di ANTONIO MAZZEO
Metà bancomat per alimentare il sistema di corruzione politico nazionale e metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende per mogli, amanti e figli dei potenti di turno. Dopo la Fiat, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia: produce aerei, elicotteri, locomotive, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra. Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano moltiplicando ordini e commesse. Una gallina dalle uova d’oro per manager e azionisti, tra questi ultimi il Ministero dell’economia e delle finanze della Repubblica italiana che ancora controlla il 30,2% del pacchetto azionario.
Metà bancomat per alimentare il sistema di corruzione politico nazionale e metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende per mogli, amanti e figli dei potenti di turno. Dopo la Fiat, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia: produce aerei, elicotteri, locomotive, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra. Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano moltiplicando ordini e commesse. Una gallina dalle uova d’oro per manager e azionisti, tra questi ultimi il Ministero dell’economia e delle finanze della Repubblica italiana che ancora controlla il 30,2% del pacchetto azionario.
Eppure l’holding esprime il volto peggiore della res publica.
E non certo solo per quello che produce o per i sanguinari clienti di
fiducia. Grazie ad un complesso meccanismo di scatole cinesi,
rigorosamente con sedi all’estero, Finmeccanica gode d’immensi privilegi
fiscali al limite dell’evasione. Negli ultimi tempi, poi, è sempre più
dentro alle cronache giudiziarie, oggetto d’inchieste delle Procure di
mezza Italia. Come quella sugli affari a suon di tangenti tra l’Enav,
l’ente nazionale per l’assistenza al volo, e la controllata Selex
Sistemi Integrati che ha costretto il potente amministratore delegato di
Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini e la moglie Marina Grossi (ad
di Selex) ad abbandonare prematuramente i profumatissimi incarichi. Tira
brutta aria
pure per il successore di Guarguaglini, Giuseppe Orsi, indagato per
corruzione internazionale e riciclaggio relativamente alla fornitura di
12 elicotteri AugustaWestland alle forze armate dell’India, una commessa
che secondo i magistrati romani avrebbe comportato il versamento di
tangenti per 41 milioni di euro ad alcuni funzionari indiani e di 10
milioni alla Lega di Bossi.
Sempre
a Roma s’indaga sulle presunte tangenti versate durante la vendita al
Comune di bus prodotti da Breda-Menarini, altra controllata
Finmeccanica. E pure sulle consulenze “inutili” che sarebbero state
affidate a Lisa Lowenstein, cittadina statunitense ed ex moglie di
Vittorio Grilli, odierno ministro dell’Economia. A metà ottobre, su
ordine dei magistrati di Napoli, è stato ordinato l’arresto
dell’ex-direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere,
nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti per la vendita di
aerei ed elicotteri a Panama e Russia e, con Fincantieri, di unità
navali al Brasile. E nelle indagini è stato coinvolto pure l’ex ministro
per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola.
Un
mese prima, invece, era finito in manette Pierluigi Romagnoli, ex
manager Alenia-Finmeccanica e responsabile export di EADS, il consorzio
internazionale di cui l’holding è socia nella produzione dei
cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon”. Romagnoli è stato accusato di
bancarotta fraudolenta e riciclaggio e nel mirino degli inquirenti c’è
la vendita sospetta di 15 aerei alle forze armate austriache.
L’ultimo
anno è stato uno dei più difficili della storia di Finmeccanica anche
dal punto di vista economico-finanziario. Nel 2011 tutti i risultati del
gruppo sono stati negativi: sono stati persi 2.306 milioni di euro,
contro i 557 guadagnati nel 2010. Gli ordini sono calati del 22%,
attestandosi a 17.434 milioni e i ricavi sono scesi del 7% rispetto
all’anno precedente. Dati ancora più drammatici sul fronte occupazione:
nell’ultimo biennio, Finmeccanica è passata da 75.000 a 69.000
dipendenti. L’indebitamento finanziario netto è stato stimato il 30
giugno 2012 a 4,656 miliardi di euro, mentre il valore delle azioni è
precipitato a 3,8 euro quando solo cinque anni prima ne valevano 21,2. A
complicare il quadro è giunta qualche settimana fa la notizia del
declassamento del
rating dell’azienda da parte di Moody’s da Alta ad Accettabile capacità di ripagare i debiti a breve termine.
