mercoledì, dicembre 05, 2012

Anche Fidora (L’Ora) fu condannato a un anno di carcere senza condizionale


di Alberto Spampinato
OSSIGENO – Roma, 3 dicembre 2012 – Ossigeno pubblica un testo autobiografico di Etrio Fidora in cui l’ex direttore dell’Ora parla della sua carriera professionale di giornalista sempre all’opposizione del potere. Etrio racconta in particolare la trafila di processi (ne ha contati 86) per diffamazione e rivelazione arbitraria di notizie coperte da segreto che subì da cronista, da redattore e poi da direttore responsabile del giornale L’Ora, incarico che svolse per lunghi anni. Ne consiglio la lettura perché la trafila giudiziaria di Etrio riguarda da vicino l’attività del nostro Osservatorio.
Innanzitutto perché Etrio è un giornalista che ha subito minacce e per un certo tempo ha vissuto sotto scorta. In secondo luogo, per quei processi infiniti. Per uno di essi a metà, come racconta, degli anni settanta fu condannato a un anno di carcere senza condizionale e il giudice ordinò anche la sua sospensione dall’Ordine dei Giornalisti, e la sua condanna suscitò una mobilitazione universale da Enzo Biagi a Indro Montanelli, da Guido Gonella ad Arrigo Petacco. La storia di Etrio è veramente istruttiva. Fra l’altro, fa capire che alcuni evidenti problemi della libertà di stampa, che oggi tanto ci indignano, si trascinano irrisolti  da almeno quarant’anni.
La condanna a un anno di carcere fu inflitta al giornalista dell’Ora in un processo per diffamazione intentato nel 1972 dal proprietario di un pastificio di Lercara che aveva querelato L’Ora perché aveva scritto che suo padre, padrone di una zolfara, era un “fustigatore di carusi”, come lo aveva definito lo scrittore Carlo Levi. L’articolo non era firmato e Fidora ne rispose in quanto direttore responsabile. La citazione era vera, ma il querelante non concesse la facoltà di prova.
In primo grado Fidora  fu condannato per diffamazione a mezzo stampa a un anno di reclusione senza condizionale. Il giudice ordinò anche la sua sospensione per un anno dalla professione giornalistica. Il caso suscitò una indignazione enorme, più forte, corale  e bipartisan di quella che c’è stata nelle scorse settimane per la condanna ad Alessandro Sallusti. Nel successivo grado di giudizio la condanna fu revocata. La vicenda si conclude nel 1976 con la ratifica della Cassazione. 
Anche in un altro storico processo per diffamazione, denominato Valigiò,  Fidora (insieme ad altri giornalisti dell’Ora, fra cui Giuliana Saladino, Roberto Baudo e Giacomo Galante e il pittore Bruno Caruso) fu condannato a non lievi pene detentive, forti sanzioni pecuniarie, risarcimenti molto onerosi. Le pene furono confermate in Appello, ma furono  cancellate dalla Cassazione. Il processo iniziò nel 1970, dopo un inchiesta del giornale sui poco chiari meccanismi del potere a Palermo. I querelanti erano il ministro Gioia, Vito Ciancimino e gli eredi del procuratore Scaglione.
Nella rievocazione della sua vita professionale, estratta dal volume “Era L’Ora”, a cura di Michele Figurelli e Franco Nicastro, XL edizioni, Roma, un libro che contiene altre interessante testimonianze dei giornalisti che hanno lavorato con Vittorio Nisticò,  Etrio ricorda con fierezza, che per fare le sue battaglie giornalistiche ha affrontato 86 processi a causa di querele per diffamazione a mezzo stampa che si sono rivelate pretestuose: tentativi di imbavagliare lui e il suo giornale. La pressione giudiziaria su L’Ora e su Fidora fu fortissima. Fidora ricorda in che termini ne ha parlato il suo maestro, Vittorio Nisticò, e sottolinea che a un dato momento si trovò imputato contemporaneamente in 31 processi, e fece il giro d’Italia per difendersi. Alcuni processi che Etrio ricostruisce sono durati 10-15 anni. Una prova dura per lui e per il suo giornale.
“Ma la mia fedina penale è rimasta pulita”, dice oggi con orgoglio Etrio concludendo la sua istruttiva rievocazione con una frase che sottoscrivo: “Guai se questa nostra Repubblica non avesse avuto giornalisti capaci di sfidare a caro prezzo querele di politici e di mafiosi, e non solo. E non avesse anche avuto un grande rinnovamento culturale e civile interno alla nostra magistratura”.
Etrio Fidora è un uomo generoso e un giornalista di razza che adesso si gode la vecchiaia. Negli ultimi anni ha insegnato giornalismo. La sua storia ha molto da insegnare ai giornalisti di oggi. Basta leggerla.
Nato a Trieste nel 1930, approdato a Palermo con la famiglia alla fine della guerra, ha vissuto 50 anni a Palermo senza perdere il suo inconfondibile accento. Si è affezionato alla Sicilia, ma e non è mai diventato siciliano come è accaduto ad altri emigrati intellettuali.  Cronista della vecchia guardia, comunista militante, intellettuale di saldi principi, polemista rigoroso, esponente della corrente di rinnovamento della FNSI e presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, Etrio è uno di quei giornalisti che hanno saputo tenere la schiena dritta anche di fronte ai mafiosi e ai potenti più arroganti.
Etrio approdò al giornalismo da critico cinematografico, ma subito divenne un giornalista a tutto tondo e uno dei giornalista a cui Vittorio Nisticò teneva molto. Entrato nella piccola famiglia del giornale, non ne è più uscito. Ha trascorso 40 anni nelle stanze della redazione dell’Ora di Palermo, dove entrò per la prima volta nel 1957. Da allora ha condiviso tutte le battaglie di quel piccolo grande giornale, a cominciare da quella combattuta per dimostrare con l’evidenza dei fatti che, contrariamente a  ciò che sosteneva anche il cardinale arcivescovo di Palermo, Ernesto Ruffini, la mafia non era un’invenzione dei comunisti, era una organizzazione potente e sanguinaria fatta di uomini in carne ed ossa con nomi, cognomi, parentele, amicizie politiche, fatta di mafiosi con volti riconoscibili, volti che quel giornale non esitava a mostrare in prima pagina sfidando le bombe contro la sua tipografia, le minacce ai suoi giornalisti, l’angoscia di tre giornalisti uccisi per il loro lavoro.
Etrio ha condiviso tutte queste battaglie e tutti i relativi guai. Nel 1976, quando il mitico direttore Vittorio Nisticò (1919-2009) lasciò il timone, divenne il suo successore. Fu direttore per tre anni. Poi fu amministratore delegato della piccola cooperativa fondata insieme a Nisticò per tenere in vita dignitosamente L’Ora. La cooperativa ci riuscì per dieci anni. Anch’io mi imbarcai in quella missione impossibile: fui designato da Nisticò per rappresentare l’ultima generazione di redattori. Sbarcai insieme a Etrio e agli altri fondatori quando cominciarono a calare le tenebre che in breve avrebbero portato alla chiusura del giornale.
Alberto Spampinato per www.ossigenoinformazione.it
lunedì, dicembre 3, 2012  

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