Silvio Berlusconi |
COLPISCE, ma non stupisce, il "processo" pubblico istruito dal
Partito popolare europeo nei confronti di Berlusconi. Anche se il Cavaliere lo
ignora, quella è idealmente la "casa" di Konrad Adenauer e Helmut
Kohl. Di Alcide De Gasperi e di Aldo Moro. Non basta definirsi banalmente
"moderati" in un salotto televisivo, o proclamarsi genericamente
"europeisti" in una conferenza stampa, per essere riconosciuti come
inquilini degni di abitarla, nel solco della tradizione del cattolicesimo
liberal-democratico e del "canone occidentale" adottato dai padri
fondatori. Reduce dalle "comiche finali" alla presentazione del libro
di Vespa, il leader in disarmo di una destra italiana allo sbando ha provato a
inscenare anche a Bruxelles il suo solito "show folkloristico"
(secondo la formula di Die Welt). Ma come aveva mestamente fallito il giorno
prima tra le mura amiche, immerso in una confusione totale che non si spiega
con l'analisi psicologica ma con la paralisi politica, Berlusconi ha
clamorosamente fallito anche nella trasferta belga. Convinto di riconquistare
il Ppe con la sua trita "narrazione" populista e anti-comunista, il
Cavaliere ha finito per trasferire la sua disperata impotenza dal teatrino
italiano al proscenio europeo. L'effetto è più fragoroso, e per molti versi
anche più penoso.
Da Martens a Juncker, da Verofstadt a Daul, fino ad arrivare alla cancelliera
Angela Merkel: ad eccezione del primo ministro ungherese Viktor Orban (e già questo deve far riflettere) nessuno ha fatto sconti al
padre-padrone del Pdl. Perché nessuno, neanche tra i leader
cristiano-democratici del Vecchio Continente, dimentica cos'è stato il
berlusconismo in questi anni. Tutti hanno imparato a conoscere la miscela di
cesarismo autocratico e di nazionalismo autarchico che ha reso e rende tuttora
il Cavaliere un "corpo estraneo" per le destre conservatrici di tutta
Europa. E questo senso di straniamento politico, e di isolamento fisico, è
risultato ieri ancora più plastico. La presenza inedita e imprevista di Mario
Monti, nella sala gremita dell'Accademia reale, ha trasfigurato Berlusconi in
un "alieno". Un corpo totalmente estraneo dalla cultura del
popolarismo europeo. Non era mai accaduto che un premier, non iscritto, fosse invitato a partecipare a un'assemblea del Ppe. E la motivazione dell'invito ("capire la situazione italiana alla vigilia del voto") è già di per sé eloquente. I popolari europei non si fidano della rappresentazione farisaica del Cavaliere, ma vogliono ascoltare la versione autentica del Professore. E così è stato. Monti, anche a costo di intaccare la sua cifra incontaminata di "tecnico", ha incassato assai più del plauso personale per un ex commissario cui l'Europa deve moltissimo. Ha ottenuto un endorsement politico, esplicito e perfino imbarazzante, da tutto il Ppe che lo vedrebbe volentieri candidato alle elezioni. E poi di nuovo presidente del Consiglio di un'Italia che, dopo la rovinosa parentesi berlusconiana, ha ancora tanto da fare e da farsi perdonare.
Siamo ai limiti dell'ingerenza. Ma anche questo, in fondo, è un effetto dell'anomalia berlusconiana di questi anni. Un'anomalia che spinge lo stesso Monti a giocare una partita strana, e in un ruolo a tratti ambiguo. Al momento non ha giacchette da farsi tirare. Non appartiene ai popolari europei, e in passato ha partecipato anche alle assemblee dei socialisti europei. Il Paese che lui rappresenta è irriducibilmente diverso dall'Italietta berlusconiana. Ma è naturale che il Ppe guardi al Professore come a quell'autentico "moderato europeo" che il Cavaliere non è mai stato e non sarà mai.
Berlusconi lo ha capito e lo capisce. Non a caso l'arrivo di Monti a Bruxelles lo ha spiazzato e indispettito. Ha cercato di rimediare, rilanciando la sua Opa, ostile e bugiarda, sul premier: "Mi faccio da parte se fai tu il candidato a Palazzo Chigi, in nome e per conto di noi "moderati", in un rassemblement che tiene insieme tutti, dal Pdl a Italia Futura, dall'Udc alla Lega". E quest'Opa posticcia ha provato persino a "venderla" ai popolari europei, con l'abituale cinismo del baro: "Vi piace Monti? Ebbene, sono io che ve lo porto in dote, imbarcandolo nel mio caravanserraglio e candidandolo alla premiership".
Non poteva e non può funzionare. Il demiurgo di Arcore è abituato a plasmare fantocci, nel laboratorio di Palazzo Grazioli e del Pdl. Ma Monti è un'altra cosa. Nessuno sa ancora bene che cosa, perché il Professore non ha ancora sciolto la sua riserva e farà bene a scioglierla al più presto. Ma di certo non è e non sarà mai l'utile idiota di Berlusconi, né il suo alleato-candidato in un guazzabuglio di centrodestra che non ha nessun senso logico e politico. E poi c'è un limite a tutto. Se non all'incoerenza, almeno all'indecenza: non si può sfiduciare il governo Monti in aula, imputandogli la rovina economica di quest'ultimo anno, e poi prendere il premier appena silurato a modello, offrendogli addirittura una ricandidatura.
L'Offerta pubblica di acquisto del Cavaliere è un patetico diversivo. È un puro espediente. Serve solo a prendere tempo, anche se nessuno sa in attesa di che cosa. Serve solo a nascondere il vuoto, di idee, di programmi, di futuro. La sesta ri-discesa in campo è un ponte sospeso nell'abisso. Berlusconi è lì, piantato. Non può muovere un passo, perché ogni passo può risultargli fatale. I sondaggi lo danno già irrimediabilmente sconfitto. Il suo partito va in pezzi. Lui non attrae né coalizza più nessuno. Ha un disperato bisogno di una via di fuga, ma non la trova. Deve stare in campo, per difendere la sua fedina penale e il suo impero mediatico. Ma non sa in che ruolo, né con chi. Per questo dice tutto e il contrario di tutto.
I suoi cantori, adesso, lo chiamano "caos organizzato". Ma di "organizzato", stavolta, non c'è più nulla. L'Invincibile Armata che sembra balenare nella testa del Cavaliere, come arma estrema per battere il centrosinistra di Bersani, pare solo l'ultima, e per niente lucida follia di un uomo confuso.
m.giannini@repubblica.it
(La Repubblica, 14 dicembre 2012)
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