giovedì, novembre 01, 2012

Il diritto degli omosessuali a vivere serenamente la loro vita

Il gesuita John McNeill
di AUGUSTO CAVADI
Il diritto degli omosessuali a vivere serenamente, pubblicamente, la dimensione affettiva riguarda una minoranza trascurabile della società? Tra le statistiche ufficiali e le percentuali reali c’è sicuramente uno scarto. E i numeri, nelle questioni di civiltà, non sono decisivi. Anche se si trattasse di meno del 5% della popolazione, sarebbe ugualmente importante l’impegno generale a salvaguardare la salute mentale, la dignità sociale e la qualità della vita di queste concittadine e di questi concittadini.  
Senza contare che l’omofobia è l’anticamera della misogenia, o forse il rovescio della stessa medaglia. Palermo è da anni all’avanguardia su questo fronte ed è sede di un festival annuale, Sicilia Queer Filmfest, che raduna artisti e intellettuali a vario titolo impegnati nella difficile battaglia civile. Mercoledì 31 ottobre c'è stato un importante appuntamento, per così dire interlocutorio, fra l’ultima edizione del festival e la prossima: al cinema De Seta dei Cantieri culturali della Zisa, aperto per l’occasione, alle ore 21 è stato proiettato il docufilm Taking a chance on God (Scommetti su Dio, USA 2012) . La singolarità dell’iniziativa (sottolineata dalla partecipazione al dibattito,  dopo la proiezione, del regista Brendan Fay e di don Franco Barbero, della comunità di base di Pinerolo) sta nel tema del filmato: la vita del gesuita statunitense   John McNeill, sacerdote e teologo cattolico gay, pioniere per i diritti civili delle persone omosessuali nella società e nelle chiese e autore di opere rivoluzionarie di spiritualità per le persone omosessuali che, impegnato nell'aiuto della comunità gay durante la crisi dell'AIDS degli anni 1980, rifiutò di essere messo a tacere sui temi dell'omosessualità dall'allora cardinale Ratzinger e perciò venne espulso dall'ordine dei Gesuiti.
 L’evento palermitano sarà replicato il 2 novembre a Trapani e il 4 a Catania.
  Il riferimento alla teologia cattolica e alle posizioni ufficiali della chiesa non è certo casuale. Sappiamo quanta influenza abbiamo le indicazioni etiche delle gerarchie ecclesiastiche nell’opinione pubblica, soprattutto quando si tratta non di rispettarle in prima persona quanto di strumentalizzarle per stigmatizzare i comportamenti altrui. Non è un caso che il siciliano  Alfredo Ormando, nel 1998,  si sia lasciato bruciare vivo nel   in piazza  San Pietro in  segno di protesta contro l’insegnamento vaticano (spesso smentito dalle abitudini sessuali di tanti preti e frati) che, come scrisse egli stesso a un amico,  “demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia”. Né è un caso che proprio a Palermo sia attiva da anni un’associazione (“Ali d’aquila”) che raccoglie omosessuali credenti desiderosi di sensibilizzare le comunità cristiane. Non molti i preti che hanno  mostrato intelligente e fattiva solidarietà: tra questi don Cosimo Scordato, rettore di San Saverio,  e don Franco Romano, parroco di San Gabriele.  Più elastico l’atteggiamento di alcune chiese protestanti, come la valdese-metodista, anche se la prima benedizione in Italia di un matrimonio fra donne è stato celebrato  - come a suo tempo ha informato “Repubblica” – a Trapani perché la maggioranza dei fedeli che frequentano le due comunità palermitane avevano espresso parere sfavorevole.
    Il cammino che resta da percorrere non è né breve né privo di insidie. Sul piano teologico è facile dimostrare che la Bibbia non ha delle indicazioni vincolanti in ambito sessuale, ma questioni del genere vengono di solito affrontate più con la pancia che con la testa. E, a livello viscerale, si preferisce conservare alcuni pregiudizi culturali, rafforzati dalla medicina tradizionale e dalla stessa psicoanalisi freudiana, che rivedere i propri parametri di giudizio. Soprattutto per due ragioni. La prima riguarda il fondamento etico di ogni relazione sessuale, l’amore vissuto come riconoscimento reciproco e impegno per la gioia del partner: se questo criterio diventasse qualificante, quante relazioni eterosessuali rivelerebbero inconsistenza e ipocrisia? La seconda ragione riguarda la diversità statistica della persona omofila: come ogni altra “diversità” inquieta, mette in crisi la confortante certezza di essere “normali” ed esonera dalla fatica di aprirsi alla varietà della natura e della storia. 
       Sia chiaro che non è necessario abbracciare nessuna esaltazione retorica della opzione omo-affettiva né, tanto meno, farne una bandiera di contestazione del sistema borghese. Su questioni del genere è del tutto ovvio che si possano legittimamente coltivare idee, perplessità, argomentazioni di segno opposto. Non opinabile è solo ciò che i padri costituenti, fino a revisione della Carta, hanno sancito solennemente, tranciando alla radice ogni forma di fanatismo ideologico e di bigottismo pratico: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale  e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Augusto Cavadi

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