Giangiacomo Ciaccio Montalto |
Si racconta
che un giorno di fine 1982, passeggiando in carcere il capo mafia di Mazara
Mariano Agate, passando davanti alle celle fece sapere a tutti che “Ciaccinu
arrivau a stazione”, qualche settimana ancora e Ciaccio Montalto che non era
uno qualsiasi ma era un magistrato della procura di Trapani, fu ucciso davanti
casa sua a Valderice. Era il 25 gennaio del 1983. Ecco “Ciaccinu arrivau a
stazione” è la frase centrale di questa storia che però per 30 anni è
rimasta nascosta, mai pronunciata se non in rare occasioni per poi sparire di
nuovo, riemergere e svanire e diventare oggi finalmente famosa. In ritardo!
Nonostante una sentenza di condanna all’ergastolo per i capi mafia Riina e
Agate quali mandanti del delitto.
Anche questa arrivata in ritardo! Roba di
mafia insomma quel delitto e invece per anni la città di Trapani ha creduto, ha
voluto credere, che Ciaccio Montalto fosse stato ucciso per altro, anche per
motivazioni poco nobili. La mafia, d'altronde, in questi anni ha sempre trovato
il modo giusto di "mascariare" qualcuno o qualcosa, un delitto, un
avvertimento: anche riuscire a fare spacciare da Roma come normale
avvicendamento il trasferimento di un prefetto come Fulvio Sodano o per tentare
di riuscire a mandare via da Trapani, questori e capi della mobile soprattutto quanto
più questi si sono avvicinati a toccare il terzo livello come era arrivato a
fare Ciaccio Montalto che quando fu ucciso si stava per trasferire, ma per sua
volontà, alla procura di Firenze per continuare la caccia ai soldi di Cosa
nostra, cominciata a Trapani ancora prima che entrasse in vigore la legge
Rognoni La Torre.
Fu ucciso e
poi “mas cariato” Gian Giacomo Ciaccio Montalto e quel “Ciaccinu arrivau a
stazione” che doveva essere la frase centrale per spiegare tutto è rimasta
sepolta. Oggi la mafia non spara più ma sa mascariare meglio di prima, sa bene
inquinare per essersi oltremodo infiltrata nelle istituzioni, nell’impresa,
nelle banche, anzi nelle banche c’era già ai tempi di Ciaccio Montalto che era
andato a bussare alla porta di alcune di queste. Una mafia oggi potente che sa
bene proteggere il suo nuovo capo che si chiama Matteo Messina Denaro e i
complici che lo adorano come un dio, che dovrebbero ben conoscere le differenze
tra un mafioso e una persona per bene perché sono anche professionisti e uomini
delle istituzioni.
La storia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto se
si vuole è facile da raccontare, basta sfogliare le pagine delle indagini da
lui dirette, l’inquinamento del golfo di Cofano, uno dei più belli paesaggi
della Sicilia messo a rischio dagli scarichi illegali e anche dal tentativo di
costruire qui una raffineria che era sponsorizzata dalle famiglie mafiose
locali e al solito da qualche incosciente, e colluso sindaco, i soldi sporchi
nelle banche, gli appalti truccati e le speculazioni edilizie, la droga e le
raffinerie dell’eroina, i traffici di armi, la regia di tutto questo era di
Cosa nostra, ma nel 1983 la mafia a Trapani, ma non solo a Trapani, per i più
non esisteva e ci sono voluti 30 anni perché questa storia la si cominciasse a
raccontare; c’è stata qualche voce isolata, le commemorazioni di queste 30 anni
sono state solo dei giudici, i familiari a Trapani non ci sono più nemmeno
stati perché in quel 1983 dopo avere ucciso loro il marito e il padre le
minacce continuarono a tal punto da fare andare via la moglie e le figliolette
di pochi anni. E oggi siamo felici che Marene e Silvia rimaste con Elena senza
anche la loro mamma, siano tornate a Trapani, loro stanno dando a noi tanta
speranza e modeste e misurate come sono non ci stanno rimproverando perché
ognuno è stato disattento con loro, ma siamo stati noi di questa città
disattenti intanto con noi stessi. Perché è accaduto che la storia del dott.
Gian Giacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore della Repubblica, ucciso
dalla mafia, ha scavalcato come un’onda intere generazioni svanendo senza
lasciare traccia. Qualcuno l’ha anche raccontata in modo banale, strumentale,
perché in qualche momento è stato utile a questo qualcuno infilarsi dentro.
Magari c’è chi pensa di poterlo fare ancora adesso. La storia oggi ce la
consentono quasi anche di raccontare, perché la mafia, ci vengono a dire, è
oramai sconfitta, ma non è così e non lo sanno solo magistrati e giudici eredi
in qualche modo di Ciaccio Montalto. Allora a coloro i quali pensano di potere
consentire che finalmente oggi si possa parlare di Ciaccio Montalto va data una
notizia, Ciaccio Montalto non è morto, è vivo. Perché se restano come restano
attuali le sue indagini, e se queste indagini dunque sono vive, e allora il
protagonista che le aveva avviate non può essere morto è ancora vivo, vive in
altri che seguono il suo lavoro.
