Duce, il quale dispose in sua memoria la piantumazione di un albero di palma dattifera in ogni provincia d’Italia, quasi come in un grande parco “nazionale” della rimembranza, sullo schema dei parchi in onore dei caduti della Grande Guerra, alla quale peraltro Arnaldo aveva partecipato.

Ciascuna provincia doveva scegliere, a sua volta, per sorteggio, il rispettivo comune. Per la provincia di Palermo il “destino” volle che ad accogliere la “palma di Arnaldo” fosse Giuliana, ove la pianticella venne messa a dimora in una piazzetta del centro storico, tra la via Chiesa Madre e la via San Nicolò di Bari. Fermo restando che il parallelismo tra l’ulivo di Ulisse e la palma di Arnaldo è tutt’altro che peregrino, ove si ricordi che la Domenica precedente alla festa cristiana della Pasqua di Resurrezione (cioè la Domenica delle Palme) vengono benedetti rami di palma e d’ulivo, in ricordo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, sulla scia di un passo dei Salmi (“il giusto fiorisce come palma”, 92, 13), è da dire in proposito che la palma dattifera, a giudizio di Hans Biedermann, illustre esperto di simbologia, «per il suo fusto slanciato e diritto e per la chioma rigogliosa, sembra suggerire l’ascesa, la vittoria e la rinascita».
La piazzetta di Giuliana che accolse la palma di Arnaldo, durante l’amministrazione del sindaco-fabbro Mariano Cicchirillo, di ideologia marxista-gramsciana, assunse il nome di “Piazza della Libertà” (così come lo slargo dinanzi al Municipio vecchio, in Salita Castello venne chiamato “Piazza del Popolo”). Cicchirillo, per la comunità locale “don Mario”, che fu sindaco socialcomunista per tre volte consecutive, dal 1956 al 1968, dalla piazzuola del circolo dei mastri (“Artistico-agricolo”), in Piazza della Repubblica (già Gioeni, meglio nota come ‘u chianu du Gulizzanti), che dista un tiro di schioppo dalla piazzetta della Libertà, soleva fare discorsi politici retoricamente elaborati (siamo del resto nella terra di Gorgia), facendo credere agli sprovveduti ascoltatori di essere capace con la sua dialettica di trasformare «quella palma [indicandola col dito] in quercia», parole veramente “profetiche” ove si pensi che a distanza di qualche decennio, nel 1991, l’allora segretario del Partito Comunista Italiano, Achille Occhetto, avrebbe apposto sull’emblema del suo partito, sopra il simbolo della falce e martello, proprio una bella quercia! (Erano gli anni, quelli, in cui i partiti della cosiddetta Prima Repubblica, a corto di idee, ricorrevano ai negozi di piante e fiori per i loro emblemi: il garofano per Craxi, la rosa per Pannella e via politicando).
Tuttavia, un collega-fabbro di Cicchirillo, Francesco Marcianti (alias Ciccinu ‘u longu), d’ispirazione democristiana, non era per nulla disposto a credere a quelle alchimie politiche, se, durante una libera conversazione di piazza, in mia presenza, affermò candidamente: «Ma se quella è una palma, poiché io l’ho vista piantare, com’è che don Mario può trasformarla in quercia?». Al che io, prontamente, ho chiesto riferimenti specifici su quella circostanza storica, apprendendo la notizia della palma in onore di Arnaldo Mussolini che ho riportato, sinteticamente, nella guida di Giuliana delle edizioni Kalòs (2002, p. 8). Aggiungo, inoltre, che la messa a dimora della palma commemorativa vide la partecipazione della cittadinanza tutta e della banda musicale (della quale faceva parte lo stesso Marcianti), oltre naturalmente degli esponenti locali del regime che hanno voluto, nell’occasione, intestare il fascio di Giuliana ad Arnaldo Mussolini. Titolo che dava il privilegio al comune di Giuliana di potere aprire i cortei nelle sfilate periodiche che si facevano in Palermo in onore del duce, non senza qualche tafferuglio con altri comuni dell’isola, i quali avanzavano privilegi di altra natura per potere sfilare in testa (secondo la testimonianza di mia madre che partecipò, in età scolare, ad alcune di tali sfilate come giovane fascista).
Totò Colletti mi ricorda che nei primi tempi le capre (che giravano la mattina il paese guidate dai loro pastori per la vendita del latte porta a porta) l’avevano presa di mira, per cui il podestà, Giuseppe Musso Planeta (alias don Nonò), pensò bene di farla proteggere con una ringhiera in ferro, che esisteva ancora negli anni Cinquanta, all’epoca della mia infanzia, allorché i ragazzi che frequentavamo la piazza eravamo soliti giocare attorno alla palma, ma con un rispetto veramente straordinario (quasi “sacrale”, come ricordano ancora oggi Giulio e Santino), in un’epoca in cui si celebrava nelle scuole primarie la “festa degli alberi” (ignoro se tale tradizione persiste ancora).
Intanto la palma di Arnaldo si faceva adulta (raggiungendo i cinque metri di altezza), mentre il recinto in ferro veniva rimosso lasciando la sua impronta alla base del tronco, e la piazzetta continuava a mantenere il toponimo per antonomasia, ‘a Parma, a dispetto dei buoni propositi del sindaco Cicchirillo (che aveva creato un curioso ossimoro tra la piazza della Libertà ed il personaggio del vecchio regime).