Nonostante
siano state le scelte di puntare all’espansione del comparto bellico a
danno di quello civile ad accelerare la crisi di Finmeccanica (secondo
l’Istituto di ricerche svedese per la pace Sipri, il 58% del fatturato è
generato da vendite di armi), l’ultimo Cda ha presentato un piano di
“rilancio aziendale” che punta a concentrare gli sforzi quasi
esclusivamente nel settore aerospaziale e delle telecomunicazioni
militari. Tra gli obiettivi a breve e medio termine spiccano la
dismissione delle aziende che operano nel settore dell’energia e dei
trasporti (da cui i manager sperano di ricavare almeno un miliardo di
euro) e l’applicazione di “interventi di risparmio e razionalizzazione”
come ad esempio il “taglio” di oltre 900 dipendenti nelle industrie
aeree.
Prevista infine l’emissione di corporate bond per non meno di 750 milioni di euro, misura che sovraesporrà debitoriamente l’holding con il sistema bancario.
Intanto
proseguono le ristrutturazioni e le fusioni aziendali nel settore a
prevalente produzione bellica. Il polo aeronautico vede adesso operare
congiuntamente Alenia e Aermacchi: si realizzano i cacciabombardieri
“Tornado” ed “Eurofighter”, i velivoli da trasporto tattico C-27J
“Spartan” e gli aerei d’addestramento M-346 ed MB-339. L’azienda è anche
la capo commessa in Italia per il Joint Strike Fighter F-35, il
supercostoso bombardiere di ultima generazione a capacità nucleare ed è
la seconda maggior partecipante nel programma europeo “Neuron” per lo
sviluppo di un nuovo velivolo d’attacco a pilotaggio remoto (UCAV).
Sempre nell’ambito dei sistemi senza pilota che stanno rivoluzionando le
strategie di guerra aerea del XXI secolo, Alenia Aermacchi sta
sperimentando i dimostratori volanti “Sky-X” e “Sky-Y”.
Nel
settore degli elicotteri militari, la holding conta su AugustaWestland,
società produttrice dei modelli “NH90”, “AW129” e “Super Lynx 300” e
che sta per commercializzare il convertiplano BA609 (un ibrido di guerra, metà elicottero e metà aereo) e gli elicotteri “Future Lynx” e “AW149”. Grazie ad Oto Melara, Finmeccanica controlla inoltre una fetta del mercato internazionale delle
artiglierie navali e terrestri, dei carri armati, dei blindati e dei
sistemi antiaerei. Attraverso le controllate Selex Sistemi Integrati,
Selex Communications e Selex Galileo (dal 1° gennaio 2013 opereranno
tutte sotto il marchio di Super Selex), il gruppo si è affermato nel
business dell’elettronica e dei sistemi di comando, controllo,
comunicazioni e
intelligence. Sta assumendo sempre più importanza pure il settore
spaziale, dove Finmeccanica opera attraverso Telespazio (una joint
venture con la francese Thales), tra i principali operatori mondiali
nella gestione di satelliti, civili e militari. Altra joint venture di
importanza strategica è MBDA, azienda leader nella produzione di sistemi
missilistici, dove Finmeccanica è presente insieme ai colossi europei
BAE Systems ed EADS.
Nonostante
l’ampio ventaglio di clienti internazionali (compresi quei paesi che
dovrebbero essere posti sotto embargo perché belligeranti o violatori
dei diritti umani), nell’ultima decade è cresciuto il pressing e il
corteggiamento dei dirigenti di Finmeccanica verso l’Alleanza Atlantica e
il suo paese-guida, gli Stati Uniti d’America. E gli affari non sono
certo mancati.
