Antonio Ingroia |
Quelli come Antonio Ingroia non si
accontentano di fare bene il loro lavoro, vogliono anche redimere il mondo. Per
loro la spada della Giustizia è sempre senza fodero, pronta a colpire o a
raddrizzare le schiene. E’ l’incipit del corsivo di prima pagina
dedicato ad Antonio Ingroia da Aldo Grasso sul Corriere della
Sera. Le critiche e le perplessità sulla
candidatura, assai probabile, di Antonio Ingroia alle politiche di
febbraio non vengono solo dai suoi avversari storici, Berlusconi e il
centrodestra, che peraltro non aspettavano altro (“avete visto, è per questo
che ha combattuto, è una caricatura di se stesso”), ma da autorevoli firme,
come Gomez (“Il fatto Quotidiano”), Antonio Polito e Aldo Grasso che al PM di
Palermo dedica domenica il suo “Padiglione Italia”, molto frequentato da
personaggi siciliani.
“Dicono di impegnarsi ad applicare solo la legge senza guardare in faccia
nessuno, ma intanto parlano molto delle loro indagini anche fuori dalle aule
giudiziarie, contenti di esibire la loro faccia”, osserva Grasso, riferendosi,
naturalmente, ad Ingroia. “L’esposizione mediatica, gli interventi ai congressi
di partito sono un diritto, ma per dimostrare la propria imparzialità non
bastano frasi a effetto, intrise di retorica alla Toto Cutugno…”
Grasso, a questo punto ricorda le fasi più
recenti dell’attività del magistrato. “Dopo un periodo di pausa attiva (da due
mesi stava svolgendo un lavoro investigativo patrocinato dall’Onu in Guatemala
contro i narcos), dopo il via libera del Csm, ricorda Grasso, Ingroia ha
offerto la sua disponibilità a candidarsi (io ci sto!)… . In Guatemala ci è
finito mentre si chiudeva «la madre di tutte le indagini» della Procura di
Palermo, quella sulla presunta trattativa Stato-mafia, con le famose
intercettazioni riguardanti anche il Colle (che non pochi problemi hanno creato
nei rapporti istituzionali) e il consigliere giuridico del Quirinale, Loris
D’Ambrosio, un tempo stretto collaboratore di Giovanni Falcone, stroncato poi
da un infarto”.
Un j’accuse durissimo: “A Palermo ha
abbandonato l’inchiesta nella sua fase più delicata e il comizio di venerdì non
ha certo giovato alla sua reputazione (già incrinata dalla gestione di Massimo
Ciancimino) e alla credibilità della magistratura italiana, alimentando il
sospetto che l’attività giudiziaria, specie se clamorosa, venga intesa da
alcuni come opportunità per una carriera politica”.
Le conclusioni di Grasso? “Le debolezze del magistrato non lo rendono più
umano, ma soltanto più simile a un cittadino al di sotto di ogni sospetto”.
Che il Pm di Palermo si aspettasse rose e
fiori non ci crediamo. Ha previsto, non può essere altrimenti, le reazioni negative. Forse, solo
dal “nemico”, e questo deve averlo incoraggiato a intraprendere la strada che
aveva deciso di percorrere. Invece non è stato così, e non era difficile
intuirlo che sarebbe andata diversamente. Sabelli, a nome dell’Associazione
nazionale magistrati, non si è schierato dalla parte di Ingroia, tutt’altro. E
nell’ambito della magistratura, sotto traccia, sono più i mugugni che gli
applausi. Chi stava dalla sua parte, e continua a stimarlo come magistrato e
come uomo, prova irritazione per l’assist offerto proprio al “nemico”: la prova
inconfutabile di un secondo fine nell’attività inquirente.
I più avvertiti sanno, o comunque sono persuasi, che non è affatto così,
che è la passione politica a guidare Ingroia, ma per il “mondo”, la
sovrapposizione fra magistratura e politica rende tutto nebuloso e ambiguo,
dando spazio ai sospetti e alla denigrazione. Un vero peccato, sarebbe bastato
avere pazienza. Forse.
24 dicembre 2012
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