Trent'anni
dopo. Dobbiamo
presto riconquistare consapevolezza che a Trapani oggi la mafia pretende di
restare inviolabile come pretendeva esserlo in quegli anni ’80, perché gli
uomini che la comandano che l’aiutano restano gli stessi di allora, i cognomi
si ripetono dall’83 ad oggi, dall’83 ad oggi si ripetono anche nomi e cognomi
di responsabili morali se non materiali delle commistioni mafiose. A Trapani la
mafia ha dalla sua il silenzio della città, il muro di gomma, l’indifferenza
dell’informazione, rispetto al 1983 oggi tanti partecipano come però a delle
passerelle, ci raccontano che c’è una antimafia che è peggio della mafia perchè
poi tutto deve tornare normale, chi tenta di opporsi al suo strapotere una
volta finiva isolato e ucciso, oggi isolato e allontanato, come è accaduto
negli ultimi tempi a magistrati e poliziotti troppo pignoli. Una volta c’erano
sindaci che negavano l’esistenza della mafia oggi ci sono sindaci che non
pronunciano più la parola mafia e nel frattempo alcuni di loro sono condannati
per favoreggiamento ad imprenditori mafiosi o ci sono politici corrotti dai
mafiosi che vogliono anche farti ascoltare la loro lezione morale. In
questi 30 anni è anche accaduto che investigatori che facevano il loro dovere
sono stati rappresentanti ad organi di governo, al ministero dell’Interno come
calunniatori, c’è chi ha scritto nero su bianco che qui c’erano investigatori
che si erano inventati la mafia mentre finivano in cella i mafosi assieme ai
colletti bianchi che però poi agli occhi di tanti benpensanti sono diventati
untori quando hanno deciso di ammettere le loro malefatte e collaborare con la
magistratura. Non viviamo in una terra normale purtroppo e ce ne accorgiamo
ogni giorno di più. Viviamo in una terra dove ogni giorno dovremmo ricordare
che la mafia è merda, come faceva a Cinisi Peppino Impastato contando i 100
passi che dividevano la sua casa da quella di don Tano Badalamenti, o ce
lo diceva qui Mauro Rostagno che lavorava da giornalista a Rtc a 5 metri dalla
stanza dove il suo editore, facente parte di una delle famiglie che Ciaccio
Montalto aveva individuato come colluse, incontrava il ministro dei lavori
pubblici di Totò Riina. Oggi sicuramente Impastato e Rostagno verrebbero
appellati come professionisti dell’antimafia, si sono risparmiate questa
sferzante infamia solo perché per loro prima delle parole sono arrivati il
tritolo per uno la lupara per l’altro.
Una cosa
dobbiamo dircela. Nessuno deve più abbassare gli occhi, nessun giunco deve più
piegarsi dinanzi alla piena, dovrà resistere, battagliare, si dovrà vivere mai
più sopravvivere. Sennò non avrebbe senso tutto quello che oggi stanno facendo,
stiamo facendo, non solo la magistratura e le forze dell’ordine per combattere
la mafia. Non avrebbe senso questa giornata con l’arte oggi pomeriggio, con
l’arte, la scuola e i giovani, oggi a Trapani, impegnati in un grande sforzo
con il progetto Ferus. Oggi stiamo vivendo il primo vero grande evento di
questa città dal 1983 ad oggi. Questo è un grande evento perché è sano, vero,
autentico, è un grande evento perché libero, perché ci fa respirare il profumo
di libertà, non ha su di se le mani che la mafia ha messo invece su altri falsi
grandi eventi e forse sarebbe ora di togliere il nome grande evento a quella
via che si trova al porto che avrebbe dovuto celebrare magnificenze e invece
quell’evento fu la celebrazione della nuova mafia. Oggi dobbiamo dirci che non è
normale quello che è accaduto e che è stato anormale quello che la mafia ha
voluto farci vivere. Parafrasando Alessandro Baricco per concludere. C'è gente
che muore e, con tutto il rispetto, non ci si perde niente. Ma lui, Ciaccio
Montalto, era uno di quelli che quando non ci sono più lo senti. Come se il
mondo intero diventasse, da un giorno all'altro, un po' più pesante, senza che
in giro non ci sia più chi ci pensa a tenerlo su. Con quella loro leggerezza.
Senza aver la faccia da eroi, ma intanto tengono su la baracca. Sono fatti
così. Era fatto così, Gian Giacomo Ciaccio Montalto, tanti come lui sono fatti
per fortuna ancora così.
liberainformazione.org
Trapani, 25.01.2013
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