Lo scorso mese di aprile Alenia Aermacchi si è aggiudicata un contratto dalla Netma - Nato Eurofigthter and Tornado Management Agency
del valore di oltre 500 milioni di euro per la fornitura di servizi di
supporto tecnico-logistico ai velivoli del programma “Eurofighter” in 4
nazioni (Italia, Germania, Spagna e Regno Unito). Selex
Elsag, specializzata nella progettazione dei sistemi di comunicazione
militare, in collaborazione con il colosso statunitense Northrop
Grumman, ha ottenuto dall’agenzia Consultation, Command and Control NC3A della Nato un contratto di 58 milioni di euro per l’implementazione e la gestione del programma Computer Incident Response Capability (NCIRC) - Full Operating Capability (FOC). Esso interesserà
circa 50 tra siti e comandi dell’Alleanza in 28 paesi ed è finalizzato a
“rilevare e rispondere in modo rapido ed efficace a minacce e
vulnerabilità legate alla sicurezza informatica (Cyber Security)”. Al programma è prevista pure la
partecipazione di Vega, la società
di consulenza ingegneristica nel settore aerospaziale e della difesa,
acquistata da Finmeccanica nel 2008 in Gran Bretagna. Sempre
in ambito Nato, Selex Elsag gestirà l’ammodernamento dei centri di
telecomunicazioni satellitari di Kester (Belgio), Lughezzano (Verona),
Oglaganasi (Turchia) e Atalanti (Grecia), nonché la formazione e
l’addestramento del personale militare presso la NATO Communications & Information Systems School di Borgo Piave, Latina.
Nel maggio 2011, la NATO Air Command and Control System Management Agency (NACMA) aveva affidato a Selex
un altro importante contratto del valore di 30 milioni di euro, per la
fornitura e l’installazione di sistemi di comunicazione in diversi siti
terrestri di Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia,
Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna,
Turchia e Ungheria, nell’ambito della cosiddetta Rete Link 16 che consente lo scambio dati con i vettori dell’Alleanza
nello spazio aereo europeo. Nell’ultimo biennio, l’agenzia NACMA ha affidato a Selex
Sistemi Integrati anche l’installazione nei siti Nato in Ungheria e
Norvegia di 173 posti operatore del sistema di comando e controllo aereo
ACCS e l’integrazione di 230 sensori per tutti gli undici siti di
replica ACCS dell’Alleanza (importo complessivo 24,5 milioni di euro).
In
ambito Nato, Finmeccanica è in corsa per aggiudicarsi una porzione
consistente del business relativo all’acquisizione di nuovi sistemi di
comando, telecomunicazione e intelligence e di “difesa” dai missili
balistici e di teatro. A fine ottobre, la NATO Communications and Information Agency
ha annunciato di essere pronta a spendere in questi settori sino a 2,1
miliardi di euro nei prossimi 18 mesi. Sistemi radar made in Italy per
la “costruzione di un’architettura anti-missili balistici” sarebbero
stati testati “con successo” in occasione di un’esercitazione
multinazionale (Ensemble Test 2) condotta da quest’ultima agenzia
dal 25 al 29 settembre scorso. “I test
hanno confermato la compatibilità del nuovo sensore italiano con la
nuova architettura di difesa missilistica dell’Alleanza”, ha dichiarato
il direttore del programma, Alessandro Pera. Nel corso
dell’esercitazione sono stati provati inoltre i “sistemi di difesa da
missili superficie-aria a medio raggio” di coproduzione franco-italiana e
il nuovissimo Principal Anti Air Missile System (PAAMS), il
sistema di armi anti-aeree che sarà installato a bordo delle fregate
europee di nuova generazione “Horizon”. A capo di PAAMS c’è un consorzio
di aziende internazionali il cui 77% dei capitali è in mano a MBDA
(partecipata Finmeccanica), mentre nella produzione delle nuove unità da
guerra sono presenti Fincantieri e la stessa Finmeccanica.
L’holding italiana si è preparata da tempo all’appuntamento con lo scudo anti-missili che la Nato intende dislocare anche “fuori dai confini geografici dell’alleanza” per la “protezione” delle unità impegnate in operazioni internazionali. Nel settembre 2005, Finmeccanica è entrata a far parte di Alliance Shield, un consorzio di cui fanno parte, tra gli altri, BAE
Systems e Lockheed Martin. Risale allo
stesso periodo il consolidamento della partnership di Finmeccanica con
il colosso statunitense delle armi: fu firmato infatti pure l’accordo
capestro per la produzione di piccole componenti dell’F-35 (Lockheed è
il prime contractor Nato ed extra Nato del cacciabombardiere) e, attraverso MBDA, per
lo sviluppo del controverso programma di “difesa” aerea a corto e medio
raggio “MEADS”, progettato in ambito alleato in vista della
sostituzione del sistema “Patriot” negli Stati Uniti e in Germania e “Nike Hercules” in Italia. Al “MEADS” Lockheed Martin partecipa con il 58% delle spese; il resto è sulle spalle di Germania (25%) e Italia (17%).