Che la palma monumentale di Arnaldo sia un bene culturale per Giuliana (come i platani di Villa Borghese e i cipressi di Bolgheri, quest’ultimi cantati dal Carducci) è fuor di dubbio. Purtroppo, come tutti gli esseri viventi essa è destinata a morire. Anzi è in fin di vita, non però per “morte naturale”, bensì per avere contratto (sin dallo scorso autunno) l’infezione del ben tristemente noto Punteruolo rosso (Ryncholorus ferrugineus). Se è vero però che il Punteruolo fa il suo “mestiere” di coleottero, è pur vero che esso ha trovato libero campo in un paese, come Giuliana, ove l’amministrazione comunale, immobilista e sonnolente (oltreché incolta), non si è minimamente preoccupata di fare opera di prevenzione (come è stato fatto in altri centri del Corleonese: Contessa Entellina, Marineo e Corleone), col trattamento antiparassitario mensile, secondo i suggerimenti del professore Salvatore Raimondi, docente della Facoltà di Agraria dell’Ateneo palermitano, che ha avuto l’idea di creare un osservatorio sovraccomunale per la formazione di un gruppo di pronto intervento, a seguito di un Convegno di studi, organizzato il 24 aprile 2009, dal Rotary Club di Corleone, dal “profetico” titolo: “Rete per la cattura massale del punteruolo rosso delle palme, per prevenire l’infestazione nelle aree interne del Palermitano”.
Ma l’amministrazione comunale di Giuliana era attenta e solerte a celebrare, con piglio istrionico, la memoria del cosiddetto eroe dei Due Mondi, con l’intitolazione della “Piazzetta Garibaldi” (nello slargo San Giuliano, dinanzi l’edificio delle Scuole Elementari), nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia (1861-2011). Iniziativa tanto più grottesca ove si pensi che la stessa non ha provveduto a ripristinare le targhe (scomparse) delle vie dedicate alle glorie locali (Ferraro e Santoro) e della piazza dedicata alla mascotte della storia locale, l’Infanta Eleonora; comunque irrispettosa nei confronti della scelta politica dei nostri antenati giulianesi, i quali durante l’impresa garibaldina (maggio 1860) si mantennero fermamente filoborbonici, scacciando la colonna Orsini inviata da Garibaldi verso Corleone e Giuliana onde “distrarre” il grosso dell’esercito borbonico del generale Von Meckel da Palermo e potere, quindi, occupare più facilmente la città capitale. La colonna Orsini, che voleva insediarsi nel nostro castello, con i pochi sgangherati cannoni, fu dispersa dai giulianesi e i suoi 150 componenti, “come pecore sparse” (secondo la testimonianza del capitano garibaldino Oddo), proseguirono verso Sambuca. Lo stesso episodio storico è stato, peraltro, ricordato da Leonardo Sciascia ne La corda pazza (1970).
Quindi, con questa scelta insensata di dedicare al Garibaldi una piazza in Giuliana, l’amministrazione comunale odierna non ha fatto altro che confermare un antico proverbio locale, che recita: «Quando la moda arriva a Giuliana, vuol dire che è già tramontata». Infatti, la moda delle vie “risorgimentali” è arrivata a Giuliana ben 150 anni dopo, quando cioè in altri comuni dell’isola, come Castelvetrano e Capo d’Orlando, i sindaci aboliscono dalla toponomastica il nome di Giuseppe Garibaldi, detronizzandolo da quell’aura mitica costruita ad arte da una storiografia a servizio di quella borghesia trasformista (forse più del virus antinfluenzale) che ha voluto l’Unità d’Italia e che tiene ancora oggi le leve del potere. Va ricordata, in proposito, la celebre frase di un esponente dell’aristocrazia isolana che si legge nel romanzo I viceré di Federico de Roberto: «Dopo aver fatto l’Italia dobbiamo fare gli affari nostri». Per di più, il primo cittadino del centro messinese, dopo aver divelto la targa dedicata all’eroe dei Due Mondi, ha voluto portare fino alle estreme conseguenze la querelle antigaribaldina, aggiungendo alla targa di “via Nino Bixio” (cioè il braccio destro di Garibaldi nella spedizione dei Mille) la dicitura esplicativa «autore del massacro di Bronte (agosto 1860)» (vedi “Giornale di Sicilia” del 26 ottobre 2012, p. 16).
I nostri antenati giulianesi avevano capito bene che l’Unità d’Italia voluta dai mille “patrioti” del Nord, in gran parte lombardi, venuti a “liberare”, a loro dire, la Sicilia dai Borboni (di uno stato cioè il più florido, economicamente e culturalmente, di tutti quelli preunitari!), era una bella impostura, come confermato a distanza di 150 anni dai loro eredi e successori, trasformatisi in “patrioti” della Padania, che aspirano piuttosto alla dis-Unità d’Italia, con le loro pretese federalistiche. In tal senso, la “piazzetta Garibaldi” suona come una menzogna ai danni soprattutto di quei ragazzi che frequentano la scuola primaria, proprio nel momento in cui i testi scolastici sono ben più propensi nei confronti di un revisionismo storico del nostro Risorgimento (basti ricordare il pensiero di Alberto    M. Banti, per il quale l’Unità d’Italia non era una “necessità storica”, o di Eugenio Di Rienzo, laddove ci ricorda che «l’unione politica del Sud all’Italia avvenne senza il consenso ma anzi contro la volontà della maggioranza delle popolazioni meridionali»; vedi Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee, 1830-1861, Rubbettino editore, 2011, p. 12). Ed è così che, con la perdita della palma di Arnaldo, Giuliana perde anche quel primato nazionale di essere stato sino ad oggi uno fra i pochissimi comuni d’Italia a non possedere vie o piazze intestate a personaggi del Risorgimento, unendosi al coro dell’omologazione socio-politico-culturale di stampo nazionalpopolare, ma cantando, al tempo stesso, con la morte di “Nonna Palma”, il Requiem Giulianese (che il maestro Saro Colletti ritengo sia propenso a comporre).
Antonino G. Marchese

