di Pietro Barcellona
Apprendere da un comunicato dei giornalisti de La
Sicilia ripreso dall’Ansa che il gup Luigi Barone, rigettando per la seconda
volta la richiesta di archiviazione nei confronti dell’editore Mario Ciancio,
richiede anche ulteriori accertamenti per verificare la linea editoriale del
giornale favorevole ad esponenti di spicco di Cosa Nostra, non può che produrre
una reazione indignata in chi come me collabora come editorialista da
moltissimi anni con il giornale su indicato.
Debbo pensare che nella generale confusione dei linguaggi il gup non abbia
chiaro cosa vuol dire che la linea editoriale di un giornale è orientata a
sostenere Cosa Nostra. Ho insegnato, ho fatto molta attività politica, mi sono
personalmente esposto come cittadino e come componente di organi istituzionali
dello Stato nella lotta a ogni possibile infiltrazione mafiosa nella vita
politica e commerciale della città.Proprio La Sicilia pubblicò molti anni fa un’intervista a Pio La Torre, poco prima che venisse assassinato, nella quale si denunciavano le collusioni fra i famosi cavalieri e i comitati d’affari che gestivano la mediazione tra politica e malaffare. Negli anni successivi sono intervenuto costantemente come componente del Pci e come cittadino in ogni circostanza che richiedesse una pubblica testimonianza di coraggio civile e di solidarietà verso le vittime degli assassini mafiosi.
Dovrei essere proprio uscito di senno per non essermi reso conto in tutti questi anni di aver collaborato con un giornale con una linea editoriale di favoreggiamento ad esponenti delle cosche mafiose. Buona parte dei miei editoriali sono stati pubblicati come volumi (una prima raccolta “Viaggio nel Belpaese”) e chiunque può documentarsi sulla libertà di opinione di cui ho potuto godere e della continuità della critica a ogni forma di acquiescenza e tolleranza verso le cosiddette zone grigie.
Non sono peraltro il solo a poter testimoniare che il giornale mi ha offerto uno spazio libero di intervento politico e di costume sulle connessioni malavitose. Mi permetto di ricordare un caro amico e collega come Giuseppe Giarrizzo che settimanalmente interviene con i suoi impietosi commenti politici sul malaffare e la corruzione. E si potrebbero fare naturalmente tanti altri nomi di illustri personaggi che sono assidui collaboratori del giornale.
Accusare una testata giornalistica, che di fatto costituisce il più importante strumento di informazione cittadina, di mafiosità è proprio un errore di grammatica che denota come ancora una volta l’accusa di mafiosità possa essere un generico strumento per discreditare tutte le posizioni che emergono in un dibattito civile come quello che è ospitato da La Sicilia.
I giornalisti nel loro comunicato respingono orgogliosamente ogni accusa e, pur ammettendo i loro “possibili errori nella valutazione delle notizie”, dichiarano solennemente di non aver mai ricevuto istruzioni riguardo a questo o a quel fatto dalla direzione del giornale.
Poiché la libertà di stampa e di parola sono uno strumento essenziale per mantenere in piedi alcuni capisaldi dello Stato di diritto, è necessario protestare contro questo genere di pressapochismo giudiziario, specie in un momento in cui tutto il giornalismo italiano è sotto tiro per ragioni non sempre chiare. Ciò che preoccupa piuttosto è come tanto spesso in Italia all’interno degli uffici giudiziari si registrino conflitti di valutazione che appaiono in certi casi clamorosi nell’interesse della magistratura e della libertà. E' bene che su questo terreno si realizzi una vera e propria mobilitazione di tutti quanti pensano nel proprio ruolo di aver sempre combattuto a viso aperto la mafia.
Tratto da "La Sicilia.it"
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