Più di un analista ha rilevato come scudi stellari, F-35 e MEADS
siano stati inseriti all’interno di un più ampio piano di cooperazione
bilaterale Italia-Usa che ha consentito, da una parte, l’accesso di
Finmeccanica alle commesse del Pentagono e, dall’altra, la piena
disponibilità dei governi nazionali (quello di centrosinistra con Prodi,
quello di centrodestra con Berlusconi e l’’odierno “tecnico” di Monti) a
concedere l’uso del territorio italiano per i piani di riarmo di
Washington (il Dal Molin di Vicenza, Sigonella “capitale mondiale dei
droni”, i Comandi US Africom a Vicenza e Napoli, l’installazione del
nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari MUOS a Niscemi, di
cui proprio Lockheed è il principale contractor).
“Il raddoppio della base americana di Vicenza sta terremotando il governo Prodi, che ha
deciso in quella direzione, forse, anche per evitare di compromettere
eventuali commesse militari che il Pentagono potrebbe, a breve,
assegnare ad aziende italiane”, segnalò Luciano Bertozzi sul mensile Nigrizia
nel numero del febbraio 2007. “Del resto, Finmeccanica è in lizza per
la fornitura alle forze armate di Washington di un grande numero di
aerei da trasporto militari, ma soprattutto è in ballo la realizzazione
dell’aereo più costoso della storia il JSF o F35, che sarà adottato,
oltre che dagli Usa, anche da numerosi Paesi Nato, con un giro di affari
di molti miliardi di dollari…”. Una specie di do ut des,
commesse in cambio di basi, facilitato dall’incondizionato sostegno
italiano agli interventi Usa e Nato in Afghanistan e Iraq nel nome della
“lotta al terrorismo” internazionale. Tra i maggiori interpreti, a
Roma, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, odierno ministro della difesa. La
decisione di acquistare i superbombardieri di Lockheed Martin e
lanciare Finmeccanica nella gara per lo scudo stellare è maturata quando
l’alto ufficiale ricopriva il ruolo di Segretario
Generale della Difesa - Direttore Nazionale degli Armamenti. Dopo che
Di Paola fu promosso
a Capo di Stato maggiore delle difesa (ruolo ricoperto dal marzo 2004
al febbraio 2008), l’Italia ha accolto le richieste di Washington per
trasferire a Vicenza la 173^ brigata aviotrasportata di US Army,
installare in Sicilia MUOS e Global Hawk e trasformare l’intera penisola in piattaforma avanzata per le nuove operazioni delle forze armate nel continente africano.
La sapiente tessitura di relazioni politiche, diplomatiche, militari e industriali sarà premiata il 21
ottobre 2008. In occasione del vertice tra il ministro della difesa
Ignazio La Russa e il segretario statunitense Robert M. Gates, viene firmato infatti un aggiornamento del Defense Procurement Memorandum of Understanding
in forza del quale, come recita il comunicato del Pentagono, “ogni
governo dà accesso al suo mercato della Difesa all’industria dell’altro
paese”. “L’accordo – si spiega ancora - favorisce la razionalizzazione,
la standardizzazione e l’interoperabilità degli equipaggiamenti per la
Difesa fra gli alleati e con gli altri governi alleati”. Italia e Stati
Uniti avevano firmato per la prima volta un accordo di cooperazione per
la produzione di sistemi di guerra nel 1978 e il Memorandum era stato rinnovato l’ultima volta nel 1990.
