di Alberto Spampinato
OSSIGENO – Roma, 3 dicembre
2012 – Ossigeno
pubblica un testo autobiografico di Etrio Fidora in cui
l’ex direttore dell’Ora parla della sua carriera professionale di
giornalista sempre all’opposizione del potere. Etrio racconta in particolare la
trafila di processi (ne ha contati 86) per diffamazione e rivelazione
arbitraria di notizie coperte da segreto che subì da cronista, da redattore e
poi da direttore responsabile del giornale L’Ora, incarico che svolse per
lunghi anni. Ne consiglio la lettura perché la trafila giudiziaria di Etrio
riguarda da vicino l’attività del nostro Osservatorio.
La condanna a un anno di carcere fu inflitta al
giornalista dell’Ora in un processo per diffamazione intentato nel 1972 dal
proprietario di un pastificio di Lercara che aveva querelato L’Ora perché aveva
scritto che suo padre, padrone di una zolfara, era un “fustigatore di carusi”,
come lo aveva definito lo scrittore Carlo Levi. L’articolo non era firmato e
Fidora ne rispose in quanto direttore responsabile. La citazione era vera, ma
il querelante non concesse la facoltà di prova.
In primo grado Fidora fu condannato per
diffamazione a mezzo stampa a un anno di reclusione senza condizionale. Il
giudice ordinò anche la sua sospensione per un anno dalla professione
giornalistica. Il caso suscitò una indignazione enorme, più forte, corale
e bipartisan di quella che c’è stata nelle scorse settimane per la
condanna ad Alessandro Sallusti. Nel successivo grado di giudizio la condanna
fu revocata. La vicenda si conclude nel 1976 con la ratifica della Cassazione.
Anche in un altro storico processo per diffamazione,
denominato Valigiò, Fidora (insieme ad altri giornalisti dell’Ora, fra
cui Giuliana Saladino, Roberto Baudo e Giacomo Galante e il pittore Bruno
Caruso) fu condannato a non lievi pene detentive, forti sanzioni pecuniarie,
risarcimenti molto onerosi. Le pene furono confermate in Appello, ma furono
cancellate dalla Cassazione. Il processo iniziò nel 1970, dopo un
inchiesta del giornale sui poco chiari meccanismi del potere a Palermo. I querelanti
erano il ministro Gioia, Vito Ciancimino e gli eredi del procuratore Scaglione.
Nella rievocazione della sua vita professionale,
estratta dal volume “Era L’Ora”, a cura di Michele Figurelli e Franco Nicastro,
XL edizioni, Roma, un libro che contiene altre interessante testimonianze dei
giornalisti che hanno lavorato con Vittorio Nisticò, Etrio ricorda con
fierezza, che per fare le sue battaglie giornalistiche ha affrontato 86
processi a causa di querele per diffamazione a mezzo stampa che si sono rivelate
pretestuose: tentativi di imbavagliare lui e il suo giornale. La pressione
giudiziaria su L’Ora e su Fidora fu fortissima. Fidora ricorda in che termini
ne ha parlato il suo maestro, Vittorio Nisticò, e sottolinea che a un dato
momento si trovò imputato contemporaneamente in 31 processi, e fece il giro
d’Italia per difendersi. Alcuni processi che Etrio ricostruisce sono durati
10-15 anni. Una prova dura per lui e per il suo giornale.
“Ma la mia fedina penale è rimasta pulita”, dice oggi
con orgoglio Etrio concludendo la sua istruttiva rievocazione con una frase che
sottoscrivo: “Guai se questa nostra Repubblica non avesse avuto giornalisti
capaci di sfidare a caro prezzo querele di politici e di mafiosi, e non solo. E
non avesse anche avuto un grande rinnovamento culturale e civile interno alla
nostra magistratura”.
Etrio Fidora è un uomo generoso e un giornalista di
razza che adesso si gode la vecchiaia. Negli ultimi anni ha insegnato
giornalismo. La sua storia ha molto da insegnare ai giornalisti di oggi. Basta
leggerla.
Nato a Trieste nel 1930, approdato a Palermo con la
famiglia alla fine della guerra, ha vissuto 50 anni a Palermo senza perdere il
suo inconfondibile accento. Si è affezionato alla Sicilia, ma e non è mai
diventato siciliano come è accaduto ad altri emigrati intellettuali.
Cronista della vecchia guardia, comunista militante, intellettuale di
saldi principi, polemista rigoroso, esponente della corrente di rinnovamento
della FNSI e presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, Etrio è uno
di quei giornalisti che hanno saputo tenere la schiena dritta anche di
fronte ai mafiosi e ai potenti più arroganti.
Etrio approdò al giornalismo da critico
cinematografico, ma subito divenne un giornalista a tutto tondo e uno dei
giornalista a cui Vittorio Nisticò teneva molto. Entrato nella piccola famiglia
del giornale, non ne è più uscito. Ha trascorso 40 anni nelle stanze della
redazione dell’Ora di Palermo, dove entrò per la prima volta nel 1957. Da
allora ha condiviso tutte le battaglie di quel piccolo grande giornale, a
cominciare da quella combattuta per dimostrare con l’evidenza dei fatti che,
contrariamente a ciò che sosteneva anche il cardinale arcivescovo di
Palermo, Ernesto Ruffini, la mafia non era un’invenzione dei comunisti, era una
organizzazione potente e sanguinaria fatta di uomini in carne ed ossa con nomi,
cognomi, parentele, amicizie politiche, fatta di mafiosi con volti
riconoscibili, volti che quel giornale non esitava a mostrare in prima pagina
sfidando le bombe contro la sua tipografia, le minacce ai suoi giornalisti,
l’angoscia di tre giornalisti uccisi per il loro lavoro.
Etrio ha condiviso tutte queste battaglie e tutti i
relativi guai. Nel 1976, quando il mitico direttore Vittorio Nisticò
(1919-2009) lasciò il timone, divenne il suo successore. Fu direttore per
tre anni. Poi fu amministratore delegato della piccola cooperativa fondata
insieme a Nisticò per tenere in vita dignitosamente L’Ora. La cooperativa ci
riuscì per dieci anni. Anch’io mi imbarcai in quella missione impossibile:
fui designato da Nisticò per rappresentare l’ultima generazione di redattori.
Sbarcai insieme a Etrio e agli altri fondatori quando cominciarono a calare le
tenebre che in breve avrebbero portato alla chiusura del giornale.
Alberto Spampinato per www.ossigenoinformazione.it
lunedì, dicembre 3, 2012
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