Le foto sono di Provvidenza Carlino e Pasquale Verchiani.

3 commenti:

antonella ha detto...

Uno storiografo come il dottor Marchese,non poteva esporre meglio, e con dovizia di particolari storici, intrecciati ad ironici "fatti" locali, una pagina di storia interessante e pregna... come sempre grazie. Antonella Guzzardo della Biblioteca di Contessa Entellina

Unknown ha detto...

Carissimo Marchese, la Sua informatissima carrellata sulla storia di ieri, e la luce, che Lei proietta su ciò che accadde realmente, rivelano la personalità di uno storico, che ama la verità. Antonio Gramsci sul frontespizio del suo giornale appose la seguente frase: "La verità è rivoluzionaria". Un affettuoso saluto da Francesco Paolo Magno.

Giovanna Antonina Catalanotto ha detto...

Grazie al nostro storico Antonino Giuseppe Marchese per aver pubblicato questo articolo rendendoci partecipi di un tratto di storia di Giuliana che a tanti poteva mancare. Personalmente mi ha fatto piacere leggerlo perchè anch'io come tutti i giulianesi sono legata a quell'albero e adesso quando passo da lì provo un senso di malessere simile al dolore che si prova al capezzale di un parente in agonia. Purtroppo penso che ormai sia troppo tardi per salvarla, se davvero ci sono i mezzi per farlo. Devo constatare che il punteruolo rosso ha fatto una strage di questi bellissimi alberi un po' dappertutto. Sono convinta che per tanti di noi quella piazzetta resterà sempre "a parma" e che quella pianta continuerà a vivere a lungo nei cuori di ognuno anche grazie agli scritti di Giuseppe Marchese che permetteranno ai posteri di conoscere la nostra storia.