L’ingresso
delle aziende Finmeccanica nel mercato di guerra Usa rischia tuttavia
di trasformarsi a medio termine in un incubo per gli azionisti. Quello
che in un primo momento era stato festeggiato come un affare da 6-7
miliardi di dollari, la fornitura sino a 145 velivoli da trasporto tattico C-27J,
è oggi uno dei flop più clamorosi della storia dell’aeronautica
militare mondiale. Nel 2005, la controllata Alenia North America si era
alleata con L-3 Communications Integrated Systems, Boeing, Rolls
Royce e Honeywell per concorrere al programma Joint Cargo Aircraft per le necessità operative delle forze armate Usa in Iraq e Afghanistan. Due anni più tardi, in occasione della
visita in Italia dell’allora presidente Gorge Bush, il Pentagono
annunciò la decisione di assegnare al consorzio italo-statunitense la
miliardaria commessa, a condizione che realizzazione e assemblaggio dei
velivoli venissero affidati in buona parte agli
stabilimenti con sede negli States. Dopo massicci investimenti per
avviare la produzione, le aziende si videro però ridurre l’ordine a soli
38 cargo. Alla tredicesima consegna, nel gennaio 2012, la doccia
fredda: Washington potrebbe decidere di sospendere l’acquisto in
conseguenza dei tagli al bilancio richiesti dal Congresso.
Irrigidendo le politiche protezioniste con la scusa di voler fronteggiare la grave crisi economica ed occupazionale, nel
2009 Barack Obama ha pure deciso la cancellazione del programma per i
nuovi elicotteri presidenziali, basati sul modello “AW101” di
AgustaWestland. Nel gennaio 2005, l’azienda di Finmeccanica, in joint
venture con l’immancabile Lockheed Martin, aveva sottoscritto con le
autorità Usa un contratto da 6,5 miliardi di dollari per 23 velivoli. il
dietro front di Obama ha bruciato l’affare quando 7 elicotteri erano già stati costruiti.
Ancora peggio quanto si è verificato con l’acquisizione, nel
maggio 2008, di DRS Technologies, una delle maggiori fornitrici alle
forze armate Usa di apparecchiature e programmi di comando, controllo e
comunicazione, computer, sistemi d’intelligence e sorveglianza, centri
di elaborazione dati “Aegis” per unità navali, componenti varie per
carri armati “Abrams” e cacciabombardieri F-15 ed F-16.
Fondata nel 1968 a Parsipanny, località non molto distante da New York,
DRS occupa 10.000 dipendenti e ha un fatturato annuo poco inferiore ai 3
miliardi di dollari. Per impossessarsene, Finmeccanica ha dovuto
sottoscrivere con il Dipartimento della difesa un “accordo speciale di
sicurezza” che garantisce all’Amministrazione Usa la tutela delle
informazioni classificate. “Con l’acquisizione di DRS (il cui direttivo
rimarrà solidamente in mano all’attuale management statunitense),
Finmeccanica e i suoi dirigenti entrano nel circolo dell’apparato sicuritario
statunitense che - attraverso le limitazioni di legge all’influenza di
gruppi stranieri sulla produzione bellica nonché attraverso i meccanismi
con cui si regolano i vari gradi di accesso a informazioni segrete o
sensibili - producono una reale sudditanza del nostro paese alle scelte
strategiche delle Amministrazioni Usa e al loro apparato di
intelligence”, denunciò su il Manifesto (16 maggio 2008), lo studioso Sergio Finardi.
Un’operazione
“suicida” confermata pure dall’entità del denaro che Finmeccanica ha
dovuto sborsare per rilevare la società (3,4 miliardi di euro), grazie
al rastrellamento di ogni singola azione sul mercato a 81 dollari,
quando appena un mese prima il valore si attestava a 63 dollari e 74
cent. Un’emorragia finanziaria “sanata”, l’agosto seguente, con un
aumento del capitale dell’holding di 1,4 miliardi (il ministero del
Tesoro ha dovuto sborsare 250 milioni di euro circa ma ha ridotto la
propria partecipazione dal 33,7 al 30,2%), l’emissione di un miliardo di
euro in obbligazioni a 5 anni a un tasso dell’8,12% e l’assunzione di
un maxidebito con il sistema bancario internazionale (è stato accordato a
Finmeccanica un finanziamento complessivo di 3,2 miliardi di
euro, accresciuto successivamente a 7 miliardi). “Sfortunatamente per
Finmeccanica nel mezzo dell’operazione di acquisto si è inserita la
crisi finanziaria internazionale che ha reso più difficile far quadrare i
conti del’operazione”, commenta l’IRES Toscana che ha curato la ricerca
Finanza e Armamenti. Istituti di credito e industria militare tra mercato e responsabilità sociale
(Edizioni Plus - Pisa University Press, 2010). “Da un lato le emissioni
obbligazionarie sono divenute più costose, proprio mentre andava
accelerato il rimborso agli investitori obbligazionari di DRS;
dall’altro lato la collocazione di società non strategiche del gruppo è
divenuta bruscamente meno redditizia per l’abbassamento degli indici di
borsa (e quindi del valore di borsa di quelle società)”.
