Francesco Guccini |
"L'ultima Thule", subito ai primi posti in classifica su iTunes, segna l'addio alla musica di Guccini
A Pàvana, 500 metri d'altitudine e una trentina di chilometri da Pistoia, di mulini ce n'erano tre. Il più grande, quello con cinque macine, era dei Guccini. Una famiglia fortunata, di quelle che stavano bene al mondo. Ma negli anni Cinquanta l'Italia cambiava in fretta, anche in montagna. Le fabbriche promettevano una vita meno grama e i contadini, quelli che non erano già emigrati, scendevano a valle. Le macine rallentavano, poi si fermarono per sempre. Anche il nipote del mugnaio, Francesco se ne andò per la sua strada. Prima a Modena, poi a Bologna. Scrive un pezzo di storia della canzone d'autore italiana. L'immagine malinconica e nostalgica del mulino abbandonato finisce in Radici, il brano che nel ‘72 dà il titolo al suo quarto album: "La casa sul confine dei ricordi/ La stessa sempre, come tu la sai/ E tu cerchi là le tue radici/ Se vuoi capire l'anima che hai... ".
Oggi Francesco Guccini ha 72 anni e da undici vive stabilmente a Pàvana. La "casa sul confine dei ricordi" è ancora lì, tra le due valli, sulla riva del fiume, a ispirare pensieri tutt'altro che tristi. La nostalgia è rimasta soltanto nelle canzoni. Otto canzoni scritte nelle notti pavanesi piene di situazioni e di ricordi fra il rumore del fiume in fondo alla valle e il rombo di un camion lungo la statale, come l'iniziale Canzone di notte n. 4, «che si rifà, in parte, alla mia infanzia trascorsa nel mulino dei miei nonni». O come L'ultima volta, racconto di un amore adolescenziale mai consumato. O, ancora, quando segue tre partigiani comunisti Su in collina, ispirandosi a una poesia in dialetto bolognese "Mort en culleina", o ricorda Quel giorno d'aprile, il 25 aprile del 1945, quando "l'Italia è una donna che balla sui tetti di Roma nell'amara dolcezza dei film dove canta la vita".
Canzoni di legno pesante, perché - come si descrive lui stesso tra i profumi di jazz de Gli artisti - Guccini è "un umile artigiano e volo con piccole ali. Fabbrico sedie e canzoni, erbaggi amari, cicoria, o un grappolo di illusioni che svaniscono dalla memoria…". Ma anche letteratura, parola scritta, narrativa e poesia, nello stesso tempo. Colto e popolare.
Un rude montanaro che si nutre dei valori e dei sentimenti perduti di un'Italia che non c'è più, in balìa oggi di "vip con la troietta di regime… un onesto mafioso riciclato/ un duro e puro cuore di nostalgico/ travestito da vero democratico/ e che si sente padrone dello Stato", come canta ne Il testamento del pagliaccio, una sorta di nuova "avvelenata" già ascoltata dal vivo e nella quale si potrebbe individuare l'ex premier Silvio Berlusconi.
E' l'unica divagazione nell'attualità in un album che insiste sulla memoria e sugli addii, quasi a confermare la decisione di lasciare il mondo della musica. E la stupenda, epica, canzone che dà il titolo all'album e lo chiude è il simbolo. «La prima strofa l'ho scritta più di dieci anni fa ma è l'ultima canzone che ho scritto in questo album». E forse l'ultima di una storia pubblica lunga 45 anni. Racconta di un marinaio che si trova su un vascello senza avere più la sua ciurma: è rimasto solo e decide allora di veleggiare verso un'isola di ghiaccio alla ricerca dell'oblio e della dimenticanza.
La Sicilia.it
Oggi Francesco Guccini ha 72 anni e da undici vive stabilmente a Pàvana. La "casa sul confine dei ricordi" è ancora lì, tra le due valli, sulla riva del fiume, a ispirare pensieri tutt'altro che tristi. La nostalgia è rimasta soltanto nelle canzoni. Otto canzoni scritte nelle notti pavanesi piene di situazioni e di ricordi fra il rumore del fiume in fondo alla valle e il rombo di un camion lungo la statale, come l'iniziale Canzone di notte n. 4, «che si rifà, in parte, alla mia infanzia trascorsa nel mulino dei miei nonni». O come L'ultima volta, racconto di un amore adolescenziale mai consumato. O, ancora, quando segue tre partigiani comunisti Su in collina, ispirandosi a una poesia in dialetto bolognese "Mort en culleina", o ricorda Quel giorno d'aprile, il 25 aprile del 1945, quando "l'Italia è una donna che balla sui tetti di Roma nell'amara dolcezza dei film dove canta la vita".
Canzoni di legno pesante, perché - come si descrive lui stesso tra i profumi di jazz de Gli artisti - Guccini è "un umile artigiano e volo con piccole ali. Fabbrico sedie e canzoni, erbaggi amari, cicoria, o un grappolo di illusioni che svaniscono dalla memoria…". Ma anche letteratura, parola scritta, narrativa e poesia, nello stesso tempo. Colto e popolare.
Un rude montanaro che si nutre dei valori e dei sentimenti perduti di un'Italia che non c'è più, in balìa oggi di "vip con la troietta di regime… un onesto mafioso riciclato/ un duro e puro cuore di nostalgico/ travestito da vero democratico/ e che si sente padrone dello Stato", come canta ne Il testamento del pagliaccio, una sorta di nuova "avvelenata" già ascoltata dal vivo e nella quale si potrebbe individuare l'ex premier Silvio Berlusconi.
E' l'unica divagazione nell'attualità in un album che insiste sulla memoria e sugli addii, quasi a confermare la decisione di lasciare il mondo della musica. E la stupenda, epica, canzone che dà il titolo all'album e lo chiude è il simbolo. «La prima strofa l'ho scritta più di dieci anni fa ma è l'ultima canzone che ho scritto in questo album». E forse l'ultima di una storia pubblica lunga 45 anni. Racconta di un marinaio che si trova su un vascello senza avere più la sua ciurma: è rimasto solo e decide allora di veleggiare verso un'isola di ghiaccio alla ricerca dell'oblio e della dimenticanza.
La Sicilia.it
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