L’incondizionata
fedeltà italiana alle avventure militari di Washington ha comunque
consentito a DRS Technologies di ricevere nuove importanti commesse. A
fine 2008, la società ha venduto sistemi elettronici e di visione “JV-5”
per 531 milioni di dollari, da montare sui veicoli ruotati e cingolati
dell’esercito e dei marines. Nell’estate del 2009, si è invece
aggiudicata un contratto di 143,9 milioni di dollari per produrre
“addestratori P5” per i caccia dell’aeronautica e della marina militare
Usa, e 270 rimorchi “M1000” per il trasporto su strada e terreni
accidentati dei carri armati M1 “Abrams”. Nel settembre 2010 è giunto
invece un contratto da 1,9 miliardi di dollari per la fornitura di
tecnologie ad infrarossi da utilizzare a bordo di mezzi da combattimento
medi e pesanti.
Due importanti commesse rialgono alla fine del 2011, la prima insieme a Lockheed
Martin per la fornitura di sistemi di combattimento e sonar ai
sottomarini nucleari delle classi “Los Angeles”, “Seawolf” e “Virginia”
(400 milioni di dollari); la seconda per la fornitura di servizi di
supporto ai mezzi blindati e carri armati di Us Army (47,3 milioni di
dollari). Nel gennaio 2012 la società è stata chiamata a fornire nuovi sistemi di navigazione per gli elicotteri “Pave Hawk HH-60G” dell’Us Air Force e sistemi elettronici avanzati per gli aerei E-6B di Us Navy (63 milioni).
La
progressiva americanizzazione del complesso industriale militare
nazionale è confermata pure dalla scalata azionaria di importanti fondi
d’investimento privati Usa. Meno di un anno fa, come riporta il volume Armi, un affare di stato
(Chiarelettere, 2012), tra i maggiori azionisti di Finmeccanica
comparivano Tradewinds Global Investors (5,38%), Deutsche Bank Trust
Company Americas (3,6), BlackRock (2,24) e Grantham Mayo Van Otterloo
& Co. (2,05). Ad essi vanno aggiunti, secondo quanto rilevato da
IRES Toscana, società e fondi pensione statunitensi che detengono
pacchetti azionari di minore entità e che hanno partecipato alle
assemblee dei soci Finmeccanica nel 2008 e nel 2009: New Perspectives
Fund (1,96%), Fundamental Investors (1,18), Capital World Growth Fund
(0,64),
Europacific Growth Fund (0,47), Ishares Msci Eafe Index Fund (0,28),
GMO Foreign Fund (0,14), Thrivent Partner International Stock Portfolio
(0,13), State Street Bank and Trust Company Investment Funds (0,12).
Insieme, il capitale finanziario a stelle e strisce dovrebbe controllare
già più del 18% della sempre meno italiana Finmeccanica. Di contro, a
riprova del processo di globalizzazione di quello che ormai
legittimamente può essere definito il complesso
militare-finanziario-industriale, i gruppi bancari italiani più
importanti, contestualmente azionisti e creditori di Finmeccanica -
attraverso una moltitudine di fondi flessibili, bilanciati e misti -
hanno fatto incetta di importanti quote azionarie dei colossi bellici
Usa come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing, General Electric,
L-3 Communications. Un’evoluzione dei mercati che nell’ultima decade ha
reso sempre più inestricabile la partnership di guerra Italia-Stati
Uniti
d’America. Articolo pubblicato in Guerre & Pace, n. 169, gennaio 2013.
Nessun commento:
Posta un commento